Franco Trabattoni | Università degli Studi di Milano - State University of Milan (Italy) (original) (raw)

Papers by Franco Trabattoni

Research paper thumbnail of Pubblicazioni.

Research paper thumbnail of Martinetti: l'etica religiosa di Socrate

Rivista Di Storia Della Filosofia, Sep 1, 2022

Research paper thumbnail of Una guida al pensiero di Proclo

Research paper thumbnail of Sulle tracce dell'armonia. Enzo Paci, il telos e i Greci

Research paper thumbnail of Le "silence de Platon", ou le renversement du discours dialectique chez Damascius

Research paper thumbnail of L'ira in Platone

Research paper thumbnail of La metafisica di Platone: scienza dell'essere o filosofia dei valori? In margine alle interpretazioni di Lotze, Heidegger e Gadamer

Research paper thumbnail of La partecipazione nel Parmenide = participation in Plato's Parmenides

Coimbra University Press, 2020

Research paper thumbnail of Esiste un'ontologia in Platone?

Research paper thumbnail of Per una biografia di Damascio

Rivista Di Storia Della Filosofia, 1985

Research paper thumbnail of Heidegger, Platone e la politica

Research paper thumbnail of On Soul-Body "Dualism" in Plato

Research paper thumbnail of Come leggere i dialoghi di Platone? L'inefficacia del metodo evolutivo

Research paper thumbnail of Il Socrate di Antonio Banfi

Research paper thumbnail of Platone, Liside, I. Edizione critica, traduzione e commento filologico

Si fornisce un'edizione critica fondata su un nuovo esame di tutta la tradizione, di cui si ... more Si fornisce un'edizione critica fondata su un nuovo esame di tutta la tradizione, di cui si rende conto nell'introduzione; il testo è corredato da scolii, traduzione e commento filologico. ... There are no files associated with this item. ... Items in AIR are protected by copyright, with all ...

Research paper thumbnail of Antiochus of Ascalon’s ‘Platonic’ Ethics

Elenchos

This article focuses on the Platonic version of the doctrine of oikeiosis set forth by Piso in Ci... more This article focuses on the Platonic version of the doctrine of oikeiosis set forth by Piso in Cicero’s De finibus, Book V. The article aims to show that: 1) Cicero’s account, while clearly having Stoic features, is also consistent with the eudaemonistic character of Socrates’ and Plato’s ethics; 2) the replacement of oikeiosis with “assimilation to god”, attested in a passage of the Anonymous Commentary on Plato’s Theaetetus, derives from the intent to remove Epicurean egoistic connotations from Plato’s ethics; according to the Anonymous, the Stoic oikeiosis alone would not suffice to attain this purpose.

Research paper thumbnail of Odisseo e Achille nell’Ippia Minore: Esempi di un dibattito morale

Anais de Filosofia Clássica, 2017

RIASSUNTO: Nell'Ippia Minore, soprattutto nella sua ultima parte, Platone sembra voler soste... more RIASSUNTO: Nell'Ippia Minore, soprattutto nella sua ultima parte, Platone sembra voler sostenere che chi e in grado di sbagliare volontariamente (ad esempio mentire) e migliore, sul piano morale, di chi non lo sa fare; e dunque, contrariamente all'opinione condivisa in modo pressoche unanime nella cultura greca, che la subdola e spesso ingannevole astuzia di Odisseo e superiore, sempre dal punto di vista morale, alla sincera e semplice schiettezza di Achille. La maggior parte della critica ha trovato imbarazzante ammettere che Platone sostenesse una tesi di questo genere, e ha dunque tentato in vari modi di correre ai ripari. La strategia piu usata e la seguente: giacche il principio secondo cui chi sbaglia volontariamente e migliore e valido solo in rapporto alle tecniche, Platone starebbe cercando di dimostrare o che l'etica non e una tecnica, oppure che per quella tecnica che e l'etica il principio in questione non vale. Ma si tratta di un punto di vista insostenibile, perche contrario sia alla lettera sia al significato del testo. Nell'Ippia minore, cosi come molti altri dialoghi (non solo giovanili), quello che Platone vuol dimostrare, in chiara polemica contro l'etica tradizionale che affondava le sue radici proprio nel modello etico che potremmo chiamare epico - omerico (quello, appunto, in cui era sancita la superiorita morale di Achille su Odisseo), e che dal punto di vista formale l'etica (e piu in generale la filosofia, considerato l'intento pratico che essa ha in Platone) e una tecnica esattamente come le altre: e la tecnica, in particolare, che ha come suo scopo quello di produrre la felicita, ovvero la vita buona (del resto tutto questo e gia implicito nel motto socratico secondo cui la virtu e conoscenza). E poiche non e pensabile una tecnica in cui l'esperto non abbia un sapere sufficiente per commettere errori, necessariamente ne consegue che il principio incriminato e valido anche per l'etica e per la filosofia: chi e in grado di compiere il male volontariamente e migliore di chi non lo sa fare. Naturalmente se da qui ricavassimo la conseguenza che il virtuoso fa sia il male sia il bene volontariamente, mentre il vizioso, non potendo fare il male, fa volontariamente solo il bene, avremmo raggiunto una conclusione assurda. Ma in realta la frase in oggetto e doppiamente falsa. In primo luogo il vizioso non fa il bene volontariamente: infatti il motivo per cui non puo fare il male volontariamente e che non conosce la differenza tra bene e male, e dunque per la stessa ragione non puo fare volontariamente nemmeno il bene. In secondo luogo il virtuoso non fa il male volontariamente, semplicemente perche il male non lo fa mai. E qui viene in luce qual e l'unica vera differenza tra le altre tecniche e l'etica/filosofia. Un tecnico puo volontariamente commettere errori perche puo all'occorrenza operare per fini diversi da quelli della sua tecnica (ad esempio, un medico puo voler uccidere un paziente), che al momento considera piu importanti; invece il filosofo, ossia il tecnico dell'etica, non ha questa possibilita, perche il fine dell'etica e la realizzazione della vita buona, e fini che possano all'occorrenza essere considerati superiori a questo non ne esistono.

Research paper thumbnail of Leopardi e la "schedina" misteriosa. Esercizi di memoria o versi incomprensibili?

Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Milano, Newton Compton... more Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Milano, Newton Compton, 1997) stampino invece «Uovo». L'autografo (cfr. fig. 3) mostra piuttosto chiaramente che la lettera in questione è una «m», anche per la somiglianza con le altre «m» presenti nella schedina e la correlativa dissomiglianza con le «v» (cfr. ad esempio «sventure» e «alma» al capo 3).

Research paper thumbnail of Platone, Aristotele e la «metafisica classica»: osservazioni su un dibattito di attualità

Research paper thumbnail of Sur la signification de l'Ion de Platon

The purpose of this study is to examine the effect of auditor characteristics (competence, indepe... more The purpose of this study is to examine the effect of auditor characteristics (competence, independence and accountability) on audit quality. Respondents from this study were auditors of the public accountant office in Surakarta consisting of 45 respondents, the research method used in this study was purposive sampling and tested using multiple linear regression. The results of this study indicate that competence and accountability influence audit quality, this shows that the more competent an auditor and auditor who has good accountability will affect the quality of the audited, while Independence does not affect audit quality.

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Rivista Di Storia Della Filosofia, Sep 1, 2022

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Coimbra University Press, 2020

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Rivista Di Storia Della Filosofia, 1985

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Si fornisce un'edizione critica fondata su un nuovo esame di tutta la tradizione, di cui si ... more Si fornisce un'edizione critica fondata su un nuovo esame di tutta la tradizione, di cui si rende conto nell'introduzione; il testo è corredato da scolii, traduzione e commento filologico. ... There are no files associated with this item. ... Items in AIR are protected by copyright, with all ...

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Elenchos

This article focuses on the Platonic version of the doctrine of oikeiosis set forth by Piso in Ci... more This article focuses on the Platonic version of the doctrine of oikeiosis set forth by Piso in Cicero’s De finibus, Book V. The article aims to show that: 1) Cicero’s account, while clearly having Stoic features, is also consistent with the eudaemonistic character of Socrates’ and Plato’s ethics; 2) the replacement of oikeiosis with “assimilation to god”, attested in a passage of the Anonymous Commentary on Plato’s Theaetetus, derives from the intent to remove Epicurean egoistic connotations from Plato’s ethics; according to the Anonymous, the Stoic oikeiosis alone would not suffice to attain this purpose.

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Anais de Filosofia Clássica, 2017

RIASSUNTO: Nell'Ippia Minore, soprattutto nella sua ultima parte, Platone sembra voler soste... more RIASSUNTO: Nell'Ippia Minore, soprattutto nella sua ultima parte, Platone sembra voler sostenere che chi e in grado di sbagliare volontariamente (ad esempio mentire) e migliore, sul piano morale, di chi non lo sa fare; e dunque, contrariamente all'opinione condivisa in modo pressoche unanime nella cultura greca, che la subdola e spesso ingannevole astuzia di Odisseo e superiore, sempre dal punto di vista morale, alla sincera e semplice schiettezza di Achille. La maggior parte della critica ha trovato imbarazzante ammettere che Platone sostenesse una tesi di questo genere, e ha dunque tentato in vari modi di correre ai ripari. La strategia piu usata e la seguente: giacche il principio secondo cui chi sbaglia volontariamente e migliore e valido solo in rapporto alle tecniche, Platone starebbe cercando di dimostrare o che l'etica non e una tecnica, oppure che per quella tecnica che e l'etica il principio in questione non vale. Ma si tratta di un punto di vista insostenibile, perche contrario sia alla lettera sia al significato del testo. Nell'Ippia minore, cosi come molti altri dialoghi (non solo giovanili), quello che Platone vuol dimostrare, in chiara polemica contro l'etica tradizionale che affondava le sue radici proprio nel modello etico che potremmo chiamare epico - omerico (quello, appunto, in cui era sancita la superiorita morale di Achille su Odisseo), e che dal punto di vista formale l'etica (e piu in generale la filosofia, considerato l'intento pratico che essa ha in Platone) e una tecnica esattamente come le altre: e la tecnica, in particolare, che ha come suo scopo quello di produrre la felicita, ovvero la vita buona (del resto tutto questo e gia implicito nel motto socratico secondo cui la virtu e conoscenza). E poiche non e pensabile una tecnica in cui l'esperto non abbia un sapere sufficiente per commettere errori, necessariamente ne consegue che il principio incriminato e valido anche per l'etica e per la filosofia: chi e in grado di compiere il male volontariamente e migliore di chi non lo sa fare. Naturalmente se da qui ricavassimo la conseguenza che il virtuoso fa sia il male sia il bene volontariamente, mentre il vizioso, non potendo fare il male, fa volontariamente solo il bene, avremmo raggiunto una conclusione assurda. Ma in realta la frase in oggetto e doppiamente falsa. In primo luogo il vizioso non fa il bene volontariamente: infatti il motivo per cui non puo fare il male volontariamente e che non conosce la differenza tra bene e male, e dunque per la stessa ragione non puo fare volontariamente nemmeno il bene. In secondo luogo il virtuoso non fa il male volontariamente, semplicemente perche il male non lo fa mai. E qui viene in luce qual e l'unica vera differenza tra le altre tecniche e l'etica/filosofia. Un tecnico puo volontariamente commettere errori perche puo all'occorrenza operare per fini diversi da quelli della sua tecnica (ad esempio, un medico puo voler uccidere un paziente), che al momento considera piu importanti; invece il filosofo, ossia il tecnico dell'etica, non ha questa possibilita, perche il fine dell'etica e la realizzazione della vita buona, e fini che possano all'occorrenza essere considerati superiori a questo non ne esistono.

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Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Milano, Newton Compton... more Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Milano, Newton Compton, 1997) stampino invece «Uovo». L'autografo (cfr. fig. 3) mostra piuttosto chiaramente che la lettera in questione è una «m», anche per la somiglianza con le altre «m» presenti nella schedina e la correlativa dissomiglianza con le «v» (cfr. ad esempio «sventure» e «alma» al capo 3).

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The purpose of this study is to examine the effect of auditor characteristics (competence, indepe... more The purpose of this study is to examine the effect of auditor characteristics (competence, independence and accountability) on audit quality. Respondents from this study were auditors of the public accountant office in Surakarta consisting of 45 respondents, the research method used in this study was purposive sampling and tested using multiple linear regression. The results of this study indicate that competence and accountability influence audit quality, this shows that the more competent an auditor and auditor who has good accountability will affect the quality of the audited, while Independence does not affect audit quality.

Research paper thumbnail of HEIDEGGER E L'IDEA PLATONICA DEL BENE : STORIA DI UNA AMICIZIA FALLITA

Dans une intervention précédente j'ai essayé de montrer que Heidegger a finalement refusé de fair... more Dans une intervention précédente j'ai essayé de montrer que Heidegger a finalement refusé de faire place, dans sa philosophie, à la notion platonicienne d'idée, bien qu'elle semblait, selon un certain point de vue, être une figure capable de représenter l'ouverture originelle de l'être qui était au coeur des recherches de Heidegger dans les années qui entourent Être et Temps. La raison de cela, à mon avis, est que l'approche aristotélicienne de la philosophie de Platon par Heidegger explicitement adoptée conduisait au bout du compte à interpréter l'idée de Platon comme une substance (et donc comme une figure de l'étant et non pas de l'être). Mais qu'en est-il de l'idée du bien, qui pour sa détermination téléologique et pour sa collocation au-delà de l'ousia d'un coté semblait répondre aux besoins propres à la pensée heideggérienne, et d'un autre côté était plus réfractaire à la substantialisation aristotélicienne (la Verdinchligung de P. Natorp) ? La thèse que je soutiens est que Heidegger, tout en ayant cultivé pour longtemps le projet d'utiliser l'idée du bien comme un précédent important de son ontologie, a finalement décidé que ce projet n'était pas possible, parce que la connotation éthique de cette idée (qui non seulement ne l'intéressait pas, mais qu'il détestait ouvertement) était largement dominante sur l'aspect ontologique.

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Research paper thumbnail of Attualità di Platone

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Research paper thumbnail of La verità nascosta. Oralità e scrittura in Platone

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Research paper thumbnail of Scrivere nell'anima. Verità, dialettica e persuasione in Platone

neche -la paternità dell'opera sia attribuita nei modi indicati dall'autore o da chihadatol'opera... more neche -la paternità dell'opera sia attribuita nei modi indicati dall'autore o da chihadatol'operainlicenzaeinmodotaledanonsuggerirecheessiavallinochiladistribuisceolausa; -l'operanonsiausataperfinicommerciali; -l'operanonsiaalterataotrasformata,néusatapercrearneun'altra. Per maggiori informazioni è possibile consultare il testo completo della licenza Creative Commons Italia (CC BY-NC-ND 2.5) all'indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Nota.Ognivoltachequest'operaèusataodistribuita,ciòdeveesserefattosecondoiterminidiquestalicenza, chedeveessereindicataesplicitamente. FRANCOTRABATTONI Scriverenell'anima.Verità, dialetticaepersuasione inPlatone Firenze,LaNuovaItalia,1994 (PubblicazionidellaFacoltàdiLettereeFilosofiadell'Università degliStudidiMilano,154) NuovaintroduzionediFrancoTrabattoni EdizionedigitaleacuradiSimonaChiodo

Research paper thumbnail of Su Marcel Proust. Appunti di un lettore

Appunti di lettura -Proust registra, analizza (penetrandoli fin nei minimi particolari) tutti i p... more Appunti di lettura -Proust registra, analizza (penetrandoli fin nei minimi particolari) tutti i possibili moti dell'anima, senza tralasciare alcunché. E' una scommessa: vale veramente la pena di trasporre sulla carta tutto ciò che la sua sovreccitata e duttilissima sensibilità gli suggerisce? Non è forse vero che i difetti individuati dal Norpois nella prosa di Bergotte sono nient'altro che i difetti della stessa prosa di Proust? Non è forse vero che la prosa antica è apprezzabile soprattutto perché cerca di dire delle cose, e nell'assenza di cose da dire, di persone da persuadere, di fini da raggiungere, la parola non ha alcun valore? Proust propone al lettore una vera e propria ubriacatura del particolare, un immane lavoro di raccolta di dati, dal quale si staccano leggi generali a volte improbabili e quasi difficili da comprendere. Il suo talento nel riprodurre i modi secondo cui noi stessi pensiamo -modi che pur usando continuamente nessuno di noi ha mai messo a tema di indagine, e neppure ha ritenuto degni di menzione -ci porta spesso a riconoscere il nostro non detto, a prendere consapevolezza di quanto allora ci accorgiamo di sapere già (o meglio di aver saputo da sempre). Ma è un sapere? In realtà la prosa di Proust assomiglia agli intérieur sovraccarichi da lui così mirabilmente descritti decine e di volte, densi di oggetti che nella maggior parte degli uomini saprebbero suscitare non certo il delicato interesse che egli dimostra, bensì un insoffribile senso di caos. Non è già il tempo la cifra per comprendere Proust. Ma è lo spazio, lo spazio dell'anima che diviene specchio del mondo -e non a caso Proust medesimo definisce l'uomo di genio come colui che sa riflettere, come uno specchio, contenuti comuni. Allora si può immaginare in Proust un verismo, un realismo di tipo essenzialmente psicologico. Tutto ciò che conta è quello che accade nella coscienza, e se non penetra in essa filtrato dai modi assolutamente variopinti (ben diversi da una legge a priori) di cui ciascuna coscienza si avvale, ciò che accade non è proprio nulla, ed è come se non fosse accaduto. C'è in Proust una sorta di avarizia psicologica, che consiste nel non buttare via niente, nella riproduzione ossessiva di ogni stimolo cerebrale, di ogni modificazione nervosa. Egli prefigura, in un certo senso, la condizione contemporanea della registrazione assoluta, della riproducibilità indefinita di qualsiasi evento. Ma lo stream of conciousness da solo non basterebbe. L'io cosciente che descrive se stesso, in effetti, è un io grottesco, quasi infantile, che seleziona il vissuto secondo valori inessenzali, senza regola alcuna. Il tempo di Proust non è il tempo di Newton e forse neppure quello di Bergson: è il tempo di Eraclito, cioè un bambino che ama giocare. Proust è il sovrano di questo regno infantile. Forse la sua regressione, che folle di psicoanalisti hanno studiato, si vede nella maniera migliore proprio nel paiv zwn pesseuv wn da cui inizia ed in cui finisce la sua attività di narratore. Narrare per cosa (qualcuno potrebbe chiedere)? La domanda è mal posta, direbbero altri, perché suppone già definito il definiendum, suppone una idea di letteratura già data. Ma forse anche il lettore scettico può trovare in Proust, alla fin fine, il suo semplice e costruttivo guadagno. Nessuno sarà privato da un alito di consolazione, pensando alla volubile Odette e vedendo il superbo e nobile Swann immerso nella penosa e difficile malattia che già tante volte ha provato. In effetti è già meglio che niente. Proviamo a pensare al giovane narratore che compare nei primi volumi. Sogna di diventare scrittore, ma tristemente si accorge di non avere nulla da dire; abile nel costruire una prosa ricca, merlettata e lussureggiante, è costretto a subire l'amaro giudizio del signor di Norpois, che evidentemente vede nel fanciullo scrittore non altro che uno "snervato" (ciò che i parenti adulti diranno poi del piccolo Gide). Inseguire la letteratura è certo una attività nobile e degna, ben al di là del ruolo sociale che il vanesio e sciocco ambasciatore prefigura per il suo giovane amico. Così però si dimostra solamente il torto del padre di Kafka. Ma non si è ancora risposto alla vera domanda: quale letteratura? Bisogna certo avere qualche cosa da dire. Ed è apparentemente grottesco che il giovane autore dipinto in du côté de chez Swann appaia in imbarazzo di fronte alla pagina bianca: lui embrione dello scrittore indubbiamente più logorroico che la letteratura del Novecento abbia visto. Ma il paradosso è presto risolto. Proust ha deciso di divenire scrittore, e per fare questo bisogna semplicemente scrivere, e tutto quello che accade nella coscienza può essere scritto. Il risultato, non vorrei mai negarlo, è affascinante. Ma se Proust ha

Research paper thumbnail of Something New about the Line (Plato, Republic, Book VI -VII)

Another mathematical demonstration can be found in Foley 2008, p. 2, while Storey (2022, p. 257) ... more Another mathematical demonstration can be found in Foley 2008, p. 2, while Storey (2022, p. 257) proposes a discursive demonstration. 5 See the recent detailed analysis of this issue in Storey 2022. 6 The bibliography on this topic is vast.

Research paper thumbnail of "akribesteroi ton logon" in Aristotle's. Metaph.A.

Οἱ ἀκριβέστεροι τῶν λόγων. Aristote, Metaph. A 990b15-17 (draft, waiting for publication) 1. Dans... more Οἱ ἀκριβέστεροι τῶν λόγων. Aristote, Metaph. A 990b15-17 (draft, waiting for publication) 1. Dans un célèbre passage du ch. 9 du livre A de la Métaphysique, consacré à la critique de la doctrine platonicienne des idées et des principes, Aristote mentionne, évidemment dans le but de les réfuter, des arguments à l'appui de la théorie platonicienne des idées qu'il appelle ἀκριβέστεροι (mot normalement traduit par l'expression "plus rigoureux"). Voici d'abord le texte grec suivi de la traduction de Tricot: ἔτι δὲ οἱ ἀκριβέστεροι τῶν λόγων οἱ μὲν τῶν πρός τι ποιοῦσιν ἰδέας, ὧν οὔ φαμεν εἶναι καθ'αὑτὸ γένος, οἱ δὲ τὸν τρίτον ἄνθρωπον λέγουσιν. (Α 990b15-17) Même les raisonnements plus exacts conduisent, les uns, à admettre les Idées des relatifs (or, le relatif n'est pas considéré par nous comme un genre par soi), d'autres, à l'argument du troisième homme. Entre ce passage du livre A et son doublon dans le livre M, 4, 1079a11-13 (il est bien connu que certaines parties de A sont répétées dans M presqu'à la lettre, sauf le changement remarquable entre la première et la troisième personne), parmi d'autres différences minimale 1 , au lieu de ἀκριβέστεροι on lit ἀκριβέστατοι. Dans sa récente édition critique du livre A O. Primavesi 2 a choisi, contre l'opinion concorde de Ross et Jaeger, la lectio ἀκριβέστατοι pour le passage de A aussi, sur la base de la réévaluation de la famille de manuscrits nommée α qui inspire son travail (la même préférence, et en général pour la tradition manuscrite et en particulier pour notre passage, se trouve dans les plus récentes traduction commentées du texte en Français et en Italien 3). De toute façon, cette différence n'a pas beaucoup d'importance, étant donné que le sens est le même. Les problèmes (difficiles) soulevés par ce passage sont plutôt les suivants: 1) quels sont les arguments qu'Aristote qualifie de (les) plus rigoureux et d'où les at -il tirés? 2) Pourquoi Aristote les appelle-t-il "(les) plus rigoureux"? Comme l'a bien remarqué L. Gazziero dans son compte rendu des différentes positions critiques, la grande majorité des interprètes à jugé d'une manière concordante que les arguments plus rigoureux (dorénavant APG) ne sont pas les mêmes arguments qu'Aristote vient de citer juste avant dans le texte, c'est à dire l' argument "que l'on tire des sciences" (dorénavant AS), l'argument "selon l'unité d'une multiplicité" (dorénavant AUM) et l'argument qui découle "du fait de penser une chose quand elle a péri" (dorénavant PP) 4. Le premier exégète, le plus influent aussi, qui a adopté cette stratégie n'est autre qu'Alexandre d'Aphrodise. Il ne semble toutefois pas avoir trouvé, lui non plus, la clé pour résoudre le problème soulevé par la mention des APG. A propos de ces arguments Aristote écrit que "les uns produisent des idées de relatifs dont nous affirmons qu'il n'existe pas de genre par soi, les autres énoncent le troisième homme". La stratégie d'Alexandre consiste à chercher dans le traité perdu de ideis deux arguments qui non seulement répondent, respectivement, aux deux remarques aristotéliciennes que nous venons d'évoquer, mais qui doivent être, évidemment, "plus rigoureux"

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of a paper being published The aim of this paper is to suggest a fresh interpretation of the so-c... more of a paper being published The aim of this paper is to suggest a fresh interpretation of the so-called Self Refutation Argument (SR) of the Theaetetus. The scholarship is divided both on the correct way of understanding the argument and on its soundness. The most intriguing puzzle is the absence of the so-called qualifiers in the passage where the argument is formally exposed. The argument, indeed, seems to be sound only because Socrates failed to mention them. On the other hand, the presence of qualifiers would risk making Protagoras' thesis (MD) a trivial and philosophically uninteresting argument. The paper takes into consideration the main interpretations suggested by the scholars, focusing in particular on the ingenious proposal recently put forward by Luca Castagnoli. A common feature of all these interpretations is the assumption that MD applies both to doxai and meta-doxai. This is the necessary condition in order to make SR sound: the argument works iff Protagoras admits not only that "all the opinions are true for those who uphold them" (T1), but also that "all statements are doxai, including the meta-doxai" (T2). But there is no evidence that the Protagoras of the Theaetetus is committed to T2 in any way. The Protagoras of the dialogue, indeed, does not presents MD in a qualified way (he never says that it is true for him). Moreover, in the so-called "Apology" Protagoras refers to his own thesis as the Truth without qualifications (166c-d). To understand his position one must consider that in this case doxa does not mean a judgement that can indifferently be "true" or "false"; but it means the mobile and unreliable cognitive state that is the opposite of the immobile and reliable cognitive state provided by Truth (aletheia). In other words, the background of Protagoras theory is the eleatic opposition between doxa and aletheia, still operating in the main physical fragment of the Abderit (may be not a coincidence) Democritus: all is by convention but atoms and void. Protagoras thesis should be understood exactly according to the "all…but" eleatic formula: all the statements are equally true and false, except the statement that affirms it. If this reconstruction is correct, Plato's refutation of Protagoras is not provided by SR (some clues present in the text show that Plato does not pretend it should be). Protagoras' position, indeed, is refuted on different grounds. According to our interpretation, Protagoras is committed to show that MD is true (or is the Truth, according to the title of his work: whose purpose was indeed to show, in all likelihood, that MD is true). And it is exactly here, since Protagoras cannot reach such an aim, that according to Plato he is refuted. Where could he find a mean to draw a difference between true and false statements? If we remain at the level of doxai, all doxai are equally true. The transition to meta-doxai cannot assure, either, that such a mean could be found there. How to decide, within the Protagorean world, which meta-doxa is true and which is false? In absence of something better than doxa itself, quantitative considerations are all we have. But these considerations certify that everyone but Protagoras and his followers think that he is wrong. If Protagoras is not refuted from a logical point of view, he must however admit that the all we have is against him.

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Finitezza dell'uomo, infinità della ricerca (Platone Aristotele) 1. Chiunque legga i dialoghi di ... more Finitezza dell'uomo, infinità della ricerca (Platone Aristotele) 1. Chiunque legga i dialoghi di Platone senza pregiudizi prima poi si imbatte in un grave problema interpretativo, che poi costituisce la discriminante più generale, e in un certo senso anche più efficace, per classificare i vari modi di intendere il suo pensiero. Il lettore ben vede, da un lato, che Platone non solo ha un interesse profondo nella scoperta e nel conseguimento del vero, ma anche che egli sotto questo profilo è particolarmente ambizioso, dal momento che i suoi standard di verità (così come l'ontologia che vi corrisponde) sono molto elevati: la verità, se è davvero tale, deve essere assoluta, immobile, certa, incontrovertibile. Ma lo stesso lettore anche si accorge, d'altro canto, che chi volesse setacciare i dialoghi con una rete da pesca per mettere insieme tutte le verità assolute che Platone avrebbe trovato, porterebbe a casa un bottino ben magro (anzi, diciamo pure che resterebbe francamente a mani vuote). Facciamo in proposito due esempi significativi. Il momento decisivo del Gorgia è costituito, si può dire, dalla dimostrazione del principio secondo cui è meglio subire ingiustizia piuttosto che commetterla. Socrate conclude la sua argomentazione con queste parole (508e-509a15): Queste cose – che a noi, sopra, nei precedenti discorsi, sono apparse così come dico io – son trattenute e vincolate – anche se è un po' troppo grossolano a dirsi – con argomenti di ferro e di diamante, quali almeno parrebbero finora: argomenti che se tu, o qualcuno più giovanilmente baldanzoso di te, non scioglierete, non renderanno possibile, a uno che parli diversamente da come io ora parlo, di avere ragione nel discorso. Giacché io, per parte mia, séguito a dir sempre la stessa cosa: cioè che io, queste cose, non so come siano; che però, di coloro nei quali mi sono imbattuto, come ora, non c'è nessuno in grado – parlando altrimenti – di non essere ridicolo. Come ben si vede dalla seconda parte di questa citazione, il fatto che qui siamo in presenza di un principio fondamentale dell'etica di Socrate, che lo stesso protagonista del dialogo dichiara di aver dimostrato con argomenti "di ferro e di diamante", non è comunque in grado di sviluppare in Socrate la sensazione di aver conseguito una certezza assoluta. Nel libro IV della Repubblica Socrate dimostra la necessità che l'anima sia tripartita enunciando e applicando il "principio di non contraddizione" con una frase che è già identica, nella sostanza, alla successiva formulazione aristotelica: E' chiaro che la stessa cosa non può contemporaneamente fare o subire cose contrarie sotto lo stesso aspetto e in rapporto alla stessa cosa, sicché se troveremo che questo accade nel nostro caso, sapremo che non si trattava della stessa cosa, ma di una pluralità (436b-c). Ebbene, mentre Aristotele, nel libro IV della Metafisica fa chiaramente capire che il principio di non contraddizione è inaggirabile per chiunque si comporti da persona seria e intenda parlare per dire qualcosa di sensato, il Socrate platonico invece ammette tranquillamente, poche battute dopo il passo citato, che assume il principio di non contraddizione come vero in via provvisoria, pronto a a ritrattare tutto quello che sta per dire se dovesse in futuro apparire che quel principio non è valido. I due esempi che abbiamo proposto sono molto significativi, perché ci mostrano un Socrate che continua a dubitare anche dove il subbio sembra scarsamente giustificabile, vuoi perché gli argomenti addotti sono formidabili (Gorgia), vuoi perché l'oggetto di cui si discute è una verità evidente ed elementare (Repubblica). Ma voglio aggiungere anche tre osservazioni di carattere più generale: 1) Un numero consistente di dialoghi, e non solo tra quelli giovanili, sembra incentrato sulla ricerca delle definizioni; e le definizioni sarebbero appunto quel tipo di asserzione che più si avvicina a una verità assoluta e incontrovertibile. Ma si dà il caso che alla domanda di definizione non venga praticamente mai data alcuna risposta (non fanno eccezione né la definizione di giustizia nella

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Once the first argument in favour of the immortality of the soul (the so-called antapodosis argum... more Once the first argument in favour of the immortality of the soul (the so-called antapodosis argument) has been exhausted, Cebes chimes in to reinforce the points made by Socrates. He does so by invoking a doctrine frequently expounded by the latter, the so-called doctrine of recollection (anamnesis). This states that learning is a kind of remembrance; hence, according to Cebes, it implies both that the soul has learned something before birth and that it must somehow have existed prior to its embodiment (72e-73a). Then in reply to Simmias' question as to what the evidence in support of this thesis might be (Cebes had stated: " if it is true "), Cebes provides one of the very few self-citations to be found in the dialogues: he recalls the Meno's example of a slave who solves a geometry problem without having ever studied geometry, simply by answering Socrates' questions (73a-b). However, Socrates, who is always careful to persuade his interlocutors in the best possible way, this time offers not a practical demonstration (as in the case of the slave) but a theoretical one. This marks the beginning of one of the most thorny and widely discussed sections in the whole of Plato's oeuvre. A great part of the problems that have been detected in the text depends, in my opinion, upon the misleading assumption that the theory of recollection is a sort of epistemological doctrine, that is a method or path by which it is possible to attain knowledge (in particular of the ideas). 1 This approach has inspired the now widely debated hypothesis that recollection is a faculty which Plato assigns not to all men, but only to philosophers 2 (the only men capable of attaining any knowledge of ideal reality). One possible corollary of this thesis is that Plato eventually abandoned recollection as a method of cognition in favour of dialectic, as he switched from the role of a metaphysical and speculative philosopher to that of an analytical and scientific one. One first reason why this interpretation cannot be correct may be found by comparing this passage with the ones occurring a little earlier on in the text (66e-67a) where Socrates peremptorily states that, assuming that any knowledge of the ideal world is indeed possible, this can only be attained after death. Now, given that the theory of recollection revolves precisely around the fact that the soul must possess knowledge in its disembodied form (i.e. prior to its union with a body), it is very unlikely that the aim of this theory is to bridge the divide between the imperfect knowledge which distinguishes the soul-body composite and the perfect knowledge that characterizes the disembodied soul.

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Analogia tecnica ed etica in Platone (appunti). Spesso si ritiene che l'etica socratico-platonica... more Analogia tecnica ed etica in Platone (appunti). Spesso si ritiene che l'etica socratico-platonica, per cui la virtù è conoscenza, il vizio è ignoranza e nessuno compie il male volontariamente, sia un'etica piuttosto indulgente, che toglie la volontà di fare il male e giustifica tutti con la scusa dell'ignoranza. In realtà è tutto il contrario. L'etica socratico-platonica è estremamente dura, ai limiti del cinismo. Intendendo l'etica secondo il modello tecnico, e dunque eliminando la volontà e l'intenzione dai criteri di valutazione etica (infatti sotto questo profilo tra gli uomini non c'è alcuna differenza, perché tutti vogliono e intendono realizzare la stessa cosa, ossia la loro felicità, come si spiega nell'Eutidemo) non per questo Platone nega la differenza tra colpa e innocenza; piuttosto finisce per identificare l'ignoranza stessa (in quanto identica al vizio) come colpa. Questo stato di cose comporta delle conseguenze molto impopolari e dure da digerire. Ad esempio, non c'è più nessuna differenza tra bontà intesa come sapere e bontà intesa in senso morale (i moralizzatori vorrebbero risolvere il paradosso finale dell'Ippia Minore dicendo che Platone confonde, volutamente o no, le due cose; quando invece, se è vero che per Platone virtù è conoscenza, è ovvio che intende proprio dire che sono identiche). Oppure, se si ama una persona perché è buona, ciò significa che la si ama perché è sapiente, per cui non c'è nessuna ragione plausibile di amare chi è ignorante (ossia vizioso; cfr. il Liside). O ancora; se uno aveva intenzione di fare una cosa buona ma per la sua ignoranza ha finito per procurare un danno, sotto il profilo morale è da giudicare in modo totalmente negativo, e la buona intenzione non conta nulla (la virtù risiede nel sapere, non nell'intenzione, appunto perché l'intenzione è uguale per tutti). L'Ippia Minore si inscrive anch'esso, come altri dialoghi giovanili, in tale contesto, per cui contribuisce ad arricchire la lista dei paradossi apparenti (per mostrare, ovviamente, che per quanto certe tesi possano apparire paradossali, esprimono tuttavia il reale stato di cose). Tra questi paradossi c'è anche quello secondo cui chi mente volontariamente, in quanto più sapiente di chi, essendo ignorante, non lo può fare, sarebbe più virtuoso di lui (qualunque cosa ne pensino i moralisti). Poiché questo paradosso è strettamente connesso all'ipotesi che anche l'etica sia una tecnica, è sempre stata molto forte la tentazione, all'interno della letteratura critica, di risolverlo semplicemente attribuendo al Socrate platonico che se ne fa portatore un atteggiamento ironico e dialettico, come se la sua intenzione non fosse quella di sostenere il modello tecnico in prima persona, ma di mostrare a quali incongruità si perviene se lo si adotta, come farebbero i suoi avversari sofisti. Ora, è vero che in molti dialoghi, e in particolare nell'Ippia minore, Socrate assume riguardo l'analogia tra etica e tecnica un atteggiamento ambiguo, in quanto sembra voler affermare e negare al tempo stesso che quell'analogia sia accettabile. Ma non bisogna dimenticare, in primo luogo, che certe affermazioni paradossali come il fatto che la virtù sia conoscenza o che nessuno compia il male volontariamente sono profondamente radicate nel modo di pensare e di ragionare del Socrate platonico; e in secondo luogo che affermazioni problematiche come quella su cui ci siamo soffermati sopra (chi mente volontariamente è migliore di chi lo fa per ignoranza) sono appunto la diretta conseguenza di questi paradossi. Se dunque si vuole davvero scoprire il segreto di questa e di altre ambiguità presenti nel testo platonico (segnalate da accorti segnali retorici e stilistici), bisogna avere l'accortezza di capire che hanno per lo più lo scopo di avvertire che certe proposizioni, se sono vere da certi punti di vista e sulla base di determinate spiegazioni, non lo sono invece da altri punti di vista e sulla base di differenti spiegazioni. I casi sono numerosissimi. L'Ippia Minore non fa eccezione. Nella fattispecie Platone intende far capire che se da un certo punto di vista la tesi secondo cui chi mente volontariamente dimostra di possedere conoscenza e virtù è vera, da un altro punto di vista è falsa. Questa duplicità di esiti è strettamente connessa ai diversi modi (rispettivamente scorretto o corretto) in cui può essere rappresentato il modello tecnico. Posta l'identità generica fra l'etica e il sapere tecnico, l'affermazione secondo cui chi mente volontariamente è migliore di chi lo fa per ignoranza è vera se si intende la tecnica alla maniera dei sofisti, ossia come teoria e pratica dell'imbroglio finalizzata alla vittoria nella discussione (come accade nell'Eutidemo, dove per i due

Research paper thumbnail of Degrees of being in Aristotle (but not in Plato

1. In a paper written about 30 years ago Tim Morrison wrote: "The topic of degrees of being in Ar... more 1. In a paper written about 30 years ago Tim Morrison wrote: "The topic of degrees of being in Aristotle is almost universally ignored" 1. The principal reason for such disregard lies, according to Morrison, in the scant philosophical appeal of this theory from a contemporary philosophical point of view. The assumption, in other words, is that a philosopher as great as Aristotle could never have upheld such a nonsensical theory. But, as Morrison rightly stressed in his paper, there is enough evidence in favour of such a theory in Aristotle to state that a silence about it is unjustified and shameful. Morrison devoted his paper to a wide survey of all the passages where Aristotle speaks of degrees of being, or at least where there is some allusion to them. On each of these passages Morrison takes a more or less definite position, but his general conclusion is that Aristotle in fact does have a theory of the degrees of beings 2. The aim of my paper is both more limited and more specific. In short, I am going to maintain the three following points: 1) The analysis of some anti-Platonic Aristotelian passages confirms the idea that Plato did not admit that being has any degrees, since the thesis Aristotle criticizes in Plato does not concern the degrees of being qua being; 2) If this in true, Aristotle's polemical attitude towards Plato can't be called upon in order to show that he could not personally acknowledge that being admits of degrees; 3) It is possible to show, in close connection to the main features of his philosophy, that according to Aristotle degrees of being actually exist. In order to properly identify the philosophical problem at stake, it is essential to make a clear-cut distinction between a generic meaning of the expression "degrees of being" (that we might write as degrees of being) and a more specific one (that we might write as degrees of being). It is possible, in other words, to uphold a theory according to which there is a difference of degrees among various kinds of beings, without however admitting that there is a real difference concerning their being. For instance, one could maintain that God is a being higher than man in various ways, as (for instance) he is wiser or more powerful than man, and so on. But this is clearly not enough for us to say that there is a difference of degrees of being. In order to do this, one has to suppose that "being" is a kind of quality, which admits of degrees qua being as much as "wise" is a quality that admits of degrees qua wise, and so on. If, on the contrary, such a condition is not fulfilled, it becomes impossible to draw a distinction between a generic picture of a graded and non-homogeneous universe, common to several metaphysical theories apart from any commitment to a specific notion of being, and an highly specific ontological theory, grounded on the very demanding hypothesis that it is being itself that admits of degrees. As I have already stressed, I believe that in Plato such a theory of degrees of being does not exist. Since my present focus is Aristotle and not Plato, here I will only sum up the conclusions of a reasoning I cannot expound in detail. The main point is that when Plato says for instance that beauty in itself (i. e. the idea or form of beauty) is more being than sensible beauties, he does not mean that the forms are more being than sensible things, but that the form of x (for instance, beauty) is more x (beautiful) than the sensible x (namely the beautiful sensible thing). On the basis of this hypothesis the often (indeed, all too often!) quoted Platonic expression ὄντως ὄν, which according to Plato characterizes the realm of forms, does not mean that forms are more being than sensible things. It can be understood, instead, in one of the two following ways: 1) As a defective expression: the adverb ὄντως does not directly qualify the participle ὄν, since such a participle does not have an absolute/existential meaning, but is supposed to serve as a copula 1 T. Morrison, The evidence for degrees of being in Aristotle, "Classical Quarterly" 37 (1987), pp. 382-401 (here p. 382) 2 Morrison found the general agreement of M. Burnyat, A Map of Metaphycs Z, Pittsburgh 2001, p. 16.

Research paper thumbnail of Odisseo e Achille nell'Ippia minore Esempi di un dibattito morale (draft

1. L'Ippia minore è spesso considerato un dialogo problematico e di difficile interpretazione. La... more 1. L'Ippia minore è spesso considerato un dialogo problematico e di difficile interpretazione. La ragione di queste perplessità è che Socrate sembra sostenere una posizione non solo imbarazzante da un punto di vista generale, ma anche scarsamente compatibile con i principi di fondo della sua etica (come sarebbe dimostrato dal fatto che talvolta egli stesso sembra prenderne le distanze): ossia che chi è in grado compiere il male è migliore di chi non lo sa fare. Questa tesi è argomentata da Socrate mediante due procedimenti paralleli: uno, più breve, che si sviluppa attraverso il confronto tra i due personaggi omerici di Odisseo e Achille; l'altro, più lungo ed elaborato, che con il metodo consueto dell'interrogazione socratica e attraverso un ampio uso di esempi costringe in una certa maniera l'interlocutore ad ammettere il contrario di quello che riteneva (Ippia ovviamente non è affatto d'accordo sul provocante principio etico proposto da Socrate). Prima di entrare nel merito del nostro problema, riassumiamo per sommi capi lo svolgimento del dialogo. Interrogato da Socrate su chi dei due sia migliore, tra Odisseo e Achille, Ippia sposa risolutamente la posizione tradizionale, che era piuttosto favorevole al secondo: mentre Odisseo, egli spiega, è multiforme (polytropos) e falso, Achille è veritiero e schietto (o "semplice": 365b). Durante un primo confronto dialettico Socrate contesta questa posizione, perché può veramente dire il falso, ossia con piena consapevolezza di quello che fa, solo chi sa dire il vero. Dunque, conclude Socrate, il criterio individuato da Ippia per distinguere Odisseo da Achille è sbagliato, perché se Odisseo sa dire il falso significa che sa dire anche il vero, e l'inverso vale per Achille (367c-d). Di fronte alle proteste di Ippia, Socrate suffraga la sua tesi facendo di nuovo riferimento al testo omerico, da cui risulta (a suo parere) che anche Achille talvolta mente. Quando poi Ippia difende il suo eroe osservando che mentre Odisseo mente in modo premeditato, Achille lo fa invece involontariamente, Socrate coglie l'occasione per mostrare che anche sotto questo profilo Odisseo appare migliore di Achille, nella misura in cui il sapiente è migliore di chi è ignorante. L'ultima sezione dialettica del dialogo ha lo scopo di dimostrare che nonostante le apparenze le cose sono necessariamente così; anche se lo stesso Socrate non sembra disposto a crederlo davvero (376b). Inizieremo cercando di dare una lettura sensata degli aspetti del dialogo che sembrano meno accettabili, e poi proietteremo i risultati raggiunti sul confronto con Omero. Socrate non dice mai, nemmeno nel passo fra tutti più incriminato (376b), che il buono è buono in quanto compie volontariamente il male; dice piuttosto che il buono è buono in quanto sapiente, ossia in quanto conoscitore del bene e del male. Ed è evidente che solo chi conosce il male lo può anche compiere volontariamente. In altri termini, Socrate non mostra mai di accettare la posizione-questa sì assolutamente indifendibile-secondo cui il buono compie il male volontariamente: e questo non tanto perché per il Socrate platonico nessuno commette il male volontariamente; quanto piuttosto perché il buono in quanto buono per Platone non commette il male mai, in nessun caso, né volontariamente né involontariamente; e ciò sembra adombrato nella clausola condizionale che Socrate aggiunge nel passo ora citato: non è detto che esista qualcuno che compia il male volontariamente, ma se esiste è il buono. In altri termini, quello che Socrate qui vuol dire è che mentre il non buono non può compiere il male volontariamente in nessun caso (in quanto non buono, dunque ignorante, non conosce né il bene né il male, dunque non può compiere né l'uno né l'altro), il buono può compiere entrambe le cose (in quanto buono, dunque sapiente, conosce sia il bene sia il male). Ora, per trovare una formulazione di questo principio accettabile sul piano etico bisogna individuare una ragione valida per cui il sapiente, pur potendo commettere il male, in realtà non lo fa mai. In questo caso la lezione ricavabile dall'Ippia minore consisterebbe nel mostrare che l'etica è

Research paper thumbnail of A Justiça e o Bem no primeiro livro da República de Platão

A cena que abre a República tem lugar no Pireu, na casa de Céfalo, o rico meteco (ou seja estrang... more A cena que abre a República tem lugar no Pireu, na casa de Céfalo, o rico meteco (ou seja estrangeiro residente) que era pai do famoso orador Lísias. A área do Pireu, que como todos sabem era e é o porto de Atenas, o lugar do comércio e dos mercados, ou uma espécie de baixo ou favela, se opõe à "alta" área, que corresponde à verdadeira cidade de Atenas, o astu. Sócrates e seus companheiros filósofos descem ao Pireu, como se descessem para o inferno, de acordo com uma interpretação do texto que foi desde muito tempo reconhecida. Na verdade, a primeira palavra do livro é kateben, que significa "partir para baixo". Na casa de Céfalo encontram-se, e debatem uns com os outros, Sócrates, os dois irmãos de Platão, Glauco e Adimanto, o outro filho de Céfalo Polemarco, e Trasímaco – o famoso sofista que desempenha um papel importante no dois primeiros livros do diálogo (no primeiro direto, no segundo indireto). Céfalo é apresentado como um velho tranquilo e seráfico, a quem Sócrates pergunta como este pode ser tão sereno na velhice (328D-e). Céfalo explica que, ao contrário da opinião popular segundo a qual os homens de idade perdem muito, como nos prazeres da mesa e do sexo, ele acredita que nada perdeu de importante. Na verdade, citando uma frase do grande poeta trágico Sóphocles, Céfalo explica que o desvanecer dos desejos (e especialmente dos eróticos, que a maioria dos velhos reclama) foi como uma libertação de chefes loucos e tirânicos, e que produziu em sua alma uma sensação de paz e serenidade. Neste ponto, Sócrates faz uma pergunta provocativa e um tanto embaraçosa: será que Cefalo é tão sereno na velhice apenas pelo fato de ser muito rico? (329). A resposta do Céfalo é muito articulada. Ele não nega que o seu bem-estar material o ajudou em sua situação atual. Mas embora a riqueza seja, como ele diz, uma coisa útil, esta não é suficiente para alcançar a felicidade. Com efeito, se você possui riqueza, mas é desprovido de sabedoria e moderação, que são necessárias para fazer um bom uso dela, os bens materiais dificilmente seriam capaces de aliviar os aborrecimentos de velhice (330a). É interessante notar que até este ponto não há nada que não pode ser abraçado por Platão no discurso de Céfalo. A prova disso é o fato que Sócrates diz exatamente a mesma coisa no Eutidemo: esses bens materiais que são, sem dúvida, bons quando acompanhados pela sabedoria, desprovidos desta tornam-se ruins a tal ponto que seria melhor não possuí-los (um benfeitor rico, por exemplo, é bom; mas no caso de um terrorista, é melhor que esse seja pobre). De qualquer maneira, Sócrates aproveita a oportunidade do discurso de Céfalo para definir a pesquisa em torno à justiça, perguntando se quitar as dívidas é ou não é sua definição correta. Isso não pode ser verdadeiro, diz ele, com base no seguinte exemplo: você deve devolver as armas que pegou emprestadas de um amigo que acabou ficando louco? E é justo dizer toda a verdade a uma pessoa que está nessa condição? (331c) Polemarco inicialmente opõe uma certa resistência; não porque ele dispute o argumento de Sócrates, mas porque a definição que Sócrates questiona corresponde à definição do grande poeta gnômico (ou seja autor de poesias morais) Simônides: "o justo é prestar a cada um o que é devido" (331). Esse é um caso típico em que a determinação da verdade é disputada entre a prática do raciocínio e o princípio da autoridade. É interessante notar que Sócrates não discorda completamente deste princípio. Ele diz que é difícil não dar crédito a Simônides, que é um homem sábio e divino. Estas palavras, escolhidas muito cuidadosamente, são portadoras de uma rica trama de significados. Em primeiro lugar, a idéia que o poeta era um homem sábio e divino é um conceito bem estabelecido na cultura tradicional dos gregos que concedia uma grande autoridade aos poetas, a ponto de chama-los sábios (sophoi): esses seriam protegidos (ou diretamente inspirados) pela divindade. Interessante, neste respeito, é o caso de Píndaro (um poeta ao qual Platão demonstra alguma simpatia) que nunca diz de si mesmo ser poeta (poietes, que em grego significa fabricante, e, portanto, parece

Research paper thumbnail of Antiochus of Ascalon's "Platonic" ethics