Ermenegildo Zegna ci ha insegnato che i veri imprenditori sono quelli che si spendono per il territorio (original) (raw)
Nel 1909, compare sul periodico Ars et Labor un articolo intitolato “Il pittoresco delle industrie nel biellese”: nel pezzo, l’autore Aristide Manassero si stupisce di come il territorio piemontese abbia inglobato in maniera quasi naturale gli opifici, in maggioranza lanifici, e i laboratori artigianali, facendoli diventare parte integrante del panorama e simboli dello sviluppo della zona. I primi a portare sul territorio un primitivo sistema di filatura e tessitura erano stati i Celti, migrati nell’Italia settentrionale nel 700 a.C., i cui rudimentali attrezzi lasciarono nei secoli il posto ai macchinari delle fabbriche, senza tradire la vocazione del territorio biellese per i tessuti. Tra i tanti laboratori tessili a cavallo di Ottocento e Novecento c’è anche quello di Michelangelo – detto Angelo – Zegna, un ex orologiaio che ha deciso di cambiare vita alla soglia dei quarant’anni. Angelo si sposta da Trivero, il paese in cui è nato, per stabilire la sua fabbrica a Flecchia, piccolo comune della Valsessera poco lontano e paese della sua seconda moglie, ma quando un incendio distrugge i suoi telai ci ripensa. Quella di Angelo è una scelta coraggiosa, soprattutto considerando il fatto che ha ben dieci figli da mantenere. Fra questi c’è anche l’ultimo figlio maschio, Ermenegildo, che, come spesso succede agli ultimi nati delle famiglie numerose, è costretto a imparare presto a cavarsela da solo. A sei anni Gildo viene affidato per l’istruzione primaria al parroco di Trivero, che lo porta con sé in qualunque occasione, compresa l’assistenza ai morenti, che segna il bambino.
Emenegildo Zegna
Ermenegildo, che presto inizierà a frequentare le scuole professionali tessili di Biella, è l’erede designato di questa piccola impresa che comincia a funzionare. Angelo Zegna insieme al socio Giardino e a tre dei suoi figli tra i quali l’appena diciottenne Ermenegildo, fonda il Lanificio Zegna e Giardino nel 1910. Quando successivamente tutto rimane nelle mani di Ermenegildo, ecco che prende corpo un’idea quasi folle per quei tempi: sfidare gli inglesi, primi produttori al mondo di tessuti in lana e migliori sarti da uomo in circolazione, il tutto senza spostarsi dalle Alpi biellesi.
Spezzare l’egemonia inglese non è però così facile. All’inizio del Ventesimo secolo Londra è infatti una delle capitali indiscusse della moda, non solo maschile: fotografi e artisti come Edward Linley Sambourne si appostano in Cromwell Road e scelgono per modelle le giovani donne che casualmente passano per quella strada proprio perché sanno che sono le meglio vestite al mondo. Ermenegildo Zegna comprende in fretta di non aver alcuna possibilità di sfondare senza prima aver imparato dagli stessi concorrenti d’Oltremanica che desidera superare. I suoi viaggi in Inghilterra diventano sempre più frequenti: quando può visita le varie fabbriche, studia le tecniche e la composizione delle materie prime. Al ritorno porta quasi sempre con sé i migliori macchinari e le stoffe ma, soprattutto, si dimostra pronto a sfruttare quanto appreso nello stabilimento di Trivero: in breve, Zegna, è uno dei pochi nel biellese ad adottare i metodi di fumaggio detti London Shrunk e ricalibra definitivamente la produzione sull’alta qualità, puntando su un marchio proprio, identificato con il nome di famiglia. Un nome conosciuto che diventa ancora più celebre quando Ermenegildo decide di farlo “stampigliare” anche sul retro dei suoi tessuti per renderli maggiormente identificabili e per evitare così possibili contraffazioni – un’idea che fino ad allora non era ancora venuta in mente a nessuno.
Ermenegildo Zegna con la moglie, 1950 circa
L’industria cresce e, alla fine degli anni Quaranta, arriva a dare lavoro a più di mille operai. Zegna è un nome che letteralmente “viaggia” da una parte all’altra del Paese dopo essere stato impresso sui treni, e arriva a essere conosciuto anche all’estero grazie alle esportazioni verso altri quaranta Paesi, tra cui gli Stati Uniti. In meno di trent’anni il distretto biellese, un territorio esteso poco più di 900 chilometri nell’area nord-ovest del Piemonte, grazie anche a Zegna si trasforma in uno dei centri nevralgici dell’industria tessile mondiale e Trivero è una parte fondamentale di questo piccolo mondo. Ermenegildo Zegna non è l’unico imprenditore ad aver intuito le potenzialità industriali del territorio piemontese: più o meno in quegli stessi anni, Luigi Lavazza è partito da un piccolo borgo dell’alessandrino e ha aperto a Torino una drogheria destinata a cambiare l’idea di intendere il caffè mentre da Dogliani, provincia di Cuneo, sta per iniziare la storia di Luigi Einaudi e della sua casa editrice. L’imprenditore con cui è più facile associare Ermenegildo Zegna resta però Adriano Olivetti. Anche se a dividere Trivero e Ivrea ci sono quasi cinquanta chilometri, Gildo e Adriano sono infatti molto vicini sia per storia che per idee. Entrambi hanno avuto l’umiltà di studiare il meglio per riuscire a emergere nel proprio settore e tutti e due mirano all’assoluta eccellenza: la macchina da scrivere Olivetti deve essere la migliore del mondo, così come gli abiti Zegna devono essere invidiati a qualunque latitudine. Entrambi gli imprenditori sanno però che per raggiungere certi traguardi non possono prescindere dagli operai, che devono essere messi nelle migliori condizioni possibili.
Da bambino, Ermenegildo ha visto persone lavorare per quattordici ore di seguito e il ricordo di quei ragazzi costretti a rinunciare a una parte cospicua della loro vita per il lavoro lo motiva a realizzare diversi servizi per la popolazione per migliorarne le condizioni. Così, mentre Adriano Olivetti installa nella sua fabbrica un centro di formazione, un servizio di assistenza, un’infermeria e persino una biblioteca – assicurando nel contempo agli operai diritti straordinari per l’epoca – Zegna a Trivero dimostra di non essere da meno. Monsù Gildo dota il paese natio di tutti i possibili servizi per la comunità: nel 1940 l’inaugurazione del Centro Assistenziale Zegna, con la clinica della maternità e dell’infanzia, negozi e una palestra completa di piscina coperta, segna definitivamente la trasformazione di Trivero in un polo del tutto autosufficiente. Negli anni successivi realizza alcune abitazioni per gli operai e gli impiegati e fa costruire lungo la Panoramica Zegna alberghi e ristoranti. L’imprenditore non dimentica neanche l’importanza della cultura: vuole che tutti gli abitanti della zona, soprattutto i suoi operai, siano persone consapevoli ed emancipate. Ecco che nel complesso del Centro Zegna trovano spazio anche una biblioteca e le scuole di avviamento professionale, oltre ad un cineteatro.
Cartolina del Centro Assistenziale Zegna, anni Sessanta, fotografia di Rodolfo Mazzeranghi
Ermenegildo Zegna fa tutto questo perché ha intuito che il successo non può essere misurato solo dalle entrate e dalle uscite messe a bilancio: a contare è anche la reputazione dell’azienda, non solo tra i clienti, ma anche e soprattutto tra chi in quella fabbrica ci lavora o la vive giornalmente di riflesso. Come ricorda lo scrittore Piero Chiara nel suo libro Oltre l’orizzonte: “Zegna non rinnegò mai la cultura del suo villaggio, della sua gente, anzi ne fece il cemento d’una solidarietà che consentì ad ognuno di dare il meglio di se stesso, per lo scopo immediato di una preminenza nella produzione mondiale dei tessuti, ma con la visione lontana d’un nuovo rapporto tra capitale e lavoro.” La visione di Zegna è ispirata dalla voglia di lasciare qualcosa alla comunità, un ricordo positivo che gli sopravviva: è un uomo colto, che vuole conciliare il ruolo dell’imprenditore con l’umanesimo. Nonostante abbia deciso di non proseguire gli studi verso la laurea per dedicarsi all’attività manifatturiera, l’imprenditore non ha infatti smesso di essere un uomo curioso, amante dell’arte e delle attività all’aria aperta.
Ne I Dialoghi, tra le varie frasi attribuite a Confucio ce n’è una in particolare che sembra perfetta per descrivere questo imprenditore alla perenne ricerca di un equilibrio tra la passione per i tessuti e la fascinazione per le arti, intese come massima espressione della cultura: “Quando la stoffa ha la meglio sulla cultura, ne risulta il rozzo. Quando la cultura ha la meglio sulla stoffa, ne risulta il pedante. Occorre che cultura e stoffa siano in armonia perché ne risulti il signore”. Non è dato sapere se Zegna abbia mai letto Confucio, ma quando sul finire degli anni Venti incarica il pittore valsusino Ettore Pistoletto Olivero di realizzare un ciclo di graffiti raffiguranti le fasi dell’antica lavorazione della lana, lo fa proprio per ricordare quel nesso tra cultura e stoffa. Le immagini devono evocare il legame ideale tra l’industria moderna e la tradizione artigiana del biellese, sottolineando come non si debba mai dimenticare l’importanza del fattore umano e la centralità dei lavoratori. Tra il 1947 e il 1949 quei graffiti vengono sostituiti da grandi tele, sempre a opera di Pistoletto padre: dieci dipinti di ambientazione rinascimentale attraverso cui si realizza definitivamente il progetto di un luogo che sancisca l’incontro tra l’homo faber e l’artista.
Dipinto di Ettore Pistoletto Olivero, tessitura e filatura, fotografia di Damiano Andreotti
Dipinto di Ettore Pistoletto Olivero, la filatura, 1948, fotografia di Damiano Andreotti
Alla creazione di un ambiente di lavoro privilegiato e della massima efficienza deve corrispondere la modifica e l’adattamento dell’ambiente esterno. È da questa visione che nacque il progetto della Panoramica Zegna, destinata a trasformare gli impervi paesaggi montuosi in un patrimonio accessibile e godibile per chiunque. La scelta di costruire una delle prime strade con chiari fini turistici e di promozione del territorio non è in conflitto con l’attività imprenditoriale: Gildo sa che sottrarre all’isolamento i poveri siti montani, collegati spesso solo dai rozzi sentieri aperti dalla transumanza, significava sfruttare in maniera sostenibile le potenzialità turistiche di certi luoghi ancora vergini. Lo considera il suo testamento spirituale, un regalo alla comunità che fa parte del piano sociale attuato fra le due guerre. Zegna crede in un possibile matrimonio tra il miglioramento di un luogo e la contemporanea conservazione della sua identità: un connubio che, in seguito, verrà studiato e teorizzato da Christian Norberg-Schulz che, per spiegarlo, prenderà a prestito l’espressione latina genius loci.
Ermenegildo Zegna lungo la strada Panoramica Zegna in costruzione, anni Cinquanta, fotografia di Gianfranco Bini
Trivero diventa in breve un luogo di interesse che attira i turisti ma anche e soprattutto gli industriali di tutto il mondo, desiderosi di studiare il modello aziendale sostenibile creato da Zegna. A interessare maggiormente i clienti stranieri sono però gli abiti e i tessuti, sempre più richiesti soprattutto sul mercato americano. Nella primavera del 1938, Ermenegildo Zegna fonda a New York la Zegna Woollens Corporation, prima filiale di distribuzione di tessuti esclusivamente italiani per i sarti esteri e i suoi capi, creati sulle Alpi, vengono venduti a cifre esorbitanti in negozi come l’iconico D’Andrea Brothers nel Rockfeller Center. La sede legale della nuova società viene impiantata sulla Fifth Avenue, al numero 607, la stessa esclusiva via dove Olivetti nel 1954 aprirà il suo negozio newyorchese. Ancora una volta i due imprenditori sembrano rincorrersi e le loro storie si sovrapporranno fino alla fine. I suoi eredi raccontano oggi che ai tempi l’imprenditore scrisse a Olivetti per progettare un’asse tra Ivrea e Trivero, ma l’omologo eporediese avrebbe risposto dicendosi già troppo impegnato a portare avanti la propria visione. Non sapremo mai cosa una collaborazione tra questi due personaggi avrebbe potuto costituire per il Piemonte e per il Paese.
A distanza di anni, personaggi come Olivetti e Zegna restano esempi validi anche per i manager di oggi. Entrambi erano consapevoli che i veri imprenditori non si limitano a prosciugare le risorse dei luoghi in cui operano per poi abbandonarli. Dai loro quartier generali piemontesi avrebbero guardato con sospetto chi provava a parlare di delocalizzazione: avrebbero forse preferito fallire se l’alternativa era realizzare profitti sfruttando persone mai viste e per cui non si è fatto nulla. Il vero imprenditore è quello che ridà indietro al suo territorio anche più di quello che ha preso: tanti manager incravattati, distanti anche emotivamente dalle loro attività, dovrebbero prendere spunto da questi visionari.
Foto in copertina: Ermenegildo Zegna con alle spalle il Lanificio a Trivero, 1942