Mimma Valentino | Istituto Universitario Orientale, Napoli, Italy (original) (raw)

Papers by Mimma Valentino

Research paper thumbnail of Process and Product in Italian Conceptual Theatre

Tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta la scena sperimentale italiana è attravers... more Tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta la scena sperimentale italiana è attraversata da un profondo fermento artistico e dalla proliferazione di "tendenze", manifestazioni (festival, rassegne) e formazioni teatrali. Nel 1976, in particolare, il Nuovo Teatro italiano si trova a vivere la sua fase più "utopistica": gli artisti della terza generazione dell'avanguardia intraprendono, infatti, una radicale rifondazione del codice scenico. Ciò che emerge in tanti enunciati teorici così come attraverso i lavori proposti è l'idea di un "grado zero" del linguaggio scenico, che viene disarticolato nei suoi segni pre-semantici. Sulla scia della lezione dell'Arte Concettuale, lo specifico teatrale viene sottoposto, dunque, ad un'indagine metariflessiva e scomposto, in maniera analitica, nelle sue unità fonematiche. Il presente saggio si propone di analizzare i processi creativi e la destrutturazione che caratterizzano il Teatro Concettuale, anche attraverso il racconto di alcune delle esperienze più significative emerse in quegli anni.

Research paper thumbnail of Poesia, corpo, spazio: l'officina teatrale della Valdoca. Intervista a Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi a cura di Mimma Valentino

Poesia, corpo, spazio: l'officina teatrale della Valdoca Intervista di Mimma Valentino * La vostr... more Poesia, corpo, spazio: l'officina teatrale della Valdoca Intervista di Mimma Valentino * La vostra vicenda teatrale ha origine tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, un momento molto complesso non solo sul piano storico-culturale, ma anche teatrale. Cosa ha significato per voi esservi formati proprio in quegli anni? Mariangela Gualtieri. [da qui in poi M. G.] Era un periodo anche esaltante. Veniva messa in discussione e poi rotta la rigidità precedente e tutto sembrava chiedere nuove forme, una libertà espressiva che pareva non volere limiti. E siccome noi ci stavamo formando in quegli anni, quell'urgenza di espressione e di libertà divenne il nostro bisogno e la nostra urgenza, la nostra regola. Già alla fine degli anni sessanta Cesare ed io, che allora eravamo compagni di liceo, andavamo al Ridotto del Teatro Bonci di Cesena a vedere gli spettacoli del circuito sperimentale Eti. Era sempre Cesare che col suo fiuto faceva sì che capitassimo nel posto giusto. C'erano sei o sette spettatori in tutto e fra questi, puntualissimi e sempre presenti noi due. Non capivamo, ma c'era qualcosa di inaudito in quegli spettacoli, qualcosa che ci parlava di una sconfinata libertà espressiva, di una forza dei corpi e delle voci, e forse anche ci esaltava la ritualità che intuivamo, e il lavoro comunitario che intuivamo. Quindi fin dal principio il teatro che abbiamo frequentato e amato era molto particolare. Potrei dire che non sapevamo nulla del teatro ufficiale. Negli anni dell'Università abbiamo ottenuto una borsa di studio in Polonia, al fine di studiare il teatro polacco delle marionette, ma una volta arrivati là ci siamo resi conto che quel teatro non ci interessava, non aveva nulla di metafisico, e abbiamo invece scoperto l'esistenza dell'altro teatro, quello di Jerzy Grotowski e di Tadeusz Kantor (di quest'ultimo non si sapeva ancora nulla in Italia). Eravamo dunque fatalmente capitati nel punto più promettente dell'occidente, teatralmente parlando. Ci trovammo davanti i grandi maestri che ci avrebbero accompagnato per tutta la vita. Vedemmo una delle ultime repliche di Apocalipsis cum figuris, facemmo una settimana di lavoro con gli attori del Teatro Laboratorio di Grotowski a Wroclaw e assistemmo di nascosto alle prove de La classe Morta, nella sotterranea * L'intervista è il frutto di una serie di conversazioni con Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi, tenutesi tra settembre 2016 e aprile 2017, e di alcuni interrogativi sciolti privatamente da Mariangela Gualtieri. Desidero ringraziare entrambi per la disponibilità e la generosità nonchè per la possibilità offertami di seguire da vicino, presso la dimora di Mondaino, alcuni momenti del lavoro di costruzione di Giuramenti. Un grazie particolare va anche a Lorella Barlaam per la preziosa collaborazione e per le illuminanti chiacchierate.

Research paper thumbnail of L'affresco lirico di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi

Il 'misterioso concerto' della Valdoca Buio e silenzio. Azioni minime e contemplazione. Ascolto d... more Il 'misterioso concerto' della Valdoca Buio e silenzio. Azioni minime e contemplazione. Ascolto dello spazio e mistica dello sguardo, anzitutto dello spettatore, chiamato a svelare enigmatiche sequenze gestuali o figurazioni geometriche. Sono questi i tratti estetici, le tracce poetiche che contraddistinguono i primi lavori di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi. L'una drammaturga, poetessa e attrice; l'altro regista. Entrambi fondatori del Teatro della Valdoca, a Cesena, nel 1983, sulla scia dell'esperienza del Collettivo Valdoca, attivo negli anni Settanta. Per i due artisti l'avvicinamento all'universo teatrale avviene durante gli anni dell'università, mentre studiano alla facoltà di Architettura presso lo IUAV di Venezia. A metà degli anni Settanta, grazie a una borsa di studio in Polonia, hanno modo di entrare in contatto con il lavoro di Grotowski e di Kantor; parallelamente cominciano a dedicarsi a spettacoli di animazione o ad azioni di strada nonché a iniziative seminariali e laboratoriali presso le scuole. La matrice di queste prime esperienze è anzitutto visiva, anche se la ricerca pittorica e plastica del gruppo si sposa sempre con l'interesse per la componente ritmica e musicale. All'inizio era teatro di figura e di animazione, per la scelta dei suoi fondatori, laureati in architettura con tesi sul rapporto tra bambini e spazio urbano e sulla trasformazione dell'ambiente contadino padano, ma era anche teatro d'avanguardia, impegnato, come tanti altri in quegli anni, nella ricerca di nuovi spazi e nuovi pubblici. Questa fase culmina nel 1978, con la collaborazione con il Bread and Puppet americano e la sua filiazione italiana Pupi e Fresedde. Ma nello stesso periodo uno spettacolo, Tre brevi storie, segna il distacco dalle tecniche tradizionali del teatro di figura e l'inizio di un confronto con le modalità del fumetto, della TV, del cinema d'animazione e della pubblicità. 1 Lavori come Tre brevi storie (1980) e il successivo Tavole sinottiche (1981) segnano un momento di maturazione per la formazione, in direzione di un teatro più professionale; una vera e propria svolta, però, avviene a partire da Lo spazio della quiete (1983), spettacolo d'esordio della neonata 1 A. Attisani, Differente e meravigliosa, in Teatro della Valdoca, Lo spazio della quiete, Cesena, Teatro della Valdoca, 1983, p. 8. A questi primissimi anni risalgono lavori come La ballata dei 14 giorni di Masaniello (1978) e Chiaroscuri (1980) nonché la partecipazione a diverse manifestazioni (Estateromanaottanta, realizzata dal Comune di Roma nel 1980; 'Lo starnuto di Ercole', organizzata a Imola nel 1981).

Research paper thumbnail of Acting Archives Review_Anno VIII numero 15 Maggio 2018

Research paper thumbnail of Gli anni sessanta la critica e i nuovi modelli di recitazione_il living theatre in italia la critica.pdf

Articoli: Sulla critica della recitazione; Mara Fazio, Voltaire. Le lettere agli attori; Edoardo ... more Articoli: Sulla critica della recitazione; Mara Fazio, Voltaire. Le lettere agli attori; Edoardo Giovanni Carlotti, La natura reticente. La critica teatrale di G.H. Lewes attraverso i suoi studi psicofisiologici; Olga Jesurum, L'opera lirica e la recitazione nella critica italiana del primo Ottocento; Donatella Orecchia, Cronache d'inizio Novecento. Appunti su Alessandro Varaldo e l'attore; Tancredi Gusman, Kerr, Ihering e la critica della recitazione; Adele Cacciagrano, Guerrieri-Grotowski: appunti di un incontro mancato; Gli anni sessanta: la critica e i nuovi modelli di recitazione. Interventi di Lorenzo Mango, Daniela Visone, Salvatore Margiotta, Mimma Valentino. Materiali: Jean Dumas d'Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen al garzone del caffè, ovvero conversazione sui difetti della declamazione. Introduzione, traduzione e note di Valeria De Gregorio; August Wilhelm Iffland, Teoria della recitazione. Introduzione, traduzione e note di Daniela Minichiello.

Research paper thumbnail of Acting Archives Review Anno VII numero 14 Novermbre 2017

Research paper thumbnail of Il sincrono di Pierangela Allegro e Michele Sambin-Tam

portano in scena, presso il Palazzo dei Diamanti, Armoniche, lavoro d'esordio del Tam Teatromusic... more portano in scena, presso il Palazzo dei Diamanti, Armoniche, lavoro d'esordio del Tam Teatromusica. Il gruppo, sin da questa prima performance, mette in luce la volontà di portare avanti una sperimentazione scenica 'eccentrica', fondata sul dialogo tra suono e immagine. In tal senso la vicenda del Tam appare fortemente segnata anzitutto dalla biografia artistica di Sambin e dalla sua intenzioneespressa anche nell'esperienza precedente alla fondazione del gruppo -di conciliare musica e pittura, ricorrendo, inoltre, alle potenzialità espressive del cinema, del video, della performance. Del resto nel 1980 i tre membri del gruppo hanno già alle spalle alcune esperienze significative. Michele Sambin, al momento della fondazione del Tam, vanta un'attività di ricerca più che decennale; alla fine degli anni Sessanta, infatti, realizza dei film sperimentali in superotto in cui esplora le possibilità espressive del mezzo cinematografico: Anamnesi (1968), La La Brun Brun (1969), 1 e 2 (1969). Nel 1970 si iscrive all'Università Internazionale dell'Arte (UIA) di Venezia, dove ha modo di entrare in contatto con un ambiente culturale particolarmente fertile e di conoscere artisti provenienti da diverse parti del mondo. Frequenta, poi, il corso di Musica elettronica presso il Conservatorio di Venezia, diplomandosi nel 1978. La scelta del mezzo filmico e il percorso di studi rivelano come per Sambin il binomio musica-immagine costituisca una 'necessità', un dato imprescindibile sin dai tempi delle sue prime esperienze artistiche 1 . Numi tutelari di questi primi anni sono Giuseppe Mazzariol 2 e Teresa Rampazzi 3 , con cui materialmente studia, a cui vanno, però, aggiunti gli 1 «Il punto di partenza -ricorda Sambin -è il rapporto immagine/suono, il non separare queste due mie grandi passioni e, sul finire degli anni '60, l'unico strumento che consentiva di farlo era il super 8», in B. Martino, Michele Sambin: la natura effimera delle immagini e dei suoni, in «il Manifesto», 31 gennaio 2015. 2 Giuseppe Mazzariol è stato tra gli ideatori e i più convinti animatori della UIA, ospitando visiting professor e personalità artistiche di tutto il mondo. 3 Teresa Rampazzi, compositrice e pianista vicentina, si è occupata di musica elettronica, approfondendone le possibilità espressive e cercando di diffonderne lo studio (a lei si deve l'introduzione dell'insegnamento di questa disciplina al Conservatorio di Padova).

Research paper thumbnail of Intervista Allegro-Sambin-Tam_Mimma Valentino

La storia del gruppo, o meglio, quella che può essere considerata la 'preistoria' del Tam cominci... more La storia del gruppo, o meglio, quella che può essere considerata la 'preistoria' del Tam comincia con l'esperienza che hai fatto tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta. Si tratta di un'esperienza poliedrica: l'interesse per la musica, l'urgenza pittorica, il mezzo filmico e, infine, il video. Michele Sambin. [da qui in poi M.S.] Sì. Il dato di partenza è un'impossibilità: il desiderio di non rinunciare a qualche cosa. Nella mia visione artistica, la questione fondamentale era coniugare immagine e suono che, per me, sin da giovane, rappresentavano un continuum. A questo aggiungi quella che dal mio punto di vista era una possibilità: passare dall'intenzione di disegnare degli schizzi su un foglio all'idea di lavorare sulle immagini attraverso la pellicola o il nastro magnetico. Si tratta di un'apertura di sguardo rispetto a una compresenza che inizialmente si serve del mezzo filmico e, poi, del video. Il mio lavoro parte, quindi, da una dimensione di dualità. La prima componente è l'immagine. L'altro elemento forte è l'interesse per la musica. Tieni conto che i miei riferimenti allora erano Ėjzeinštein e Prokof'ev, i grandi classici, Walt Disney, ma anche l'animazione, McLaren. Parallelamente avevo avuto la possibilità di incontrare Cage, Stockhausen e, quindi, avevo assorbito molto da questo universo più musicale che pittorico. Cage, in particolare, aveva in qualche modo aperto nuovi mondi. Il 'dopo Cage' poteva tradursi nel tentativo di costruire dei linguaggi, un linguaggio, avendo alle spalle una figura come la sua e cercando di allargare i confini dello specifico cinematografico. A un certo punto, poi, ho iniziato a lavorare sul video, uno strumento assolutamente nuovo di cui ho cominciato a indagare le possibilità. Quindi ciò che mi interessava era un'ampia ricerca sul linguaggio. Mi ponevo un preciso interrogativo: «Cosa si può fare con il video e cosa si può fare con il cinema in una dimensione che non abbia una derivazione letteraria?». Ecco allora il riferimento alle avanguardie artistiche, ai pittori * L'intervista si è svolta a Padova il 14 e 15 marzo 2015.

Research paper thumbnail of Gli anni sessanta: la critica e i nuovi modelli di recitazione

Una premessa La costruzione dell'identità artistica del Nuovo Teatro, nell'Italia degli anni sess... more Una premessa La costruzione dell'identità artistica del Nuovo Teatro, nell'Italia degli anni sessanta, fu un processo assai più articolato, complesso e anche lento di quanto possa apparire oggi a distanza di tanti decenni. Più che una sorta di 'programma' artistico condiviso, quanto meno nelle sue direttrici maggiori, sembra risultare, ad uno sguardo ravvicinato, una gemmazione di cose diverse, di tentativi vitali ma molto spesso marginali, di ipotesi e intuizioni destinate ad assestarsi nel tempo definendo una sorta di nuovo sistema linguistico. Ci volle, di fatto, l'intero decennio perché le premesse di innovazione si definissero come un vero e proprio nuovo e 'altro' sistema di linguaggio. 1 Questo vale anche per la recitazione che, assieme ad un nuovo concetto di spazio scenico, è l'elemento che assume maggiore centralità all'interno del nuovo codice della scrittura scenica -per reazione all'egemonia del testo verbale -ma è anche quello che ha avuto bisogno di un più lungo periodo di gestazione per giungere ad una sua più chiara definizione. Si tratta di un processo che parte da questioni di interpretazione, ancora dominanti negli anni cinquanta e in buona parte dei sessanta, che avevano al centro le diverse applicazioni dello straniamento brechtiano, per giungere a una vera e propria rivoluzione concettuale, che diventa anche terminologica, come espresso a metà degli anni ottanta dal concetto di performer di Grotowski eletto a termine antagonista rispetto ad attore, un termine 'altro' insomma. 2 Questi due estremi, lo straniamento brechtiano e il performer grotowskiano, hanno una funzione meramente organizzativa nella nostra 1 La dimensione dell'alterità come qualità ancora più specifica che la novità per caratterizzare i processi che caratterizzano gli anni sessanta è messa in gioco da Maurizio Grande in un suo intervento in occasione del ventennale del Convegno per un nuovo teatro di Ivrea 1967. Scrive Grande: «La dizione Nuovo Teatro è frutto di un equivoco terminologico e teorico […]. Quando parliamo di teatro di ricerca e/o sperimentazione in Italia, parliamo di 'altro' teatro», in E. Fadini, Ivrea la bella, vent'anni dopo, in «Il castello di Elsinore», n. 1, 1988, p. 102. 2 Nel 1987 Jerzy Grotowski tenne una conferenza intitolata, appunto, Il performer, che ha avuto una successiva vicenda editoriale, su «Art Press» in Francia nel maggio 1987, successivamente in Italia su «Teatro e Storia», vol. IV, aprile 1988 e in inglese, rivista e ampliata, nel Grotowski Sourcebook, a cura di R. Schechner e L. Wolford, Londra, Routledge, 1997. Dalla edizione ampliata inglese è tratta una nuova versione italiana in J. Grotowski, Testi 1968-1998, a cura di A. Attisani e M. Biagini, Roma, Bulzoni, 2007

Research paper thumbnail of La dizione. Come si insegna oggi in Italia

The essay discusses the pedagogical methods adopted by teachers at a number of Italian drama scho... more The essay discusses the pedagogical methods adopted by teachers at a number of Italian drama schools to teach diction and the use of voice in general. Diction had always been considered a crucial aspect of an actor’s training. During the twentieth century, however, voice and speech training for actors changed significantly.
The present work, which is the result of various conversations with numerous teachers and of the active observation of the different phases of voice training, illustrates the basic themes and operating modes that currently inspire the working methods of a number of vocal coaches. Through a survey of these contemporary didactic approaches, contrasted with older acting handbooks, it is possible to get an idea of the changes in the teaching of diction in recent decades, changes also stimulated by the contribution of other disciplines (speech therapy, phoniatrics, etc.) and of methodologies tested abroad.

Research paper thumbnail of Licia Maglietta: 'Delirio d'attrice'_Mimma Valentino.pdf

Delirio' d'attrice: dalle performance postmoderne al teatro di parola Intervista e nota introdutt... more Delirio' d'attrice: dalle performance postmoderne al teatro di parola Intervista e nota introduttiva di Mimma Valentino *

Books by Mimma Valentino

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Displace Altofest, 2018

Considering the questions arisen from Altofest on a more theoretical and existential level, an in... more Considering the questions arisen from Altofest on a more theoretical and existential level, an interesting research path has been offered by an etymological analysis of the term displace, which brings together the suffix dis – which means ‘far away’, ‘apart’, ‘separated’, but also ‘having a privative, negative, or reversing force’– and the verb ‘place’, meaning ‘collocating, situating, putting in a given place’. In fact, this word seems to evoke a self-contradictory movement, which is difficult to conceive: a movement which seems to go in the direction of a given place, with the aim of causing its loss, a gesture which puts something in relation with space and at the same time separates it from the space itself. In this perspective, the term ‘displace” evokes also numerous situations which reveal how the contemporary relation with space becomes confused, contradictory, complex. “Space becomes a question to us” as Georges Perec wrote.
Starting from this meaning of the verb displace, we have looked at Altofest and the processes it generates as a field of experiences, where to comprehend how the relationship with spaces becomes problematic nowadays.

edited by
Silvia Mei and Loretta Mesiti

cover and book design by
Davide Sforza

for English translation and revision, special thanks to
Rosa Coppola, Anna Estdhal, Carlo Eugeni, Serenella Martufi,
Rossella Mazzaglia, Angelo Romagnoli and Anna Trono

Produced by
Valletta 2018 Foundation
TeatrInGestAzione and Altofest - International Contemporary Live Art

with the support of
Ambasciata Italiana a Malta - Istituto Italiano di Cultura La Valletta
Mactt - Mediterranean Academy of Culture, Tourism and Trade

this book features a link to
On the Dust Island
A documentary film crossing by Altofest Malta 2018
filmed by Giuseppe Valentino

Copyright
© Valletta 2018 Foundation - all rights reserved
Exchange Buildings, Republic Street, Valletta, VLT 1117
© TeatrInGestAzione, 2018 - all rights reserved
Via mezzocannone, 19 - 80134 Napoli

valletta2018.org - altofest.net

typed in Malta by Printcare Press - October 2018

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Tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta la scena sperimentale italiana è attravers... more Tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta la scena sperimentale italiana è attraversata da un profondo fermento artistico e dalla proliferazione di "tendenze", manifestazioni (festival, rassegne) e formazioni teatrali. Nel 1976, in particolare, il Nuovo Teatro italiano si trova a vivere la sua fase più "utopistica": gli artisti della terza generazione dell'avanguardia intraprendono, infatti, una radicale rifondazione del codice scenico. Ciò che emerge in tanti enunciati teorici così come attraverso i lavori proposti è l'idea di un "grado zero" del linguaggio scenico, che viene disarticolato nei suoi segni pre-semantici. Sulla scia della lezione dell'Arte Concettuale, lo specifico teatrale viene sottoposto, dunque, ad un'indagine metariflessiva e scomposto, in maniera analitica, nelle sue unità fonematiche. Il presente saggio si propone di analizzare i processi creativi e la destrutturazione che caratterizzano il Teatro Concettuale, anche attraverso il racconto di alcune delle esperienze più significative emerse in quegli anni.

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Poesia, corpo, spazio: l'officina teatrale della Valdoca Intervista di Mimma Valentino * La vostr... more Poesia, corpo, spazio: l'officina teatrale della Valdoca Intervista di Mimma Valentino * La vostra vicenda teatrale ha origine tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, un momento molto complesso non solo sul piano storico-culturale, ma anche teatrale. Cosa ha significato per voi esservi formati proprio in quegli anni? Mariangela Gualtieri. [da qui in poi M. G.] Era un periodo anche esaltante. Veniva messa in discussione e poi rotta la rigidità precedente e tutto sembrava chiedere nuove forme, una libertà espressiva che pareva non volere limiti. E siccome noi ci stavamo formando in quegli anni, quell'urgenza di espressione e di libertà divenne il nostro bisogno e la nostra urgenza, la nostra regola. Già alla fine degli anni sessanta Cesare ed io, che allora eravamo compagni di liceo, andavamo al Ridotto del Teatro Bonci di Cesena a vedere gli spettacoli del circuito sperimentale Eti. Era sempre Cesare che col suo fiuto faceva sì che capitassimo nel posto giusto. C'erano sei o sette spettatori in tutto e fra questi, puntualissimi e sempre presenti noi due. Non capivamo, ma c'era qualcosa di inaudito in quegli spettacoli, qualcosa che ci parlava di una sconfinata libertà espressiva, di una forza dei corpi e delle voci, e forse anche ci esaltava la ritualità che intuivamo, e il lavoro comunitario che intuivamo. Quindi fin dal principio il teatro che abbiamo frequentato e amato era molto particolare. Potrei dire che non sapevamo nulla del teatro ufficiale. Negli anni dell'Università abbiamo ottenuto una borsa di studio in Polonia, al fine di studiare il teatro polacco delle marionette, ma una volta arrivati là ci siamo resi conto che quel teatro non ci interessava, non aveva nulla di metafisico, e abbiamo invece scoperto l'esistenza dell'altro teatro, quello di Jerzy Grotowski e di Tadeusz Kantor (di quest'ultimo non si sapeva ancora nulla in Italia). Eravamo dunque fatalmente capitati nel punto più promettente dell'occidente, teatralmente parlando. Ci trovammo davanti i grandi maestri che ci avrebbero accompagnato per tutta la vita. Vedemmo una delle ultime repliche di Apocalipsis cum figuris, facemmo una settimana di lavoro con gli attori del Teatro Laboratorio di Grotowski a Wroclaw e assistemmo di nascosto alle prove de La classe Morta, nella sotterranea * L'intervista è il frutto di una serie di conversazioni con Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi, tenutesi tra settembre 2016 e aprile 2017, e di alcuni interrogativi sciolti privatamente da Mariangela Gualtieri. Desidero ringraziare entrambi per la disponibilità e la generosità nonchè per la possibilità offertami di seguire da vicino, presso la dimora di Mondaino, alcuni momenti del lavoro di costruzione di Giuramenti. Un grazie particolare va anche a Lorella Barlaam per la preziosa collaborazione e per le illuminanti chiacchierate.

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Il 'misterioso concerto' della Valdoca Buio e silenzio. Azioni minime e contemplazione. Ascolto d... more Il 'misterioso concerto' della Valdoca Buio e silenzio. Azioni minime e contemplazione. Ascolto dello spazio e mistica dello sguardo, anzitutto dello spettatore, chiamato a svelare enigmatiche sequenze gestuali o figurazioni geometriche. Sono questi i tratti estetici, le tracce poetiche che contraddistinguono i primi lavori di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi. L'una drammaturga, poetessa e attrice; l'altro regista. Entrambi fondatori del Teatro della Valdoca, a Cesena, nel 1983, sulla scia dell'esperienza del Collettivo Valdoca, attivo negli anni Settanta. Per i due artisti l'avvicinamento all'universo teatrale avviene durante gli anni dell'università, mentre studiano alla facoltà di Architettura presso lo IUAV di Venezia. A metà degli anni Settanta, grazie a una borsa di studio in Polonia, hanno modo di entrare in contatto con il lavoro di Grotowski e di Kantor; parallelamente cominciano a dedicarsi a spettacoli di animazione o ad azioni di strada nonché a iniziative seminariali e laboratoriali presso le scuole. La matrice di queste prime esperienze è anzitutto visiva, anche se la ricerca pittorica e plastica del gruppo si sposa sempre con l'interesse per la componente ritmica e musicale. All'inizio era teatro di figura e di animazione, per la scelta dei suoi fondatori, laureati in architettura con tesi sul rapporto tra bambini e spazio urbano e sulla trasformazione dell'ambiente contadino padano, ma era anche teatro d'avanguardia, impegnato, come tanti altri in quegli anni, nella ricerca di nuovi spazi e nuovi pubblici. Questa fase culmina nel 1978, con la collaborazione con il Bread and Puppet americano e la sua filiazione italiana Pupi e Fresedde. Ma nello stesso periodo uno spettacolo, Tre brevi storie, segna il distacco dalle tecniche tradizionali del teatro di figura e l'inizio di un confronto con le modalità del fumetto, della TV, del cinema d'animazione e della pubblicità. 1 Lavori come Tre brevi storie (1980) e il successivo Tavole sinottiche (1981) segnano un momento di maturazione per la formazione, in direzione di un teatro più professionale; una vera e propria svolta, però, avviene a partire da Lo spazio della quiete (1983), spettacolo d'esordio della neonata 1 A. Attisani, Differente e meravigliosa, in Teatro della Valdoca, Lo spazio della quiete, Cesena, Teatro della Valdoca, 1983, p. 8. A questi primissimi anni risalgono lavori come La ballata dei 14 giorni di Masaniello (1978) e Chiaroscuri (1980) nonché la partecipazione a diverse manifestazioni (Estateromanaottanta, realizzata dal Comune di Roma nel 1980; 'Lo starnuto di Ercole', organizzata a Imola nel 1981).

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Articoli: Sulla critica della recitazione; Mara Fazio, Voltaire. Le lettere agli attori; Edoardo ... more Articoli: Sulla critica della recitazione; Mara Fazio, Voltaire. Le lettere agli attori; Edoardo Giovanni Carlotti, La natura reticente. La critica teatrale di G.H. Lewes attraverso i suoi studi psicofisiologici; Olga Jesurum, L'opera lirica e la recitazione nella critica italiana del primo Ottocento; Donatella Orecchia, Cronache d'inizio Novecento. Appunti su Alessandro Varaldo e l'attore; Tancredi Gusman, Kerr, Ihering e la critica della recitazione; Adele Cacciagrano, Guerrieri-Grotowski: appunti di un incontro mancato; Gli anni sessanta: la critica e i nuovi modelli di recitazione. Interventi di Lorenzo Mango, Daniela Visone, Salvatore Margiotta, Mimma Valentino. Materiali: Jean Dumas d'Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen al garzone del caffè, ovvero conversazione sui difetti della declamazione. Introduzione, traduzione e note di Valeria De Gregorio; August Wilhelm Iffland, Teoria della recitazione. Introduzione, traduzione e note di Daniela Minichiello.

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portano in scena, presso il Palazzo dei Diamanti, Armoniche, lavoro d'esordio del Tam Teatromusic... more portano in scena, presso il Palazzo dei Diamanti, Armoniche, lavoro d'esordio del Tam Teatromusica. Il gruppo, sin da questa prima performance, mette in luce la volontà di portare avanti una sperimentazione scenica 'eccentrica', fondata sul dialogo tra suono e immagine. In tal senso la vicenda del Tam appare fortemente segnata anzitutto dalla biografia artistica di Sambin e dalla sua intenzioneespressa anche nell'esperienza precedente alla fondazione del gruppo -di conciliare musica e pittura, ricorrendo, inoltre, alle potenzialità espressive del cinema, del video, della performance. Del resto nel 1980 i tre membri del gruppo hanno già alle spalle alcune esperienze significative. Michele Sambin, al momento della fondazione del Tam, vanta un'attività di ricerca più che decennale; alla fine degli anni Sessanta, infatti, realizza dei film sperimentali in superotto in cui esplora le possibilità espressive del mezzo cinematografico: Anamnesi (1968), La La Brun Brun (1969), 1 e 2 (1969). Nel 1970 si iscrive all'Università Internazionale dell'Arte (UIA) di Venezia, dove ha modo di entrare in contatto con un ambiente culturale particolarmente fertile e di conoscere artisti provenienti da diverse parti del mondo. Frequenta, poi, il corso di Musica elettronica presso il Conservatorio di Venezia, diplomandosi nel 1978. La scelta del mezzo filmico e il percorso di studi rivelano come per Sambin il binomio musica-immagine costituisca una 'necessità', un dato imprescindibile sin dai tempi delle sue prime esperienze artistiche 1 . Numi tutelari di questi primi anni sono Giuseppe Mazzariol 2 e Teresa Rampazzi 3 , con cui materialmente studia, a cui vanno, però, aggiunti gli 1 «Il punto di partenza -ricorda Sambin -è il rapporto immagine/suono, il non separare queste due mie grandi passioni e, sul finire degli anni '60, l'unico strumento che consentiva di farlo era il super 8», in B. Martino, Michele Sambin: la natura effimera delle immagini e dei suoni, in «il Manifesto», 31 gennaio 2015. 2 Giuseppe Mazzariol è stato tra gli ideatori e i più convinti animatori della UIA, ospitando visiting professor e personalità artistiche di tutto il mondo. 3 Teresa Rampazzi, compositrice e pianista vicentina, si è occupata di musica elettronica, approfondendone le possibilità espressive e cercando di diffonderne lo studio (a lei si deve l'introduzione dell'insegnamento di questa disciplina al Conservatorio di Padova).

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La storia del gruppo, o meglio, quella che può essere considerata la 'preistoria' del Tam cominci... more La storia del gruppo, o meglio, quella che può essere considerata la 'preistoria' del Tam comincia con l'esperienza che hai fatto tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta. Si tratta di un'esperienza poliedrica: l'interesse per la musica, l'urgenza pittorica, il mezzo filmico e, infine, il video. Michele Sambin. [da qui in poi M.S.] Sì. Il dato di partenza è un'impossibilità: il desiderio di non rinunciare a qualche cosa. Nella mia visione artistica, la questione fondamentale era coniugare immagine e suono che, per me, sin da giovane, rappresentavano un continuum. A questo aggiungi quella che dal mio punto di vista era una possibilità: passare dall'intenzione di disegnare degli schizzi su un foglio all'idea di lavorare sulle immagini attraverso la pellicola o il nastro magnetico. Si tratta di un'apertura di sguardo rispetto a una compresenza che inizialmente si serve del mezzo filmico e, poi, del video. Il mio lavoro parte, quindi, da una dimensione di dualità. La prima componente è l'immagine. L'altro elemento forte è l'interesse per la musica. Tieni conto che i miei riferimenti allora erano Ėjzeinštein e Prokof'ev, i grandi classici, Walt Disney, ma anche l'animazione, McLaren. Parallelamente avevo avuto la possibilità di incontrare Cage, Stockhausen e, quindi, avevo assorbito molto da questo universo più musicale che pittorico. Cage, in particolare, aveva in qualche modo aperto nuovi mondi. Il 'dopo Cage' poteva tradursi nel tentativo di costruire dei linguaggi, un linguaggio, avendo alle spalle una figura come la sua e cercando di allargare i confini dello specifico cinematografico. A un certo punto, poi, ho iniziato a lavorare sul video, uno strumento assolutamente nuovo di cui ho cominciato a indagare le possibilità. Quindi ciò che mi interessava era un'ampia ricerca sul linguaggio. Mi ponevo un preciso interrogativo: «Cosa si può fare con il video e cosa si può fare con il cinema in una dimensione che non abbia una derivazione letteraria?». Ecco allora il riferimento alle avanguardie artistiche, ai pittori * L'intervista si è svolta a Padova il 14 e 15 marzo 2015.

Research paper thumbnail of Gli anni sessanta: la critica e i nuovi modelli di recitazione

Una premessa La costruzione dell'identità artistica del Nuovo Teatro, nell'Italia degli anni sess... more Una premessa La costruzione dell'identità artistica del Nuovo Teatro, nell'Italia degli anni sessanta, fu un processo assai più articolato, complesso e anche lento di quanto possa apparire oggi a distanza di tanti decenni. Più che una sorta di 'programma' artistico condiviso, quanto meno nelle sue direttrici maggiori, sembra risultare, ad uno sguardo ravvicinato, una gemmazione di cose diverse, di tentativi vitali ma molto spesso marginali, di ipotesi e intuizioni destinate ad assestarsi nel tempo definendo una sorta di nuovo sistema linguistico. Ci volle, di fatto, l'intero decennio perché le premesse di innovazione si definissero come un vero e proprio nuovo e 'altro' sistema di linguaggio. 1 Questo vale anche per la recitazione che, assieme ad un nuovo concetto di spazio scenico, è l'elemento che assume maggiore centralità all'interno del nuovo codice della scrittura scenica -per reazione all'egemonia del testo verbale -ma è anche quello che ha avuto bisogno di un più lungo periodo di gestazione per giungere ad una sua più chiara definizione. Si tratta di un processo che parte da questioni di interpretazione, ancora dominanti negli anni cinquanta e in buona parte dei sessanta, che avevano al centro le diverse applicazioni dello straniamento brechtiano, per giungere a una vera e propria rivoluzione concettuale, che diventa anche terminologica, come espresso a metà degli anni ottanta dal concetto di performer di Grotowski eletto a termine antagonista rispetto ad attore, un termine 'altro' insomma. 2 Questi due estremi, lo straniamento brechtiano e il performer grotowskiano, hanno una funzione meramente organizzativa nella nostra 1 La dimensione dell'alterità come qualità ancora più specifica che la novità per caratterizzare i processi che caratterizzano gli anni sessanta è messa in gioco da Maurizio Grande in un suo intervento in occasione del ventennale del Convegno per un nuovo teatro di Ivrea 1967. Scrive Grande: «La dizione Nuovo Teatro è frutto di un equivoco terminologico e teorico […]. Quando parliamo di teatro di ricerca e/o sperimentazione in Italia, parliamo di 'altro' teatro», in E. Fadini, Ivrea la bella, vent'anni dopo, in «Il castello di Elsinore», n. 1, 1988, p. 102. 2 Nel 1987 Jerzy Grotowski tenne una conferenza intitolata, appunto, Il performer, che ha avuto una successiva vicenda editoriale, su «Art Press» in Francia nel maggio 1987, successivamente in Italia su «Teatro e Storia», vol. IV, aprile 1988 e in inglese, rivista e ampliata, nel Grotowski Sourcebook, a cura di R. Schechner e L. Wolford, Londra, Routledge, 1997. Dalla edizione ampliata inglese è tratta una nuova versione italiana in J. Grotowski, Testi 1968-1998, a cura di A. Attisani e M. Biagini, Roma, Bulzoni, 2007

Research paper thumbnail of La dizione. Come si insegna oggi in Italia

The essay discusses the pedagogical methods adopted by teachers at a number of Italian drama scho... more The essay discusses the pedagogical methods adopted by teachers at a number of Italian drama schools to teach diction and the use of voice in general. Diction had always been considered a crucial aspect of an actor’s training. During the twentieth century, however, voice and speech training for actors changed significantly.
The present work, which is the result of various conversations with numerous teachers and of the active observation of the different phases of voice training, illustrates the basic themes and operating modes that currently inspire the working methods of a number of vocal coaches. Through a survey of these contemporary didactic approaches, contrasted with older acting handbooks, it is possible to get an idea of the changes in the teaching of diction in recent decades, changes also stimulated by the contribution of other disciplines (speech therapy, phoniatrics, etc.) and of methodologies tested abroad.

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Delirio' d'attrice: dalle performance postmoderne al teatro di parola Intervista e nota introdutt... more Delirio' d'attrice: dalle performance postmoderne al teatro di parola Intervista e nota introduttiva di Mimma Valentino *

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Displace Altofest, 2018

Considering the questions arisen from Altofest on a more theoretical and existential level, an in... more Considering the questions arisen from Altofest on a more theoretical and existential level, an interesting research path has been offered by an etymological analysis of the term displace, which brings together the suffix dis – which means ‘far away’, ‘apart’, ‘separated’, but also ‘having a privative, negative, or reversing force’– and the verb ‘place’, meaning ‘collocating, situating, putting in a given place’. In fact, this word seems to evoke a self-contradictory movement, which is difficult to conceive: a movement which seems to go in the direction of a given place, with the aim of causing its loss, a gesture which puts something in relation with space and at the same time separates it from the space itself. In this perspective, the term ‘displace” evokes also numerous situations which reveal how the contemporary relation with space becomes confused, contradictory, complex. “Space becomes a question to us” as Georges Perec wrote.
Starting from this meaning of the verb displace, we have looked at Altofest and the processes it generates as a field of experiences, where to comprehend how the relationship with spaces becomes problematic nowadays.

edited by
Silvia Mei and Loretta Mesiti

cover and book design by
Davide Sforza

for English translation and revision, special thanks to
Rosa Coppola, Anna Estdhal, Carlo Eugeni, Serenella Martufi,
Rossella Mazzaglia, Angelo Romagnoli and Anna Trono

Produced by
Valletta 2018 Foundation
TeatrInGestAzione and Altofest - International Contemporary Live Art

with the support of
Ambasciata Italiana a Malta - Istituto Italiano di Cultura La Valletta
Mactt - Mediterranean Academy of Culture, Tourism and Trade

this book features a link to
On the Dust Island
A documentary film crossing by Altofest Malta 2018
filmed by Giuseppe Valentino

Copyright
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typed in Malta by Printcare Press - October 2018