Massimo Rossi | IUAV University Venice (original) (raw)
Abstract in English at the end of the one in Italian Il pretesto di questo libro è il centenario... more Abstract in English at the end of the one in Italian
Il pretesto di questo libro è il centenario della Grande Guerra che diventò “Prima” solo per un bisogno ordinatore rispetto alla Seconda, e che nelle narrazioni dei protagonisti assunse da subito l’aggettivo che doveva chiarirne la sproporzione rispetto a tutte le precedenti. Ma si tratta appunto di un pretesto per riflettere in realtà sul senso e l’utilità di una disciplina: la geografia.
Una carta geografica è il risultato di un’officina culturale molto attenta a comporre un messaggio mediatico con gli strumenti che le sono propri: i simboli, la scala, i colori, i toponimi, anche se indubbiamente lo “spirito del tempo” non può che pervadere anche il lavoro del geografo, che vive e opera nel medesimo contesto storico in cui si verificano gli eventi, in questo caso una guerra mondiale, che modifica la natura dei luoghi, ridisegnandoli con nuovi attributi su apposite “carte da guerra”. Attraverso una serie di riflessioni e interviste a geografi, storici, antropologi e paesaggisti (Marco Aime, Piero Del Negro, Giuseppe Dematteis, Franco Farinelli, Giuseppe Gullino, Domenico Luciani, Francesco Micelli, Leonardo Rombai, Massimo Quaini), l’autore indaga la formazione di un pensiero dominante e come questo abbia influenzato le carte geografiche che diventarono veri e propri manifesti di propaganda per trasmettere concetti (il confine naturale, la nazione) e rivendicare la sovranità storica, culturale e linguistica su territori sottoposti ad altre entità politiche. Insieme allo Zeitgeist, lo spirito culturale di un’epoca, la monografia esplora anche le mappe di geografi non accademici, come Cesare Battisti, che criticamente proponevano altre letture del rapporto storico tra luoghi e comunità. Ma una carta geografica è anche l’esito di una sottrazione – la terza dimensione – al globo terrestre, e può moltiplicare le proprie potenzialità non appena un artista decide di dialogare con essa. Il libro analizza la straordinaria efficacia del gesto artistico capace di produrre nuova semantica e un diverso approccio tra uomo e immagine del mondo. Dunque, la geografia serve a fare la guerra? Come tutti i saperi la geografia non è né buona né cattiva, dipende dall’uso che ne facciamo, perché è l’uomo a fare la guerra e per raggiungere i suoi obiettivi è disposto a utilizzare tutte le discipline disponibili, quindi non solo la geografia ma anche la fisica, la chimica, la geometria, la matematica, la storia, l’antropologia, la linguistica …
The monograph resumes and develops the themes explored in the exhibition of the same name, held by the Fondazione Benetton Studi Ricerche, and mounted in partnership with Fabrica at the Spazi Bomben, Treviso, 6 November 2016-19 February 2017.
The pretext for this book is the centenary of the Great War, which only became the “First World War” after the Second had established the sequence, and which in the narratives of its protagonists immediately assumed the adjective calculated to underline its utter disproportion from all previous wars. More precisely it is a pretext to reflect on the meaning and utility of a particular discipline: geography.
A map is the result of a cultural workshop very attentive to composing a media message with the tools that are peculiar to it: symbols, scale, colours, place-names. Yet undoubtedly the ‘spirit of the time’ cannot but pervade also the role of the geographer, who lives and works in the same historical context in which the events take place, in this case a world war, which would modify the very nature of the places in which it was fought, re-designing them with new attributes on special ‘war maps’. Through a series of reflections and interviews with geographers, historians, anthropologists and landscape experts (Marco Aime, Piero Del Negro, Giuseppe Dematteis, Franco Farinelli, Giuseppe Gullino, Domenico Luciani, Francesco Micelli, Leonardo Rombai, and Massimo Quaini), the author investigates how a dominant school of thought came to be formed and how this influenced cartography. Maps thus became forms of propaganda, manifestoes to transmit concepts (the natural frontier, the nation) and vindicate the historical, cultural and linguistic sovereignty over territories subjected to other political entities. Together with the Zeitgeist, the cultural spirit of an epoch, the monograph also explores the maps of non-academic geographers, such as Cesare Battisti, who critically proposed other interpretations of the historical rapport between places and communities. But a map is also the result of a subtraction – the third dimension – from the globe, and may multiply its own potentialities as soon as an artist decides to dialogue with it. The book analyzes the extraordinary effectiveness of an artistic gesture capable of producing a new semantic system and a different rapport between man and image of the world. So, is the purpose of geography to make war? Like all forms of knowledge, geography is neither good nor bad: it depends on the use we make of it, because it is man who wakes war, and to achieve his objectives he is willing to use all available disciplines, so not only geography, but physics, chemistry, geometry, mathematics, history, anthropology, linguistics…