francesca saffioti | University of Messina (original) (raw)

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Papers by francesca saffioti

Research paper thumbnail of Deleuze e la passione del trascendentale. Una lettura della Critica del Giudizio

Deleuze vorrebbe provocare: portare a compimento il trascendentale kantiano esplicitandone il car... more Deleuze vorrebbe provocare: portare a compimento il trascendentale kantiano esplicitandone il carattere intrinsecamente temporale. È ciò che Deleuze definisce una “genesi trascendentale”1. Si potrebbe dunque operare una deduzione dei giudizi estetici, non più nella direzione di una dimostrazione della loro legittimità formale, ma della loro genesi temporale. La deduzione trascendentale non implicherebbe, infatti, nei giudizi estetici, la prova dell’oggettività, come nell’uso determinante, visto che nessuno oggetto è chiamato a corrispondervi, piuttosto essa riguarderebbe, nell’uso riflettente, solo l’accordo fra le facoltà2, precisamente il momento in cui questo accordo può essere avvertito nel senso comune.
Dal momento che le facoltà agiscono liberamente, senza rispondere ad una regola determinata, tale accordo non può essere imposto, piuttosto la sua effettualità rimane imprevedibile. Il tempo non può più essere escluso da questo orizzonte trascendentale. Deleuze ricorda, in proposito, le obiezioni, rivolte a Kant, precisamente rispetto alla mancanza di un metodo genetico3. Kant si occuperebbe del costituito, di facoltà formate e dei loro oggetti corrispondenti, e non del loro carattere costituente. Egli cercherebbe le condizioni del dato, non del possibile. La terza Critica risponde, secondo Deleuze, proprio a queste obiezioni, mostrando le facoltà in movimento4, perfino in conflitto, spinte solo potenzialmente verso un accordo. Le facoltà sono insieme a-priori e nel tempo. L’estetica kantiana sembra prepararsi alla genesi trascendentale.

Research paper thumbnail of MEDITERRANEO. LE APORIE

L’esperienza del mare non può prescindere dall’insieme di contraddizioni che hanno originato la n... more L’esperienza del mare non può prescindere dall’insieme di contraddizioni che hanno originato la nascita della filosofia, a partire dalla rivelazione di una doppiezza: l’essere uno e molteplice, eterno e diveniente, identico e differente. Nulla può accadere, separandosi dall’indistinzione dell’infinito (apeiron), senza essere preso all’interno di polarità che non possono risolversi l’una nell’altra, che non si lasciano afferrare da una dialettica risolutiva.
Gli opposti che non si annullano, né si sintetizzano, definiscono un’aporia. Si tratta di un pensiero dei confini, per definizione, predisposti all’attraversamento, eppure segnati dall’impossibilità del passaggio. Su di essi non si può conservare un’identità predefinita, né rimanendo nella propria, né assumendo quella dell’altro. Si sperimenta piuttosto un’identità spartita, che rimane fra-i-due, senza poter essere esclusivamente né l’uno né l’altro. Il confine può rappresentare un passaggio (pas), oppure una negazione (pas)1. In esso si accoglie ciò che di nuovo può accadere, l’arrivante, ma anche ciò che si rifiuta ad ogni determinazione. Ogni confine esplicita un rapporto con la fine, con quella mancanza che attraversa ogni singolarità e la consegna all’altro, producendo una condizione in cui non si è mai pienamente presenti a se stessi, piuttosto segnati dalla anacronia, da un differimento. Ancora prima della relazione, sul confine si con-divide la forma della relazione, la differenza come separazione e insieme come legame. Ogni confine rimane indecidibile rispetto alla definizione delle identità. È impossibile distinguere con certezza il dentro dal fuori, l’amico dal nemico. Il confine mette in discussione la proprietà, il diritto, riguarda una condizione in cui si accoglie a partire da uno spazio che non si possiede, dunque ci si rivolge a chi è già al proprio confine, a chi a sua volta ci offre ospitalità. L’aporia si presenta laddove sono attive due leggi altrettanto cogenti − la legge della singolarità e la legge del numero, l’identità e la differenza, la sovranità e la giustizia, il diritto e l’ospitalità. − dove il dovere di corrispondervi non può contare sulla forma di una regola determinata. È proprio di fronte a questa indecidibilità che la scelta assume senso e non è la semplice esecuzione di un dovere.

Research paper thumbnail of IL "SUD" COME FRONTIERA GEOSIMBOLICA

Il testo proposto si salda con le posizioni teoriche elaborate in un testo della stessa autrice, ... more Il testo proposto si salda con le posizioni teoriche elaborate in un testo della stessa autrice, intitolato Geofilosofia del mare, con l'obiettivo di ripensare il rapporto fra il luogo e il pensiero, affrontando in particolare il ruolo dello spazio mediterraneo, attraverso i concetti di identità e differenza, comunità e relazione, universalismo e multiculturalismo

Research paper thumbnail of DECOSTRUIRE IL TERRORE. L'EVENTO SENZA SOVRANITA'

Il terrore si prova davanti all’inatteso. Inatteso non vuol dire necessariamente “nuovo”. Non a c... more Il terrore si prova davanti all’inatteso. Inatteso non vuol dire necessariamente “nuovo”. Non a caso la figura del perturbante si trova legata in Freud al tema del “doppio” e della ripetizione, al timore fantasmatico del de-potenziamento dell’io.
Il terrore più profondo si prova quando l’impossibilità di comprendere colpisce in profondità. All’origine stessa del sé, dell’ipseità, del medesimo.
Ecco perché il terrore è sempre familiare. Esso riguarda la casa, l’essere a casa, il confine dell’identità. È un terrore immediatamente politico: si riferisce alla possibilità di circoscrivere uno spazio come il proprio. Per questo motivo la paura rimane, secondo Hobbes, l’origine di ogni comunità del diritto. Il fondamento del politico sfugge dunque alla razionalità che pur pretende di formare, si pone al di fuori da quell’ordine calcolato che da quel momento in poi ne garantirà il naturale funzionamento. Il primo terrore è quello che investe la proprietà, il proprio, la definizione di sé, lo spazio. Dunque, il primo compito della politica − nel formarsi dello Stato moderno − sembra quello di garantire tale immunità: la netta distinzione fra il proprio e l’estraneo, fra la comunità dei simili uniti dalla paura (che è insieme anche la comunità dei proprietari, uniti al proprio corpo e insieme al corpo dello Stato) e i dissimili, coloro che non hanno alcun diritto da rivendicare perché non aderenti al patto che istituisce lo spazio politico.
La dissimetria appare tale solo di fronte alla legge. Non si tratta neppure di un’imputazione di colpevolezza: il dissimile è semplicemente fuori dalla legge. Irriconoscibile. Fuori dalla legge è però anche, come abbiamo visto, il suo fondamento naturale: la paura.
Cosa succede fuori dalla legge? Quale forza si esercita in sua assenza? Come distinguere il dissimile dal simile se non ricorrendo ad un fondamento che precede la stessa norma, che dunque è sempre fuori-legge? Dissimile diventa chiunque si opponga alla sovranità assoluta, a quel fuori-legge che immediatamente pone l’altro di-fronte-alla-legge, dunque all’esercizio di una forza e al suo originario sconfinamento.
A che tipo di terrore può essere soggetta una sovranità assoluta? Di cosa può avere timore una forza che non deve più restare − che non si deve più arrestare − davanti alla legge?
Il terrore non deriva certo semplicemente da un attacco che proviene dall’esterno. Esso non sarà mai abbastanza potente da mettere in discussione il monopolio della forza. Qualcosa di inquietante si apre piuttosto laddove le categorie politiche manifestano la loro crisi ed il linguaggio si affida alla ripetizione di parole svuotate di un significato effettivo (11 settembre, guerra, terrore, terrorismo, stato canaglia…).
Ognuno di questi nomi è già una citazione1… laddove forse il meccanismo di ripetizione (la coazione a ripetere propria del perturbante) − che vorrebbe esercitare un controllo, neutralizzare l’imprevedibilità di avvenimenti senza-nome − mette in luce piuttosto il pericolo che investe una sovranità assoluta, oggi mondiale. Di fronte ad una sovranità senza territorio, dunque senza nomos, non hanno più senso le divisioni classiche fra amico e nemico, stato di diritto e stato canaglia, combattente e terrorista. Queste definizioni si basano infatti sulla possibilità di distinguere il “fuori” dal “dentro”, il proprio dall’estraneo. Queste connotazioni sono ormai indistinguibili in una dimensione mondiale e di fronte ad una sovranità assoluta fuori-legge.

Research paper thumbnail of LA QUESTIONE DELLO SPETTRO E L'AUTORITRATTO

In questo articolo ci si interroga sul tema della spettralità, come approdo radicale della logica... more In questo articolo ci si interroga sul tema della spettralità, come approdo radicale della logica
del supplemento declinata da Derrida. Questi, confrontandosi con Heidegger, traccia un
percorso che va dalla iniziale negazione dello spirito, perché compromesso con la metafisica,
alla sua successiva convocazione contro la sfera biologica, per giungere alla scoperta di una
divisione interna allo spirito che ne impedisce l’autoaffermazione. Lo spirito si divide da sé
facendo entrare in scena lo spettro, rovescia il privilegio della domanda in una condizione di
attesa di una risposta che proviene da altro, dallo spettro, da ciò che, all’interno di sé impedisce
l’identificazione con sé. Emergono così analogie e differenze fra le figure dello spirito,
dello spettro e del fantasma che si intrecciano in particolare nei temi della visione e della
rappresentazione.

Research paper thumbnail of Deleuze e la passione del trascendentale. Una lettura della Critica del Giudizio

Deleuze vorrebbe provocare: portare a compimento il trascendentale kantiano esplicitandone il car... more Deleuze vorrebbe provocare: portare a compimento il trascendentale kantiano esplicitandone il carattere intrinsecamente temporale. È ciò che Deleuze definisce una “genesi trascendentale”1. Si potrebbe dunque operare una deduzione dei giudizi estetici, non più nella direzione di una dimostrazione della loro legittimità formale, ma della loro genesi temporale. La deduzione trascendentale non implicherebbe, infatti, nei giudizi estetici, la prova dell’oggettività, come nell’uso determinante, visto che nessuno oggetto è chiamato a corrispondervi, piuttosto essa riguarderebbe, nell’uso riflettente, solo l’accordo fra le facoltà2, precisamente il momento in cui questo accordo può essere avvertito nel senso comune.
Dal momento che le facoltà agiscono liberamente, senza rispondere ad una regola determinata, tale accordo non può essere imposto, piuttosto la sua effettualità rimane imprevedibile. Il tempo non può più essere escluso da questo orizzonte trascendentale. Deleuze ricorda, in proposito, le obiezioni, rivolte a Kant, precisamente rispetto alla mancanza di un metodo genetico3. Kant si occuperebbe del costituito, di facoltà formate e dei loro oggetti corrispondenti, e non del loro carattere costituente. Egli cercherebbe le condizioni del dato, non del possibile. La terza Critica risponde, secondo Deleuze, proprio a queste obiezioni, mostrando le facoltà in movimento4, perfino in conflitto, spinte solo potenzialmente verso un accordo. Le facoltà sono insieme a-priori e nel tempo. L’estetica kantiana sembra prepararsi alla genesi trascendentale.

Research paper thumbnail of MEDITERRANEO. LE APORIE

L’esperienza del mare non può prescindere dall’insieme di contraddizioni che hanno originato la n... more L’esperienza del mare non può prescindere dall’insieme di contraddizioni che hanno originato la nascita della filosofia, a partire dalla rivelazione di una doppiezza: l’essere uno e molteplice, eterno e diveniente, identico e differente. Nulla può accadere, separandosi dall’indistinzione dell’infinito (apeiron), senza essere preso all’interno di polarità che non possono risolversi l’una nell’altra, che non si lasciano afferrare da una dialettica risolutiva.
Gli opposti che non si annullano, né si sintetizzano, definiscono un’aporia. Si tratta di un pensiero dei confini, per definizione, predisposti all’attraversamento, eppure segnati dall’impossibilità del passaggio. Su di essi non si può conservare un’identità predefinita, né rimanendo nella propria, né assumendo quella dell’altro. Si sperimenta piuttosto un’identità spartita, che rimane fra-i-due, senza poter essere esclusivamente né l’uno né l’altro. Il confine può rappresentare un passaggio (pas), oppure una negazione (pas)1. In esso si accoglie ciò che di nuovo può accadere, l’arrivante, ma anche ciò che si rifiuta ad ogni determinazione. Ogni confine esplicita un rapporto con la fine, con quella mancanza che attraversa ogni singolarità e la consegna all’altro, producendo una condizione in cui non si è mai pienamente presenti a se stessi, piuttosto segnati dalla anacronia, da un differimento. Ancora prima della relazione, sul confine si con-divide la forma della relazione, la differenza come separazione e insieme come legame. Ogni confine rimane indecidibile rispetto alla definizione delle identità. È impossibile distinguere con certezza il dentro dal fuori, l’amico dal nemico. Il confine mette in discussione la proprietà, il diritto, riguarda una condizione in cui si accoglie a partire da uno spazio che non si possiede, dunque ci si rivolge a chi è già al proprio confine, a chi a sua volta ci offre ospitalità. L’aporia si presenta laddove sono attive due leggi altrettanto cogenti − la legge della singolarità e la legge del numero, l’identità e la differenza, la sovranità e la giustizia, il diritto e l’ospitalità. − dove il dovere di corrispondervi non può contare sulla forma di una regola determinata. È proprio di fronte a questa indecidibilità che la scelta assume senso e non è la semplice esecuzione di un dovere.

Research paper thumbnail of IL "SUD" COME FRONTIERA GEOSIMBOLICA

Il testo proposto si salda con le posizioni teoriche elaborate in un testo della stessa autrice, ... more Il testo proposto si salda con le posizioni teoriche elaborate in un testo della stessa autrice, intitolato Geofilosofia del mare, con l'obiettivo di ripensare il rapporto fra il luogo e il pensiero, affrontando in particolare il ruolo dello spazio mediterraneo, attraverso i concetti di identità e differenza, comunità e relazione, universalismo e multiculturalismo

Research paper thumbnail of DECOSTRUIRE IL TERRORE. L'EVENTO SENZA SOVRANITA'

Il terrore si prova davanti all’inatteso. Inatteso non vuol dire necessariamente “nuovo”. Non a c... more Il terrore si prova davanti all’inatteso. Inatteso non vuol dire necessariamente “nuovo”. Non a caso la figura del perturbante si trova legata in Freud al tema del “doppio” e della ripetizione, al timore fantasmatico del de-potenziamento dell’io.
Il terrore più profondo si prova quando l’impossibilità di comprendere colpisce in profondità. All’origine stessa del sé, dell’ipseità, del medesimo.
Ecco perché il terrore è sempre familiare. Esso riguarda la casa, l’essere a casa, il confine dell’identità. È un terrore immediatamente politico: si riferisce alla possibilità di circoscrivere uno spazio come il proprio. Per questo motivo la paura rimane, secondo Hobbes, l’origine di ogni comunità del diritto. Il fondamento del politico sfugge dunque alla razionalità che pur pretende di formare, si pone al di fuori da quell’ordine calcolato che da quel momento in poi ne garantirà il naturale funzionamento. Il primo terrore è quello che investe la proprietà, il proprio, la definizione di sé, lo spazio. Dunque, il primo compito della politica − nel formarsi dello Stato moderno − sembra quello di garantire tale immunità: la netta distinzione fra il proprio e l’estraneo, fra la comunità dei simili uniti dalla paura (che è insieme anche la comunità dei proprietari, uniti al proprio corpo e insieme al corpo dello Stato) e i dissimili, coloro che non hanno alcun diritto da rivendicare perché non aderenti al patto che istituisce lo spazio politico.
La dissimetria appare tale solo di fronte alla legge. Non si tratta neppure di un’imputazione di colpevolezza: il dissimile è semplicemente fuori dalla legge. Irriconoscibile. Fuori dalla legge è però anche, come abbiamo visto, il suo fondamento naturale: la paura.
Cosa succede fuori dalla legge? Quale forza si esercita in sua assenza? Come distinguere il dissimile dal simile se non ricorrendo ad un fondamento che precede la stessa norma, che dunque è sempre fuori-legge? Dissimile diventa chiunque si opponga alla sovranità assoluta, a quel fuori-legge che immediatamente pone l’altro di-fronte-alla-legge, dunque all’esercizio di una forza e al suo originario sconfinamento.
A che tipo di terrore può essere soggetta una sovranità assoluta? Di cosa può avere timore una forza che non deve più restare − che non si deve più arrestare − davanti alla legge?
Il terrore non deriva certo semplicemente da un attacco che proviene dall’esterno. Esso non sarà mai abbastanza potente da mettere in discussione il monopolio della forza. Qualcosa di inquietante si apre piuttosto laddove le categorie politiche manifestano la loro crisi ed il linguaggio si affida alla ripetizione di parole svuotate di un significato effettivo (11 settembre, guerra, terrore, terrorismo, stato canaglia…).
Ognuno di questi nomi è già una citazione1… laddove forse il meccanismo di ripetizione (la coazione a ripetere propria del perturbante) − che vorrebbe esercitare un controllo, neutralizzare l’imprevedibilità di avvenimenti senza-nome − mette in luce piuttosto il pericolo che investe una sovranità assoluta, oggi mondiale. Di fronte ad una sovranità senza territorio, dunque senza nomos, non hanno più senso le divisioni classiche fra amico e nemico, stato di diritto e stato canaglia, combattente e terrorista. Queste definizioni si basano infatti sulla possibilità di distinguere il “fuori” dal “dentro”, il proprio dall’estraneo. Queste connotazioni sono ormai indistinguibili in una dimensione mondiale e di fronte ad una sovranità assoluta fuori-legge.

Research paper thumbnail of LA QUESTIONE DELLO SPETTRO E L'AUTORITRATTO

In questo articolo ci si interroga sul tema della spettralità, come approdo radicale della logica... more In questo articolo ci si interroga sul tema della spettralità, come approdo radicale della logica
del supplemento declinata da Derrida. Questi, confrontandosi con Heidegger, traccia un
percorso che va dalla iniziale negazione dello spirito, perché compromesso con la metafisica,
alla sua successiva convocazione contro la sfera biologica, per giungere alla scoperta di una
divisione interna allo spirito che ne impedisce l’autoaffermazione. Lo spirito si divide da sé
facendo entrare in scena lo spettro, rovescia il privilegio della domanda in una condizione di
attesa di una risposta che proviene da altro, dallo spettro, da ciò che, all’interno di sé impedisce
l’identificazione con sé. Emergono così analogie e differenze fra le figure dello spirito,
dello spettro e del fantasma che si intrecciano in particolare nei temi della visione e della
rappresentazione.