Anna Maria Cossiga - Academia.edu (original) (raw)
Papers by Anna Maria Cossiga
Strategie e azioni delle organizzazioni jihadiste durante la pandemia, 2021
Religious Fundamentalisms, Space and Territory: an Emblematic Case. – The article, starting from ... more Religious Fundamentalisms, Space and Territory: an Emblematic Case. – The article, starting from a brief review of religious fundamentalisms, focuses on the Salafist form and, in particular, on the peculiar significance given to territory by the so called "Islamic State" of Iraq and Syria. Major emphasis is given to the difference between the concept of "State", as a specific territory clearly defined by boundaries, and the Islamic concepts of umma and dawla (the Arabic word approximately translating "State"), which refer to non-territorial entities in continuous expansion and change. It is indeed the existence of boundaries, and specifically those established by the Sykes-Picot Agreement of 1916, which appear as one of the main "enemies" of Al-Baghdadi's New Caliphate. The article also review the problem of the so called "foreign fighters" who, coming from a diasporic and, therefore, non-territorial dimension, seem particularly ...
Geopolitical, Social Security and Freedom Journal
The article studies the Iranian political society, starting from the analysis of the Iranian Cons... more The article studies the Iranian political society, starting from the analysis of the Iranian Constitution, the only one in the world characterized by “eschatological” components. The authors retrace the history of the birth of the Islamic Republic of Iran, which is fundamental to ensure an interpretation of the politics of that country that takes into account religious and cultural factors and clarifies possible future developments. Furthermore, they address the problem relative to the symbolic system on which the configuration of the Iranian Republic theoretically rests, which must necessarily come to terms with pragmatic reality. In fact, to have a following in his revolutionary project, Khomeini used the “symbolic spring”, in which the politics of Iran in these years have demonstrated the necessity of realism with a parallel with the concept of agnosticism, which thus becomes natural, in opposition to theories that are often more subjective than objective. Finally, the authors go...
Documenti geografici, 2020
La preoccupazione per il Covid-19 e per le sue conseguenze econo-miche ha allontanato l'attenzion... more La preoccupazione per il Covid-19 e per le sue conseguenze econo-miche ha allontanato l'attenzione dei media globali dai problemi legati agli estremismi di vario colore. In questi ultimi mesi, tuttavia, think tank, centri di ricerca e singoli ricercatori hanno seguito le loro attività, che hanno avuto luogo soprattutto nel mondo virtuale. Sul tema, il capo dell'antiterrorismo europeo, Gilles de Kerchove, il 30 aprile ha rilasciato un'intervista alla Reuters, avvertendo i governi europei che, durante la pandemia, l'estremismo jihadista, di estrema destra e di estrema sinistra hanno continuato ad essere produttivi on-line, facendo propaganda, de-dicandosi al proselitismo e diffondendo fake news e teorie cospirazioniste. È comune che i gruppi radicali sfruttino i momenti di incertezza e di ansia per portare avanti la propria agenda e, dunque, non deve stupire che questo accada anche in occasione di una pandemia che ha colpito duramente la popolazione di tutto il mondo e che continuerà a colpirla, non solo dal punto di vista sanitario, ma soprattutto dal punto di vista economico. Cominciamo con il riflettere su quale sia tale "agenda" sottolineando, per prima cosa, le caratteristiche che i gruppi estremisti hanno in comu-ne, a prescindere dall'ideologia politica o religiosa che li muove. Il loro scopo primario è sovvertire l'ordine costituito per crearne uno nuovo, basato sulle varie ideologie e supportato da narrazioni in cui compaiono un Nemico da combattere e gli "eroi" che conducono la lotta, tramite strategie che vanno dalla propaganda per conquistare nuovi adepti al ter-rorismo vero e proprio. Il tenore della violenza varia secondo una scala che può avere inizio con l'ormai notorio hate speech, il discorso d'odio verso chi viene identificato come il nemico; per passare al crime speech, che incita a commettere violenze e ne organizza la messa in atto, sino alla violenza vera e propria, che si concretizza in atti sporadici contro obietti-vi più o meno allargati e può trasformarsi, infine, in veri e propri attacchi terroristici. Come sottolineato in numerosi documenti sull'argomento, la radicalizzazione in movimenti estremisti e le narrazioni che questi offro
limesonline, 2020
Il 2 maggio è stato l'anniversario della morte di Bin Laden, ucciso nel 2011 nel compound di Abbo... more Il 2 maggio è stato l'anniversario della morte di Bin Laden, ucciso nel 2011 nel compound di Abbottabad, Pakistan, dalle forze speciali americane. All'operazione fu dato un nome dal suono mitologico: Neptune Spear, la Lancia di Nettuno-anche se, in italiano, suonerebbe meglio "il tridente" di Nettuno. Chissà se quel nome voleva anche indicare la natura quasi mitologica del raid e dell'agognata eliminazione del più notorio nemico degli Stati Uniti, nonché capo dell'altrettanto famigerata al Qaida1. Ebbene, la mitologica impresa ebbe successo e il terrorista per eccellenza fu ucciso. Come sappiamo bene, tuttavia, la galassia jihadista non morì con lui e la sua guerra contro l'Occidente e gli apostati dei Paesi a maggioranza musulmana continuò, in modo più crudelmente spettacolare. Il nuovo nemico mitologico divenne Abu Bakr al Baghdadi, fondatore, nel 2014, del cosiddetto Stato Islamico di Iraq e Siria; o come, come poi si cominciò a chiamarlo, Daesh. Quest'ultimo appellativo viene ancora preferito a ISIS o Stato Islamico perché, a quanto pare, i suoi membri lo detestano e lo ritengono offensivo. Salvo a ricordare che DAESH è l'acronimo arabo proprio di Stato Islamico di Iraq e Siria. Ma, probabilmente, si crede ancora che i riti apotropaici del linguaggio possano funzionare. Tutti conosciamo la storia che è seguita a quel 29 giugno 2014. Lo Stato Islamico ha imperversato per qualche anno, colpendo nel profondo anche l'Europa. Poi è stato sconfitto territorialmente da una Coalizione di diversi Paesi, anche musulmani, e anche Abu Bakr al Baghdadi è stato ucciso. Da molto tempo, non si verificano attacchi nel cuore dell'Europa, anche se il gruppo jihadista, come anche al Qaeda, ha continuato a colpire nel resto del mondo, anche di recente. È del 4 maggio la notizia che l'Organizzazione "ha rialzato la testa" in Iraq, colpendo le milizia sciite in alcune zone del Paese2. La situazione più calma in Occidentale ha messo anche fine a quella sorta di brama dei media di seguire le atroci malefatte dei jihadisti, anche le più esplicitamente orripilanti. Le notizie di attentati in Africa o in Medio Oriente vengono pubblicate, ma restano di sottofondo, poco notate. Si ha l'impressione che, non accadendo, al momento, nulla di spaventoso nel nostro cortile di casa, ci sentiamo sicuri, finalmente liberi dall'incubo terrorismo. Anche perché di incubo ne abbiamo un altro, l'epidemia di Covid-19, che ha causato 250 mila morti nel mondo, di cui più di 29 mila in Italia, e una recessione economica che avrà conseguenze pesanti e durature sulla nostra vita. In questa situazione, jihadisti e di radicalizzati violenti non sono certo la nostra prima preoccupazione. Uno degli effetti, non tragici, del coronavirus è stata la crescita dell'uso di internet e dei social media, anche da parte di persone che fino a poco tempo fa non erano normali frequentatori del web. Il cosiddetto smartworking ha preso il posto del lavoro negli uffici; gli acquisti di ogni genere avvengono via internet; il cibo gourmet ci raggiunge con un click; i social media sono stati gli unici luoghi in cui abbiamo potuto avere contatti con familiari e amici. Il web è stato un'ancora di salvezza per quasi tutti noi; una piattaforma dorata, benché virtuale. Ma cos'ha a che fare tutto questo con i jihadisti e i radicalizzati? Ebbene, non tutto è oro quel che luccica. Anche le organizzazioni salafite e jihadiste hanno usato la rete per discutere dell'epidemia, dare direttive e fare propaganda. In generale, i portavoce di al Qaeda e dello Stato islamico hanno dato regole di comportamento per non essere contagiati, incoraggiando i seguaci a rimanere leali alle proprie organizzazioni e a seguire rigidamente la legge islamica; ai musulmani è stato anche 1
Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L... more Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L'idea deriva dalla rilettura di un classico dell'antropologia culturale e della storia delle religioni, in Italia e in Europa: il volume di Ernesto De Martino intitolato proprio La fine del mondo, pubblicato postumo nel 1977, a dodici anni dalla morte del grande Studioso napoletano, ripubblicato nel 2000 e di cui una nuova edizione, con aggiornamenti critici, è uscita di recente. Il testo contiene una serie di documenti e di appunti che riflettono sulla crisi del mondo contemporaneo a De Martino, a cavallo tra gli anni '40 e '60 del Novecento, attraverso un confronto tra «le diverse rappresentazioni culturali dell'apocalisse» 1 in ambiti profondamente diversi tra loro: le situazioni psicopatologiche; il mondo moderno, come espresso nelle opere letterarie di autori quali Proust, D.H. Lawrence, Albert Camus e Jean Paul Sartre; nelle civiltà antiche; nelle culture di interesse etnologico e, in modo particolare, nei culti millenaristici all'interno di esse; nel cristianesimo; nell'ideologia marxista.
Non lo vogliamo chiamare Stato. Eppure, in tutti gli acronimi che abbiamo usato sino ad ora, ISIL... more Non lo vogliamo chiamare Stato. Eppure, in tutti gli acronimi che abbiamo usato sino ad ora, ISIL, ISIS, IS, la «S» di Stato compare sempre. E compare anche in Da'esh o Da'esh (al-Dawla al-Islamiya fi al-Iraq wa al-Sham), che ora va di moda usare. La «D», in questo caso, sta per dawla, che traduciamo, appunto, Stato; sebbene in modo fuorviante, secondo alcuni studiosi 1 . A quanto pare, in arabo, il termine «da'esh» non ha alcun significato, ma il suono è simile ad altre parole di cui una, oltre ai significati già segnalati 2 , nella forma plurale "daw'aish" significherebbe "bigotti che impongono agli altri il proprio punto di vista" 3 . Insomma, questa parola priva di reale senso potrebbe essere usata come presa in giro o insulto; tanto che, secondo alcune fonti, gli uomini del Califfato avrebbero minacciato di «tagliare la lingua di chiunque, in pubblico, usi l'acronimo Da'esh» 4 . Dunque, visto che i tagliagole taglialingua del sedicente califfato detestano quell'appellativo, numerosi Paesi arabi e tutto l'Occidente hanno deciso di farne uso, i presidenti Hollande e Obama in primis.
di Anna Maria Cossiga «[…] Si può dire che pensare l'immigrazione significa pensare lo Stato e ch... more di Anna Maria Cossiga «[…] Si può dire che pensare l'immigrazione significa pensare lo Stato e che "lo Stato pensa se stesso pensando l'immigrazione" . […] l'immigrazione rappresenta il limite dello stato nazionale, quel limite che mostra ciò che esso è intrinsecamente, la sua verità fondamentale. Lo Stato, per sua stessa natura, discrimina e così si dota preventivamente di tutti i criteri appropriati, necessari per procedere alla discriminazione, senza la quale non esiste lo stato nazionale.
Le pagine che seguono non intendono essere un trattato sullo Stato, né sull'immigrazione. Lo scop... more Le pagine che seguono non intendono essere un trattato sullo Stato, né sull'immigrazione. Lo scopo di chi scrive è, piuttosto, offrire una serie di riflessioni, poco accademiche e piuttosto in libertà, sul difficile rapporto tra Stato-nazione e immigrati, in un momento storico particolarmente critico sia per l'uno, sia per gli altri.
Le migrazioni e le diaspore sono, da sempre, parte della storia dell’umanità. Il mondo globalizza... more Le migrazioni e le diaspore sono, da sempre, parte della storia dell’umanità. Il mondo globalizzato, tuttavia, ne ha accentuato la complessità e sempre di più le scienze umane e sociali sono chiamate ad analizzarne genesi e sviluppi. Partendo da considerazioni geografiche ed antropologiche, gli autori di questo volume prendono in esame le realtà diasporiche nelle loro articolate relazioni con i Paesi di origine e quelli di arrivo, approfondendo i difficili problemi di integrazione sociale e di accettazione del “diverso”, ma rilevando anche le possibilità di incontro e di scambio culturale, sociale ed economico. La possibilità di convivenza tra culture diverse è una delle maggiori sfide cui il mondo attuale si trova di fronte e il razzismo, per utilizzare una felice intuizione di Jean Pierre Taguieffe, “si veste oggi di nuovi abiti”. I saggi qui contenuti non intendono fornire una risposta precisa a tale sfida ma, piuttosto, individuare i mutamenti sociali e culturali in atto e suggerire una riflessione sulle possibilità di arricchimento derivanti dall’incontro con l’alterità. L’esistenza, a tutt’oggi, di antiche comunità diasporiche che sono riuscite non solo a convivere con quelle dei Paesi di approdo, ma che hanno contribuito positivamente allo sviluppo culturale, sociale ed economico di quei Paesi, possono servire d’esempio per superare le difficoltà dei nuovi gruppi di migranti che giungono tra noi.
Drafts by Anna Maria Cossiga
Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L... more Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L'idea deriva dalla rilettura di un classico dell'antropologia culturale e della storia delle religioni, in Italia e in Europa: il volume di Ernesto De Martino intitolato proprio La fine del mondo, pubblicato postumo nel 1977, a dodici anni dalla morte del grande Studioso napoletano, ripubblicato nel 2000 e di cui una nuova edizione, con aggiornamenti critici, è uscita di recente. Il testo contiene una serie di documenti e di appunti che riflettono sulla crisi del mondo contemporaneo a De Martino, a cavallo tra gli anni '40 e '60 del Novecento, attraverso un confronto tra «le diverse rappresentazioni culturali dell'apocalisse» 1 in ambiti profondamente diversi tra loro: le situazioni psicopatologiche; il mondo moderno, come espresso nelle opere letterarie di autori quali Proust, D.H. Lawrence, Albert Camus e Jean Paul Sartre; nelle civiltà antiche; nelle culture di interesse etnologico e, in modo particolare, nei culti millenaristici all'interno di esse; nel cristianesimo; nell'ideologia marxista. Si tratta di un testo complesso ed articolato, il cui spirito può essere compreso citando le parole dello stesso Autore: La fine del mondo […] c'è sempre stata. Che altro vuoi che abbiano pensato gli Incas o gli Aztechi di fronte ai conquistadores spagnoli, questi marziani piovuti da chissà dove, se non che quella era la fine del mondo? Noi possiamo dire che era la fine del loro mondo, ma che cos'è la fine del mondo se non sempre la fine del proprio mondo? 2 Il problema centrale, su cui De Martino ha riflettuto lungo tutto l'arco della sua vita di folosofo, di antropologo e di storico delle religioni, è quello, comune a tutta l'umanità, della presenza, dell'esserci nel mondo. Un concetto complesso che cercheremo di chiarire. L'Uomo vive in un mondo "naturale" caotico e disordinato, pieno di pericoli. Nella storia, i gruppi umani, ciascuno in modo diverso, hanno ideato metodi e tecniche per dominare la natura; hanno creato valori per dare un significato al loro mondo; hanno stabilito norme per vivere in modo ordinato. In breve, hanno dato vita alla "cultura"; o meglio alle "culture". Ogni azione dell'Uomo nel mondo è un'azione culturale che rende possibile la vita, rende possibile "esserci" e, dunque, garantisce la "presenza". Nelle parole di De Martino: il distacco dalla naturalità del vivere si compie intercalando l'ordine degli strumenti materiali e dei regimi di produzione dei beni economici, l'ordine degli strumenti mentali per piegare la natura alle esigenze degli individui e dei gruppi, l'ordine delle regole sociali per disciplinare la divisione del lavoro e i rapporti fra le persone e i gruppi, l'ordine delle regole morali per educare l'individuo ad andare oltre la 'libido' e per dare orizzonte a sentimenti che accennino alla riconoscenza e all'amore, l'ordine della catarsi estetica e della autocoscienza dell'umano operare e produrre e innalzarsi sulla natura. La cultura è questa energia morale del distacco dalla natura per fondare un mondo umano" 3. 1 E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino prima ed. 1977, seconda ed. 2002. L'edizione del 2019 è la traduzione dal francese dell'opus magnum di De Martino sulle apocalissi culturali. Nel testo faremo ricorso a citazioni tratte dalla seconda e terza edizione, specificando ogni volta nelle note l'anno di pubblicazione. 2 E. De Martino, La fine del mondo ecc., 2019, pp. IX-X. 3 E. De Martino, La fine del mondo ecc., 202, pp. 176.178.
The issue of Islamist radicalization and jihadism has become particularly relevant in Europe afte... more The issue of Islamist radicalization and jihadism has become particularly relevant in Europe after the establishment of the so called Islaic State and the attacks of the last few years. Italy, to this date, has remained immune to such attacks. The paper's aim is to offer an overview of the Italian scene, giving an outline of the biographies of the very few Italian home-grown jihadis and trying to explain the country's peculiarity. It also provides hints in order to develop more in-depth research on the subject and especially on the nature of the Italian Muslim community, while also addressing the larger issue of the so-called 'religious radicalization' in its links with the ideology of ISIS.
1 L'interpretazione lineare dell'islam: un pericolo per la coesione della nostra società di Anna ... more 1 L'interpretazione lineare dell'islam: un pericolo per la coesione della nostra società di Anna Maria Cossiga E' plausibile che nell'immaginario collettivo delle società cosiddette occidentali e, in particolare mediterranee, l'islam non goda di buona fama. Storie di crudeli saraceni e "maomettani", e figure come il Feroce Saladino fanno parte del patrimonio narrativo italiano, mentre interiezioni come "mamma li turchi!" sono ancora diffuse. In breve, l'islam quale Nemico, associato a popoli e personaggi di varia provenienza, ma sempre negativi, sembra far parte della nostra cultura popolare.
Strategie e azioni delle organizzazioni jihadiste durante la pandemia, 2021
Religious Fundamentalisms, Space and Territory: an Emblematic Case. – The article, starting from ... more Religious Fundamentalisms, Space and Territory: an Emblematic Case. – The article, starting from a brief review of religious fundamentalisms, focuses on the Salafist form and, in particular, on the peculiar significance given to territory by the so called "Islamic State" of Iraq and Syria. Major emphasis is given to the difference between the concept of "State", as a specific territory clearly defined by boundaries, and the Islamic concepts of umma and dawla (the Arabic word approximately translating "State"), which refer to non-territorial entities in continuous expansion and change. It is indeed the existence of boundaries, and specifically those established by the Sykes-Picot Agreement of 1916, which appear as one of the main "enemies" of Al-Baghdadi's New Caliphate. The article also review the problem of the so called "foreign fighters" who, coming from a diasporic and, therefore, non-territorial dimension, seem particularly ...
Geopolitical, Social Security and Freedom Journal
The article studies the Iranian political society, starting from the analysis of the Iranian Cons... more The article studies the Iranian political society, starting from the analysis of the Iranian Constitution, the only one in the world characterized by “eschatological” components. The authors retrace the history of the birth of the Islamic Republic of Iran, which is fundamental to ensure an interpretation of the politics of that country that takes into account religious and cultural factors and clarifies possible future developments. Furthermore, they address the problem relative to the symbolic system on which the configuration of the Iranian Republic theoretically rests, which must necessarily come to terms with pragmatic reality. In fact, to have a following in his revolutionary project, Khomeini used the “symbolic spring”, in which the politics of Iran in these years have demonstrated the necessity of realism with a parallel with the concept of agnosticism, which thus becomes natural, in opposition to theories that are often more subjective than objective. Finally, the authors go...
Documenti geografici, 2020
La preoccupazione per il Covid-19 e per le sue conseguenze econo-miche ha allontanato l'attenzion... more La preoccupazione per il Covid-19 e per le sue conseguenze econo-miche ha allontanato l'attenzione dei media globali dai problemi legati agli estremismi di vario colore. In questi ultimi mesi, tuttavia, think tank, centri di ricerca e singoli ricercatori hanno seguito le loro attività, che hanno avuto luogo soprattutto nel mondo virtuale. Sul tema, il capo dell'antiterrorismo europeo, Gilles de Kerchove, il 30 aprile ha rilasciato un'intervista alla Reuters, avvertendo i governi europei che, durante la pandemia, l'estremismo jihadista, di estrema destra e di estrema sinistra hanno continuato ad essere produttivi on-line, facendo propaganda, de-dicandosi al proselitismo e diffondendo fake news e teorie cospirazioniste. È comune che i gruppi radicali sfruttino i momenti di incertezza e di ansia per portare avanti la propria agenda e, dunque, non deve stupire che questo accada anche in occasione di una pandemia che ha colpito duramente la popolazione di tutto il mondo e che continuerà a colpirla, non solo dal punto di vista sanitario, ma soprattutto dal punto di vista economico. Cominciamo con il riflettere su quale sia tale "agenda" sottolineando, per prima cosa, le caratteristiche che i gruppi estremisti hanno in comu-ne, a prescindere dall'ideologia politica o religiosa che li muove. Il loro scopo primario è sovvertire l'ordine costituito per crearne uno nuovo, basato sulle varie ideologie e supportato da narrazioni in cui compaiono un Nemico da combattere e gli "eroi" che conducono la lotta, tramite strategie che vanno dalla propaganda per conquistare nuovi adepti al ter-rorismo vero e proprio. Il tenore della violenza varia secondo una scala che può avere inizio con l'ormai notorio hate speech, il discorso d'odio verso chi viene identificato come il nemico; per passare al crime speech, che incita a commettere violenze e ne organizza la messa in atto, sino alla violenza vera e propria, che si concretizza in atti sporadici contro obietti-vi più o meno allargati e può trasformarsi, infine, in veri e propri attacchi terroristici. Come sottolineato in numerosi documenti sull'argomento, la radicalizzazione in movimenti estremisti e le narrazioni che questi offro
limesonline, 2020
Il 2 maggio è stato l'anniversario della morte di Bin Laden, ucciso nel 2011 nel compound di Abbo... more Il 2 maggio è stato l'anniversario della morte di Bin Laden, ucciso nel 2011 nel compound di Abbottabad, Pakistan, dalle forze speciali americane. All'operazione fu dato un nome dal suono mitologico: Neptune Spear, la Lancia di Nettuno-anche se, in italiano, suonerebbe meglio "il tridente" di Nettuno. Chissà se quel nome voleva anche indicare la natura quasi mitologica del raid e dell'agognata eliminazione del più notorio nemico degli Stati Uniti, nonché capo dell'altrettanto famigerata al Qaida1. Ebbene, la mitologica impresa ebbe successo e il terrorista per eccellenza fu ucciso. Come sappiamo bene, tuttavia, la galassia jihadista non morì con lui e la sua guerra contro l'Occidente e gli apostati dei Paesi a maggioranza musulmana continuò, in modo più crudelmente spettacolare. Il nuovo nemico mitologico divenne Abu Bakr al Baghdadi, fondatore, nel 2014, del cosiddetto Stato Islamico di Iraq e Siria; o come, come poi si cominciò a chiamarlo, Daesh. Quest'ultimo appellativo viene ancora preferito a ISIS o Stato Islamico perché, a quanto pare, i suoi membri lo detestano e lo ritengono offensivo. Salvo a ricordare che DAESH è l'acronimo arabo proprio di Stato Islamico di Iraq e Siria. Ma, probabilmente, si crede ancora che i riti apotropaici del linguaggio possano funzionare. Tutti conosciamo la storia che è seguita a quel 29 giugno 2014. Lo Stato Islamico ha imperversato per qualche anno, colpendo nel profondo anche l'Europa. Poi è stato sconfitto territorialmente da una Coalizione di diversi Paesi, anche musulmani, e anche Abu Bakr al Baghdadi è stato ucciso. Da molto tempo, non si verificano attacchi nel cuore dell'Europa, anche se il gruppo jihadista, come anche al Qaeda, ha continuato a colpire nel resto del mondo, anche di recente. È del 4 maggio la notizia che l'Organizzazione "ha rialzato la testa" in Iraq, colpendo le milizia sciite in alcune zone del Paese2. La situazione più calma in Occidentale ha messo anche fine a quella sorta di brama dei media di seguire le atroci malefatte dei jihadisti, anche le più esplicitamente orripilanti. Le notizie di attentati in Africa o in Medio Oriente vengono pubblicate, ma restano di sottofondo, poco notate. Si ha l'impressione che, non accadendo, al momento, nulla di spaventoso nel nostro cortile di casa, ci sentiamo sicuri, finalmente liberi dall'incubo terrorismo. Anche perché di incubo ne abbiamo un altro, l'epidemia di Covid-19, che ha causato 250 mila morti nel mondo, di cui più di 29 mila in Italia, e una recessione economica che avrà conseguenze pesanti e durature sulla nostra vita. In questa situazione, jihadisti e di radicalizzati violenti non sono certo la nostra prima preoccupazione. Uno degli effetti, non tragici, del coronavirus è stata la crescita dell'uso di internet e dei social media, anche da parte di persone che fino a poco tempo fa non erano normali frequentatori del web. Il cosiddetto smartworking ha preso il posto del lavoro negli uffici; gli acquisti di ogni genere avvengono via internet; il cibo gourmet ci raggiunge con un click; i social media sono stati gli unici luoghi in cui abbiamo potuto avere contatti con familiari e amici. Il web è stato un'ancora di salvezza per quasi tutti noi; una piattaforma dorata, benché virtuale. Ma cos'ha a che fare tutto questo con i jihadisti e i radicalizzati? Ebbene, non tutto è oro quel che luccica. Anche le organizzazioni salafite e jihadiste hanno usato la rete per discutere dell'epidemia, dare direttive e fare propaganda. In generale, i portavoce di al Qaeda e dello Stato islamico hanno dato regole di comportamento per non essere contagiati, incoraggiando i seguaci a rimanere leali alle proprie organizzazioni e a seguire rigidamente la legge islamica; ai musulmani è stato anche 1
Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L... more Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L'idea deriva dalla rilettura di un classico dell'antropologia culturale e della storia delle religioni, in Italia e in Europa: il volume di Ernesto De Martino intitolato proprio La fine del mondo, pubblicato postumo nel 1977, a dodici anni dalla morte del grande Studioso napoletano, ripubblicato nel 2000 e di cui una nuova edizione, con aggiornamenti critici, è uscita di recente. Il testo contiene una serie di documenti e di appunti che riflettono sulla crisi del mondo contemporaneo a De Martino, a cavallo tra gli anni '40 e '60 del Novecento, attraverso un confronto tra «le diverse rappresentazioni culturali dell'apocalisse» 1 in ambiti profondamente diversi tra loro: le situazioni psicopatologiche; il mondo moderno, come espresso nelle opere letterarie di autori quali Proust, D.H. Lawrence, Albert Camus e Jean Paul Sartre; nelle civiltà antiche; nelle culture di interesse etnologico e, in modo particolare, nei culti millenaristici all'interno di esse; nel cristianesimo; nell'ideologia marxista.
Non lo vogliamo chiamare Stato. Eppure, in tutti gli acronimi che abbiamo usato sino ad ora, ISIL... more Non lo vogliamo chiamare Stato. Eppure, in tutti gli acronimi che abbiamo usato sino ad ora, ISIL, ISIS, IS, la «S» di Stato compare sempre. E compare anche in Da'esh o Da'esh (al-Dawla al-Islamiya fi al-Iraq wa al-Sham), che ora va di moda usare. La «D», in questo caso, sta per dawla, che traduciamo, appunto, Stato; sebbene in modo fuorviante, secondo alcuni studiosi 1 . A quanto pare, in arabo, il termine «da'esh» non ha alcun significato, ma il suono è simile ad altre parole di cui una, oltre ai significati già segnalati 2 , nella forma plurale "daw'aish" significherebbe "bigotti che impongono agli altri il proprio punto di vista" 3 . Insomma, questa parola priva di reale senso potrebbe essere usata come presa in giro o insulto; tanto che, secondo alcune fonti, gli uomini del Califfato avrebbero minacciato di «tagliare la lingua di chiunque, in pubblico, usi l'acronimo Da'esh» 4 . Dunque, visto che i tagliagole taglialingua del sedicente califfato detestano quell'appellativo, numerosi Paesi arabi e tutto l'Occidente hanno deciso di farne uso, i presidenti Hollande e Obama in primis.
di Anna Maria Cossiga «[…] Si può dire che pensare l'immigrazione significa pensare lo Stato e ch... more di Anna Maria Cossiga «[…] Si può dire che pensare l'immigrazione significa pensare lo Stato e che "lo Stato pensa se stesso pensando l'immigrazione" . […] l'immigrazione rappresenta il limite dello stato nazionale, quel limite che mostra ciò che esso è intrinsecamente, la sua verità fondamentale. Lo Stato, per sua stessa natura, discrimina e così si dota preventivamente di tutti i criteri appropriati, necessari per procedere alla discriminazione, senza la quale non esiste lo stato nazionale.
Le pagine che seguono non intendono essere un trattato sullo Stato, né sull'immigrazione. Lo scop... more Le pagine che seguono non intendono essere un trattato sullo Stato, né sull'immigrazione. Lo scopo di chi scrive è, piuttosto, offrire una serie di riflessioni, poco accademiche e piuttosto in libertà, sul difficile rapporto tra Stato-nazione e immigrati, in un momento storico particolarmente critico sia per l'uno, sia per gli altri.
Le migrazioni e le diaspore sono, da sempre, parte della storia dell’umanità. Il mondo globalizza... more Le migrazioni e le diaspore sono, da sempre, parte della storia dell’umanità. Il mondo globalizzato, tuttavia, ne ha accentuato la complessità e sempre di più le scienze umane e sociali sono chiamate ad analizzarne genesi e sviluppi. Partendo da considerazioni geografiche ed antropologiche, gli autori di questo volume prendono in esame le realtà diasporiche nelle loro articolate relazioni con i Paesi di origine e quelli di arrivo, approfondendo i difficili problemi di integrazione sociale e di accettazione del “diverso”, ma rilevando anche le possibilità di incontro e di scambio culturale, sociale ed economico. La possibilità di convivenza tra culture diverse è una delle maggiori sfide cui il mondo attuale si trova di fronte e il razzismo, per utilizzare una felice intuizione di Jean Pierre Taguieffe, “si veste oggi di nuovi abiti”. I saggi qui contenuti non intendono fornire una risposta precisa a tale sfida ma, piuttosto, individuare i mutamenti sociali e culturali in atto e suggerire una riflessione sulle possibilità di arricchimento derivanti dall’incontro con l’alterità. L’esistenza, a tutt’oggi, di antiche comunità diasporiche che sono riuscite non solo a convivere con quelle dei Paesi di approdo, ma che hanno contribuito positivamente allo sviluppo culturale, sociale ed economico di quei Paesi, possono servire d’esempio per superare le difficoltà dei nuovi gruppi di migranti che giungono tra noi.
Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L... more Potrà sembrare insolito discutere, nel medesimo scritto, di "sovranismo" e di "fine del mondo". L'idea deriva dalla rilettura di un classico dell'antropologia culturale e della storia delle religioni, in Italia e in Europa: il volume di Ernesto De Martino intitolato proprio La fine del mondo, pubblicato postumo nel 1977, a dodici anni dalla morte del grande Studioso napoletano, ripubblicato nel 2000 e di cui una nuova edizione, con aggiornamenti critici, è uscita di recente. Il testo contiene una serie di documenti e di appunti che riflettono sulla crisi del mondo contemporaneo a De Martino, a cavallo tra gli anni '40 e '60 del Novecento, attraverso un confronto tra «le diverse rappresentazioni culturali dell'apocalisse» 1 in ambiti profondamente diversi tra loro: le situazioni psicopatologiche; il mondo moderno, come espresso nelle opere letterarie di autori quali Proust, D.H. Lawrence, Albert Camus e Jean Paul Sartre; nelle civiltà antiche; nelle culture di interesse etnologico e, in modo particolare, nei culti millenaristici all'interno di esse; nel cristianesimo; nell'ideologia marxista. Si tratta di un testo complesso ed articolato, il cui spirito può essere compreso citando le parole dello stesso Autore: La fine del mondo […] c'è sempre stata. Che altro vuoi che abbiano pensato gli Incas o gli Aztechi di fronte ai conquistadores spagnoli, questi marziani piovuti da chissà dove, se non che quella era la fine del mondo? Noi possiamo dire che era la fine del loro mondo, ma che cos'è la fine del mondo se non sempre la fine del proprio mondo? 2 Il problema centrale, su cui De Martino ha riflettuto lungo tutto l'arco della sua vita di folosofo, di antropologo e di storico delle religioni, è quello, comune a tutta l'umanità, della presenza, dell'esserci nel mondo. Un concetto complesso che cercheremo di chiarire. L'Uomo vive in un mondo "naturale" caotico e disordinato, pieno di pericoli. Nella storia, i gruppi umani, ciascuno in modo diverso, hanno ideato metodi e tecniche per dominare la natura; hanno creato valori per dare un significato al loro mondo; hanno stabilito norme per vivere in modo ordinato. In breve, hanno dato vita alla "cultura"; o meglio alle "culture". Ogni azione dell'Uomo nel mondo è un'azione culturale che rende possibile la vita, rende possibile "esserci" e, dunque, garantisce la "presenza". Nelle parole di De Martino: il distacco dalla naturalità del vivere si compie intercalando l'ordine degli strumenti materiali e dei regimi di produzione dei beni economici, l'ordine degli strumenti mentali per piegare la natura alle esigenze degli individui e dei gruppi, l'ordine delle regole sociali per disciplinare la divisione del lavoro e i rapporti fra le persone e i gruppi, l'ordine delle regole morali per educare l'individuo ad andare oltre la 'libido' e per dare orizzonte a sentimenti che accennino alla riconoscenza e all'amore, l'ordine della catarsi estetica e della autocoscienza dell'umano operare e produrre e innalzarsi sulla natura. La cultura è questa energia morale del distacco dalla natura per fondare un mondo umano" 3. 1 E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino prima ed. 1977, seconda ed. 2002. L'edizione del 2019 è la traduzione dal francese dell'opus magnum di De Martino sulle apocalissi culturali. Nel testo faremo ricorso a citazioni tratte dalla seconda e terza edizione, specificando ogni volta nelle note l'anno di pubblicazione. 2 E. De Martino, La fine del mondo ecc., 2019, pp. IX-X. 3 E. De Martino, La fine del mondo ecc., 202, pp. 176.178.
The issue of Islamist radicalization and jihadism has become particularly relevant in Europe afte... more The issue of Islamist radicalization and jihadism has become particularly relevant in Europe after the establishment of the so called Islaic State and the attacks of the last few years. Italy, to this date, has remained immune to such attacks. The paper's aim is to offer an overview of the Italian scene, giving an outline of the biographies of the very few Italian home-grown jihadis and trying to explain the country's peculiarity. It also provides hints in order to develop more in-depth research on the subject and especially on the nature of the Italian Muslim community, while also addressing the larger issue of the so-called 'religious radicalization' in its links with the ideology of ISIS.
1 L'interpretazione lineare dell'islam: un pericolo per la coesione della nostra società di Anna ... more 1 L'interpretazione lineare dell'islam: un pericolo per la coesione della nostra società di Anna Maria Cossiga E' plausibile che nell'immaginario collettivo delle società cosiddette occidentali e, in particolare mediterranee, l'islam non goda di buona fama. Storie di crudeli saraceni e "maomettani", e figure come il Feroce Saladino fanno parte del patrimonio narrativo italiano, mentre interiezioni come "mamma li turchi!" sono ancora diffuse. In breve, l'islam quale Nemico, associato a popoli e personaggi di varia provenienza, ma sempre negativi, sembra far parte della nostra cultura popolare.