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Papers by Mario G . Salzano

Research paper thumbnail of Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Fonte d'Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918)

Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Fonte d'Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918)

STORIA E PROBLEMI CONTEMPORANEI, 2016

During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech... more During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech and Slovak prisoners in order to form a Legion within Italy’s own borders. In this essay the author concentrates on two points: the first explores wartime imprisonment in Abruzzo, with particular reference to the Fonte d’Amore concentration camp; the second focuses on the enlistment of Czech and Slovak prisoners being held in the camp. From April 1918 until the end of the War the Fonte d’Amore camp was the main destination for Czech and Slovak prisoners who fought against the Austro- Hungarian Empire to bring about the establishment of the Czechoslovak Republic, which was achieved on October 28, 1918

Research paper thumbnail of Viaggiare per fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava (1949-1961)

Diacronie, 2018

Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza C... more Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza Creative Commons 3.0. Possono essere riprodotti e modificati a patto di indicare eventuali modifiche dei contenuti, di riconoscere la paternità dell'opera e di condividerla allo stesso modo. La citazione di estratti è comunque sempre autorizzata, nei limiti previsti dalla legge. Viaggiare per fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava (1949-1961)

Research paper thumbnail of The formation of the Czech-Slovak legion in Italy. A difficult alliance in Italian military documents

The Bohemian national cause gained the attention of a number of national newspapers, including La... more The Bohemian national cause gained the attention of a number of national newspapers, including La Stampa and Il Corriere della Sera, even before Italy's declaration of war on the Austro-Hungarian empire. This can be inferred by the publication of certain articles 1. From the summer of 1915 onwards, the Italian government and military authorities received numerous appeals from the representatives for Bohemian national independence through diplomatic channels. The presence of a considerable number of Czech and Slovak nationals in Italian prisoner of war camps, and their involvement in the struggle for independence from the Austro-Hungarian empire, would be one of the most important matters upon which relations between the Italian authorities and several representatives of the Bohemian irredentism were formed over the following three years of war. Initially, the greatest resistance to the use of Czech and Slovak prisoners in the ranks of the Royal Army came from the military commanders themselves. On the morning of 23 June 1915, František Kopecký, president of the «Committee of Czechoslovak immigrants in London» met Guglielmo Imperiali, Italian ambassador to England. The purpose of Kopecký's visit, which followed a meeting that had taken place a few days earlier with an advisor from the Italian Royal Embassy in Washington, is reported in a note from Imperiali to the foreign affairs minister Sidney Sonnino. Imperiali asked Sonnino if, and if so, what decision had been made based on the offer of the aforementioned committee relating to the publication and distribution 1

Research paper thumbnail of "Qui anche i sogni sono morti". Cartoline dalla prigionia. il campo n78 di Sulmona

Prigionieri in Italia. Militari alleati e campi di prigionia (1940-1945), MUP, 2021, a cura di Marco Minardi., 2021

Research paper thumbnail of Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell'Abruzzo del secondo dopoguerra

Italia Contemporanea, 2020

Deported to Dachau. A case-study of ordinary (in)justice in the Abruzzi region after the Second ... more Deported to Dachau. A case-study of ordinary (in)justice in the Abruzzi region after the
Second World War. In light of recent studies on transitional justice, this article examines the controversial aspects of a justice procedure of collaborationism, instructed by the Aquila Court of Appeal in the autumn of 1945. The research, carried out on previously unpublished archival sources, analyzes the events that brought to the deportation of 383 detainees and nine civilians from the prison of Sulmona to Dachau’s konzentrationslager. The analysis of the trial allows to connect this specific case-study, of which there is no trace in public memory, to the wider historiographical debate that has highlighted the limits and contradictions of the special legislation aimed at purging and punishing Fascist criminals. This research has also shed new
light on certain crucial aspects concerning the failure, after the fall of the Fascist regime, to release Yugoslav prisoners condemned by wartime military tribunals, who became victims of a double deportation: first to Italy, and after September 8, 1943 to Nazi concentration camps.
Key words: Transitional justice, deportation, political prisoners, Yugoslav partisans, Abruzzo,
Konzentrationslager Dachau

Alla luce dei recenti studi sulla giustizia di transizione, il saggio richiama l’attenzione sugli aspetti controversi di un procedimento giudiziario per collaborazionismo istruito presso la Corte d’Appello dell’Aquila nell’autunno 1945. La ricerca, condotta su fonti archivistiche inedite, ricostruisce gli avvenimenti che determinarono la deportazione di 383 detenuti e nove civili dal carcere di Sulmona al Konzentrationslager di Dachau. L’analisi della vicenda processuale consente di collocare il caso abruzzese, del quale la memoria pubblica non conserva alcuna traccia, nel più ampio dibattito storiografico che ha indicato i limiti e le contraddizioni della legislazione speciale per l’epurazione e la punizione dei crimini fascisti. Lo scavo archivistico ha permesso inoltre di approfondire alcuni aspetti cruciali relativi alla mancata liberazione,
in seguito alla caduta del fascismo, dei detenuti jugoslavi condannati dai tribunali militari di guerra, vittime della doppia deportazione: prima in Italia e, dopo l’8 settembre 1943, nei campi di concentramento nazisti.
Parole chiave: Giustizia di transizione, deportazione, detenuti politici, partigiani jugoslavi,
Abruzzo, Konzentrationslager Dachau

Research paper thumbnail of Da Vilayet a Reichland. L’amministrazione della giustizia in Bosnia-Erzegovina tra i due Imperi (1878-1883)

IL SUD-EST EUROPEO E LE GRANDI POTENZE QUESTIONI NAZIONALI E AMBIZIONI EGEMONICHE DOPO IL CONGRESSO DI BERLINO, a cura di Antonio D'Alessandri e Rudolf Dinu, Roma Tre-Press , 2020

L’acuirsi dell’annosa Questione orientale, sfociata nel conflitto russo-turco (1877-1878), ridest... more L’acuirsi dell’annosa Questione orientale, sfociata nel conflitto russo-turco (1877-1878), ridestò nuovamente l’attenzione delle potenze europee sulla provincia ottomana di Bosnia-Erzegovina. L’articolo 25 del Trattato di Berlino (1878) e la Convenzione di Costantinopoli (1879) concessero all’Austria-Ungheria la facoltà di occupare e amministrare i territori bosniaci e inviare le truppe nel sangiaccato di Novi Pazar, per tutelare e difendere i propri interessi nella regione. Con la ratifica della Convenzione «fu salvato platonicamente l’alto dominio del Sultano» sul vilayet bosniaco. Il governo austro-ungarico si impegnò a «non pregiudicare per nulla i diritti di sovranità di S.M. il Sultano su queste province», ad assicurare «completa libertà ai musulmani nei loro rapporti coi proprii superiori ecclesiastici [sic!] [...] a vigilare colla massima cura, affinché non avvenga alcuna offesa all’onore, ai costumi e consuetudini, alla libertà dell’esercizio religioso, alla sicurezza delle persone e della proprietà dei musulmani». Tuttavia, l’occupazione austro-ungarica segnò la brusca fine di quattro secoli di dominio turco nella provincia e si rivelò ben presto gravida di conseguenze non solo per la comunità islamica, ma soprattutto per i già precari equilibri tra le principali componenti proto-nazionali del paese: serbi, musulmani e croati.

Research paper thumbnail of Immaginare la nazione. Rappresentazioni dell'identità musulmana nella Jugoslavia socialista.

Immaginare la nazione. Rappresentazioni dell'identità musulmana nella Jugoslavia socialista, 2020

La Costituzione della Repubblica socialista della Bosnia-Erzegovina, promulgata il 25 febbraio 19... more La Costituzione della Repubblica socialista della
Bosnia-Erzegovina, promulgata il 25 febbraio 1974, sancì, de jure, la
«nascita» della nazione musulmana di Bosnia-Erzegovina, la sesta nazione
costituente della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia1.
Fu l’ultimo atto di un complesso percorso politico avviato dal Partito
comunista jugoslavo nell’ambito della lotta popolare di Liberazione,
durante le fasi decisive del Secondo conflitto mondiale. L’approccio
dei comunisti jugoslavi alla questione nazionale musulmana
aveva da subito evidenziato alcune criticità rispetto al tradizionale
orientamento iperlaicista della dottrina marxista-leninista. L’elemento
predominante di una presunta identità collettiva musulmana, in effetti,
era e restava saldamente ancorato al patrimonio religioso islamico.
L’idea di fondare la nazione musulmana su tali presupposti, nonostante
l’opera di persuasione da parte di alcuni esponenti del mondo
accademico bosniaco, fu considerata, dai comunisti più intransigenti,
incompatibile con quei principi sui quali il partito aveva fondato, legittimato
e preteso il consenso popolare nell’immediato secondo dopoguerra.

Research paper thumbnail of La banda dello “schenillo”. Il difficile ritorno alla "normalità" nell'immediato dopoguerra abruzzese.

Rivista Abruzzese, 2019

La guerra nella Valle Peligna giunse dal cielo, nell'estate del 1943, con i bombardamenti e i mit... more La guerra nella Valle Peligna giunse dal cielo, nell'estate del 1943, con i bombardamenti e i mitragliamenti anglo-americani sulla popolazione, poi da terra, con l'occupazione tedesca, in modo stabile e permanente dal 13 settembre all'8 giugno del 1944. Le vittime civili furono numerose, i danni alle infrastrutture e al tessuto sociale, incalcolabili. Come accadde altrove, anche in Valle Peligna la presenza tedesca alimentò sporadici fenomeni di resistenza non armata e comunque non sufficiente a suscitare particolare preoccupazione tra i comandi germanici. I casi di collaborazionismo e delazione, al contrario, furono frequenti e le conseguenze, in diversi casi, molto gravi...

Research paper thumbnail of Viaggiare per fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava. (1949 1961).

Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 2018

In Jugoslavia, nei primi anni del secondo dopoguerra, l’organizzazione dell’annuale pellegrinaggi... more In Jugoslavia, nei primi anni del secondo dopoguerra, l’organizzazione dell’annuale pellegrinaggio alla Mecca (hadž) era vincolata dalle rigide direttive del Segretariato statale degli Affari Interni (DSUP, Državni Sekretarijat Unutrašnjih Poslova). Tra il 1949 e il 1961, prima che iniziasse ad assumere le connotazioni di un fenomeno di massa, la partecipazione all’hadž fu rigorosamente limitata a un ristretto numero di funzionari religiosi “fidati”. L’atteggiamento delle autorità fu apparentemente controverso. Nonostante le severe restrizioni imposte sul numero dei partecipanti, il viaggio alla Mecca fu anzitutto l’occasione per poter veicolare il “nuovo volto” del socialismo jugoslavo nei Paesi arabi del Mediterraneo orientale, negli stessi anni in cui si consumava la prima grave crisi tra il Partito comunista dell’Unione Sovietica e il Partito comunista jugoslavo (1948-1955). L’organizzazione dell’hadž fu in larga parte condizionata dai rapporti diplomatici jugoslavi con i Paesi del Medioriente. La mediazione dei funzionari musulmani bosniaci nei rapporti diplomatici con le istituzioni politiche e religiose dei Paesi arabi di tradizione islamica, è testimoniata dalle relazioni della Commissione per gli Affari religiosi (KZVP, Komisija za Vjerska Pitanja) e della Comunità religiosa islamica (IVZ, Islamska Vjerska Zajednica). L’atteggiamento delle autorità governative jugoslave riguardo il pellegrinaggio alla Mecca, nella sua duplice dimensione di fenomeno religioso e politico, è un interessante punto di partenza per aprire nuove prospettive di indagine sui rapporti tra il Partito comunista jugoslavo poi Lega dei comunisti jugoslavi (Komunistička Partija Jugoslavije; dal 1952 Savez Komunista Jugoslavije) e la componente musulmana di Bosnia-Erzegovina.

Research paper thumbnail of I crimini tedeschi contro la popolazione civile nella Valle Peligna. Il caso Stenkling-Fucinese, in "Rivista Abruzzese", LXXI, 4/2018, pp. 292-295

Rivista Abruzzese, 2018

Allo stato attuale della ricerca storiografica relativa ai crimini nazisti e fascisti commessi ne... more Allo stato attuale della ricerca storiografica relativa ai crimini nazisti e fascisti commessi nei confronti della popolazione civile della Valle Peligna, tra l'8 settembre 1943 e l'8 giugno 1944, sono state finora censite 28 vittime in 18 distinti episodi; 24 uomini e 4 donne. Le più giovani, se si fa eccezione della morte del feto nel grembo di Gemma Addolorata Puglielli, entrambi vittime del fuoco tedesco, furono Elena Di Bacco, 14 anni, di Pratola Peligna e Ivo Coccia, 8 anni di Sulmona. Sette omicidi furono commessi nella prima settimana di giugno del 1944, quando le truppe tedesche si preparavano a lasciare la Valle Peligna. Gli esecutori di questi crimini sono tuttora sconosciuti, eccetto uno. Si tratta di Giovanni Stenkling, sergente carrista dell'esercito tedesco di occupazione. Il caso Stenkling fu uno dei 13 procedimenti giudiziari avviati dalla magistratura italiana nei confronti dei criminali di guerra, giunti a dibattimento, e sui quali fu emessa una sentenza, prima che Enrico Santacroce, procuratore del Tribunale supremo militare a Roma, disponesse, nel 1960, l'archiviazione e l'occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazisti e fascisti commessi in Italia dopo l'8 settembre. Il caso Stenkling, data l'eccezionalità delle circostanze giudiziarie, fu rievocato in Parlamento più di sessant'anni dopo, l'8 febbraio 2006, in occasione di un'interrogazione della "Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti".

Research paper thumbnail of Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Fonte d’Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918)

Storia e Problemi Contemporanei, 2016

During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech... more During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech and Slovak prisoners in order to form a Legion within Italy’s own borders. In this essay the author concentrates on two points: the first explores wartime imprisonment in Abruzzo, with particular reference to the Fonte d’Amore concentration camp; the second focuses on the enlistment of Czech and Slovak prisoners being held in the camp. From April 1918 until the end of the War the Fonte d’Amore camp was the main destination for Czech and Slovak prisoners who fought against the Austro- Hungarian Empire to bring about the establishment of the Czechoslovak Republic, which was achieved on October 28, 1918

Research paper thumbnail of La retorica fascista in una provincia italiana. Il caso della medaglia d'oro Filippo Freda.

Rivista Abruzzese, 2018

Mamma, la guerra! Che brutta scena della vita; il nemico diventa sempre più aspro, più barbaro e ... more Mamma, la guerra! Che brutta scena della vita; il nemico diventa sempre più aspro, più barbaro e crudele, un vero massacro umano di noi!!!». Queste parole sono tratte da una lettera che Filippo Freda, volontario in Africa orientale nella guerra di Etiopia, avrebbe scritto per sua madre, il 26 febbraio 1936, il giorno prima di essere colpito a morte durante «un'azione per la conquista delle pareti e vetta sud dell'Uork Amba». Filippo Freda, nacque a Chieti il 27 aprile 1911 da Maria Incoronata Antolini «donna di preclare virtù, tutta dedita alla famiglia» e da Domenico, «agente di custodia». Ben presto la famiglia Freda si trasferì a Sulmona; Filippo risulta infatti iscritto nelle liste anagrafiche del Comune peligno già dal 29 aprile 1915. Il piccolo Filippo frequentò la terza classe della scuola elementare della Badia, e assieme ai suoi tre fratelli minori, Rosaria, Carmine e Felicia, trascorse l'infanzia e l'adolescenza nel piccolo villaggio ai piedi del Monte Morrone. Quando giunse la chiamata per il servizio di leva, Filippo Freda lavorava come operaio in una lavanderia, e, all'occorrenza, al pari dei suoi tanti coetanei, come bracciante agricolo. Il 16 marzo 1932 fu quindi arruolato nel 9° Reggimento Alpini, battaglione 'Vicenza', e congedato dopo i canonici 18 mesi di servizio militare. Il 24 maggio 1934, all'età di 23 anni, Filippo Freda si iscrisse al Partito Nazionale Fascista. Nell'ottobre dello stesso anno, il mese in cui morì il padre, il giovane Filippo chiese di essere incluso nella locale Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), le Camicie Nere della 131° Legione d'assalto Giuseppe Paolini (poi M. Morrone) 2 ; il 3 febbraio 1935 fu mobilitato con la Divisione '23 Marzo', 3° Compagnia, I° Battaglione Camicie Nere d'Eritrea del I° gruppo Generale Diamanti 3 . Due giorni dopo giunse a Napoli, e qui s'imbarcò sul piroscafo 'Argentina'; il 22 febbraio giunse al porto di Massaua con i suoi commilitoni. In Eritrea, allora colonia italiana, le Camicie Nere trascorsero diversi mesi impegnati nell'addestramento militare, in attesa dell'attacco all'Impero d'Etiopia. Le rare notizie sulla missione di Freda le ritroviamo in un articolo de il Popolo di Roma, pubblicato a un anno dalla sua morte, in occasione di una cerimonia solenne nel comune di Sulmona, quando «alla presenza del Podestà Girolamo Pettinelli, del fascio avvocato Leopoldo Dorrucci, della madre […] e tutte le altre autorità civili e militari, il camerata dott. Raffaele del Basso Orsini ha commentato la eroica figura della camicia nera Filippo Freda». Sappiamo quindi, dalle lettere che giunsero ai 'camerati' di Sulmona, che il 3 ottobre 1935, il primo giorno della guerra d'Etiopia, Filippo Freda ebbe il suo battesimo di fuoco; qualche giorno dopo, il 26 ottobre, scriveva al Comandante del Fascio giovanile della Badia: «Noi continuiamo il nostro cammino, sempre con maggior

Research paper thumbnail of The formation of Czech-Slovak legion in Italy. The reason for a difficult alliance in Italian military documents. (in process of editing)

The formation of Czech-Slovak legion in Italy. The reason for a difficult alliance in Italian military documents. (in process of editing)

From the beginning of the Great War diverse national groups of the Austro-Hungarian empire showed... more From the beginning of the Great War diverse national groups of the Austro-Hungarian empire showed dissent with regard to the Habsburg Throne. Within these groups representatives of the Czech and Slovak peoples seemed to be the most determined in their widespread dissemination of propaganda aimed at achieving a political and military alliance between the governments of the Entente countries. In April 1918 the Italian government authorised the enlistment of Czech and Slovak prisoners of war into a special division of the Royal Italian Army. Initially, the same military authorities had previously impeded the decision. It emerges, from diplomatic documents and reports from the Italian Army, that the Italian military chiefs’ strategic decisions, ready to use every possible opportunity to gain advantage in the theatre of war, were decisive rather than the political and ideological motivations, which have often been highlighted.

Research paper thumbnail of Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Fonte d'Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918)

Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Fonte d'Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918)

STORIA E PROBLEMI CONTEMPORANEI, 2016

During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech... more During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech and Slovak prisoners in order to form a Legion within Italy’s own borders. In this essay the author concentrates on two points: the first explores wartime imprisonment in Abruzzo, with particular reference to the Fonte d’Amore concentration camp; the second focuses on the enlistment of Czech and Slovak prisoners being held in the camp. From April 1918 until the end of the War the Fonte d’Amore camp was the main destination for Czech and Slovak prisoners who fought against the Austro- Hungarian Empire to bring about the establishment of the Czechoslovak Republic, which was achieved on October 28, 1918

Research paper thumbnail of Viaggiare per fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava (1949-1961)

Diacronie, 2018

Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza C... more Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza Creative Commons 3.0. Possono essere riprodotti e modificati a patto di indicare eventuali modifiche dei contenuti, di riconoscere la paternità dell'opera e di condividerla allo stesso modo. La citazione di estratti è comunque sempre autorizzata, nei limiti previsti dalla legge. Viaggiare per fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava (1949-1961)

Research paper thumbnail of The formation of the Czech-Slovak legion in Italy. A difficult alliance in Italian military documents

The Bohemian national cause gained the attention of a number of national newspapers, including La... more The Bohemian national cause gained the attention of a number of national newspapers, including La Stampa and Il Corriere della Sera, even before Italy's declaration of war on the Austro-Hungarian empire. This can be inferred by the publication of certain articles 1. From the summer of 1915 onwards, the Italian government and military authorities received numerous appeals from the representatives for Bohemian national independence through diplomatic channels. The presence of a considerable number of Czech and Slovak nationals in Italian prisoner of war camps, and their involvement in the struggle for independence from the Austro-Hungarian empire, would be one of the most important matters upon which relations between the Italian authorities and several representatives of the Bohemian irredentism were formed over the following three years of war. Initially, the greatest resistance to the use of Czech and Slovak prisoners in the ranks of the Royal Army came from the military commanders themselves. On the morning of 23 June 1915, František Kopecký, president of the «Committee of Czechoslovak immigrants in London» met Guglielmo Imperiali, Italian ambassador to England. The purpose of Kopecký's visit, which followed a meeting that had taken place a few days earlier with an advisor from the Italian Royal Embassy in Washington, is reported in a note from Imperiali to the foreign affairs minister Sidney Sonnino. Imperiali asked Sonnino if, and if so, what decision had been made based on the offer of the aforementioned committee relating to the publication and distribution 1

Research paper thumbnail of "Qui anche i sogni sono morti". Cartoline dalla prigionia. il campo n78 di Sulmona

Prigionieri in Italia. Militari alleati e campi di prigionia (1940-1945), MUP, 2021, a cura di Marco Minardi., 2021

Research paper thumbnail of Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell'Abruzzo del secondo dopoguerra

Italia Contemporanea, 2020

Deported to Dachau. A case-study of ordinary (in)justice in the Abruzzi region after the Second ... more Deported to Dachau. A case-study of ordinary (in)justice in the Abruzzi region after the
Second World War. In light of recent studies on transitional justice, this article examines the controversial aspects of a justice procedure of collaborationism, instructed by the Aquila Court of Appeal in the autumn of 1945. The research, carried out on previously unpublished archival sources, analyzes the events that brought to the deportation of 383 detainees and nine civilians from the prison of Sulmona to Dachau’s konzentrationslager. The analysis of the trial allows to connect this specific case-study, of which there is no trace in public memory, to the wider historiographical debate that has highlighted the limits and contradictions of the special legislation aimed at purging and punishing Fascist criminals. This research has also shed new
light on certain crucial aspects concerning the failure, after the fall of the Fascist regime, to release Yugoslav prisoners condemned by wartime military tribunals, who became victims of a double deportation: first to Italy, and after September 8, 1943 to Nazi concentration camps.
Key words: Transitional justice, deportation, political prisoners, Yugoslav partisans, Abruzzo,
Konzentrationslager Dachau

Alla luce dei recenti studi sulla giustizia di transizione, il saggio richiama l’attenzione sugli aspetti controversi di un procedimento giudiziario per collaborazionismo istruito presso la Corte d’Appello dell’Aquila nell’autunno 1945. La ricerca, condotta su fonti archivistiche inedite, ricostruisce gli avvenimenti che determinarono la deportazione di 383 detenuti e nove civili dal carcere di Sulmona al Konzentrationslager di Dachau. L’analisi della vicenda processuale consente di collocare il caso abruzzese, del quale la memoria pubblica non conserva alcuna traccia, nel più ampio dibattito storiografico che ha indicato i limiti e le contraddizioni della legislazione speciale per l’epurazione e la punizione dei crimini fascisti. Lo scavo archivistico ha permesso inoltre di approfondire alcuni aspetti cruciali relativi alla mancata liberazione,
in seguito alla caduta del fascismo, dei detenuti jugoslavi condannati dai tribunali militari di guerra, vittime della doppia deportazione: prima in Italia e, dopo l’8 settembre 1943, nei campi di concentramento nazisti.
Parole chiave: Giustizia di transizione, deportazione, detenuti politici, partigiani jugoslavi,
Abruzzo, Konzentrationslager Dachau

Research paper thumbnail of Da Vilayet a Reichland. L’amministrazione della giustizia in Bosnia-Erzegovina tra i due Imperi (1878-1883)

IL SUD-EST EUROPEO E LE GRANDI POTENZE QUESTIONI NAZIONALI E AMBIZIONI EGEMONICHE DOPO IL CONGRESSO DI BERLINO, a cura di Antonio D'Alessandri e Rudolf Dinu, Roma Tre-Press , 2020

L’acuirsi dell’annosa Questione orientale, sfociata nel conflitto russo-turco (1877-1878), ridest... more L’acuirsi dell’annosa Questione orientale, sfociata nel conflitto russo-turco (1877-1878), ridestò nuovamente l’attenzione delle potenze europee sulla provincia ottomana di Bosnia-Erzegovina. L’articolo 25 del Trattato di Berlino (1878) e la Convenzione di Costantinopoli (1879) concessero all’Austria-Ungheria la facoltà di occupare e amministrare i territori bosniaci e inviare le truppe nel sangiaccato di Novi Pazar, per tutelare e difendere i propri interessi nella regione. Con la ratifica della Convenzione «fu salvato platonicamente l’alto dominio del Sultano» sul vilayet bosniaco. Il governo austro-ungarico si impegnò a «non pregiudicare per nulla i diritti di sovranità di S.M. il Sultano su queste province», ad assicurare «completa libertà ai musulmani nei loro rapporti coi proprii superiori ecclesiastici [sic!] [...] a vigilare colla massima cura, affinché non avvenga alcuna offesa all’onore, ai costumi e consuetudini, alla libertà dell’esercizio religioso, alla sicurezza delle persone e della proprietà dei musulmani». Tuttavia, l’occupazione austro-ungarica segnò la brusca fine di quattro secoli di dominio turco nella provincia e si rivelò ben presto gravida di conseguenze non solo per la comunità islamica, ma soprattutto per i già precari equilibri tra le principali componenti proto-nazionali del paese: serbi, musulmani e croati.

Research paper thumbnail of Immaginare la nazione. Rappresentazioni dell'identità musulmana nella Jugoslavia socialista.

Immaginare la nazione. Rappresentazioni dell'identità musulmana nella Jugoslavia socialista, 2020

La Costituzione della Repubblica socialista della Bosnia-Erzegovina, promulgata il 25 febbraio 19... more La Costituzione della Repubblica socialista della
Bosnia-Erzegovina, promulgata il 25 febbraio 1974, sancì, de jure, la
«nascita» della nazione musulmana di Bosnia-Erzegovina, la sesta nazione
costituente della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia1.
Fu l’ultimo atto di un complesso percorso politico avviato dal Partito
comunista jugoslavo nell’ambito della lotta popolare di Liberazione,
durante le fasi decisive del Secondo conflitto mondiale. L’approccio
dei comunisti jugoslavi alla questione nazionale musulmana
aveva da subito evidenziato alcune criticità rispetto al tradizionale
orientamento iperlaicista della dottrina marxista-leninista. L’elemento
predominante di una presunta identità collettiva musulmana, in effetti,
era e restava saldamente ancorato al patrimonio religioso islamico.
L’idea di fondare la nazione musulmana su tali presupposti, nonostante
l’opera di persuasione da parte di alcuni esponenti del mondo
accademico bosniaco, fu considerata, dai comunisti più intransigenti,
incompatibile con quei principi sui quali il partito aveva fondato, legittimato
e preteso il consenso popolare nell’immediato secondo dopoguerra.

Research paper thumbnail of La banda dello “schenillo”. Il difficile ritorno alla "normalità" nell'immediato dopoguerra abruzzese.

Rivista Abruzzese, 2019

La guerra nella Valle Peligna giunse dal cielo, nell'estate del 1943, con i bombardamenti e i mit... more La guerra nella Valle Peligna giunse dal cielo, nell'estate del 1943, con i bombardamenti e i mitragliamenti anglo-americani sulla popolazione, poi da terra, con l'occupazione tedesca, in modo stabile e permanente dal 13 settembre all'8 giugno del 1944. Le vittime civili furono numerose, i danni alle infrastrutture e al tessuto sociale, incalcolabili. Come accadde altrove, anche in Valle Peligna la presenza tedesca alimentò sporadici fenomeni di resistenza non armata e comunque non sufficiente a suscitare particolare preoccupazione tra i comandi germanici. I casi di collaborazionismo e delazione, al contrario, furono frequenti e le conseguenze, in diversi casi, molto gravi...

Research paper thumbnail of Viaggiare per fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava. (1949 1961).

Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 2018

In Jugoslavia, nei primi anni del secondo dopoguerra, l’organizzazione dell’annuale pellegrinaggi... more In Jugoslavia, nei primi anni del secondo dopoguerra, l’organizzazione dell’annuale pellegrinaggio alla Mecca (hadž) era vincolata dalle rigide direttive del Segretariato statale degli Affari Interni (DSUP, Državni Sekretarijat Unutrašnjih Poslova). Tra il 1949 e il 1961, prima che iniziasse ad assumere le connotazioni di un fenomeno di massa, la partecipazione all’hadž fu rigorosamente limitata a un ristretto numero di funzionari religiosi “fidati”. L’atteggiamento delle autorità fu apparentemente controverso. Nonostante le severe restrizioni imposte sul numero dei partecipanti, il viaggio alla Mecca fu anzitutto l’occasione per poter veicolare il “nuovo volto” del socialismo jugoslavo nei Paesi arabi del Mediterraneo orientale, negli stessi anni in cui si consumava la prima grave crisi tra il Partito comunista dell’Unione Sovietica e il Partito comunista jugoslavo (1948-1955). L’organizzazione dell’hadž fu in larga parte condizionata dai rapporti diplomatici jugoslavi con i Paesi del Medioriente. La mediazione dei funzionari musulmani bosniaci nei rapporti diplomatici con le istituzioni politiche e religiose dei Paesi arabi di tradizione islamica, è testimoniata dalle relazioni della Commissione per gli Affari religiosi (KZVP, Komisija za Vjerska Pitanja) e della Comunità religiosa islamica (IVZ, Islamska Vjerska Zajednica). L’atteggiamento delle autorità governative jugoslave riguardo il pellegrinaggio alla Mecca, nella sua duplice dimensione di fenomeno religioso e politico, è un interessante punto di partenza per aprire nuove prospettive di indagine sui rapporti tra il Partito comunista jugoslavo poi Lega dei comunisti jugoslavi (Komunistička Partija Jugoslavije; dal 1952 Savez Komunista Jugoslavije) e la componente musulmana di Bosnia-Erzegovina.

Research paper thumbnail of I crimini tedeschi contro la popolazione civile nella Valle Peligna. Il caso Stenkling-Fucinese, in "Rivista Abruzzese", LXXI, 4/2018, pp. 292-295

Rivista Abruzzese, 2018

Allo stato attuale della ricerca storiografica relativa ai crimini nazisti e fascisti commessi ne... more Allo stato attuale della ricerca storiografica relativa ai crimini nazisti e fascisti commessi nei confronti della popolazione civile della Valle Peligna, tra l'8 settembre 1943 e l'8 giugno 1944, sono state finora censite 28 vittime in 18 distinti episodi; 24 uomini e 4 donne. Le più giovani, se si fa eccezione della morte del feto nel grembo di Gemma Addolorata Puglielli, entrambi vittime del fuoco tedesco, furono Elena Di Bacco, 14 anni, di Pratola Peligna e Ivo Coccia, 8 anni di Sulmona. Sette omicidi furono commessi nella prima settimana di giugno del 1944, quando le truppe tedesche si preparavano a lasciare la Valle Peligna. Gli esecutori di questi crimini sono tuttora sconosciuti, eccetto uno. Si tratta di Giovanni Stenkling, sergente carrista dell'esercito tedesco di occupazione. Il caso Stenkling fu uno dei 13 procedimenti giudiziari avviati dalla magistratura italiana nei confronti dei criminali di guerra, giunti a dibattimento, e sui quali fu emessa una sentenza, prima che Enrico Santacroce, procuratore del Tribunale supremo militare a Roma, disponesse, nel 1960, l'archiviazione e l'occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazisti e fascisti commessi in Italia dopo l'8 settembre. Il caso Stenkling, data l'eccezionalità delle circostanze giudiziarie, fu rievocato in Parlamento più di sessant'anni dopo, l'8 febbraio 2006, in occasione di un'interrogazione della "Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti".

Research paper thumbnail of Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Fonte d’Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918)

Storia e Problemi Contemporanei, 2016

During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech... more During the final year of the Great War, the Italian government authorized the enlistment of Czech and Slovak prisoners in order to form a Legion within Italy’s own borders. In this essay the author concentrates on two points: the first explores wartime imprisonment in Abruzzo, with particular reference to the Fonte d’Amore concentration camp; the second focuses on the enlistment of Czech and Slovak prisoners being held in the camp. From April 1918 until the end of the War the Fonte d’Amore camp was the main destination for Czech and Slovak prisoners who fought against the Austro- Hungarian Empire to bring about the establishment of the Czechoslovak Republic, which was achieved on October 28, 1918

Research paper thumbnail of La retorica fascista in una provincia italiana. Il caso della medaglia d'oro Filippo Freda.

Rivista Abruzzese, 2018

Mamma, la guerra! Che brutta scena della vita; il nemico diventa sempre più aspro, più barbaro e ... more Mamma, la guerra! Che brutta scena della vita; il nemico diventa sempre più aspro, più barbaro e crudele, un vero massacro umano di noi!!!». Queste parole sono tratte da una lettera che Filippo Freda, volontario in Africa orientale nella guerra di Etiopia, avrebbe scritto per sua madre, il 26 febbraio 1936, il giorno prima di essere colpito a morte durante «un'azione per la conquista delle pareti e vetta sud dell'Uork Amba». Filippo Freda, nacque a Chieti il 27 aprile 1911 da Maria Incoronata Antolini «donna di preclare virtù, tutta dedita alla famiglia» e da Domenico, «agente di custodia». Ben presto la famiglia Freda si trasferì a Sulmona; Filippo risulta infatti iscritto nelle liste anagrafiche del Comune peligno già dal 29 aprile 1915. Il piccolo Filippo frequentò la terza classe della scuola elementare della Badia, e assieme ai suoi tre fratelli minori, Rosaria, Carmine e Felicia, trascorse l'infanzia e l'adolescenza nel piccolo villaggio ai piedi del Monte Morrone. Quando giunse la chiamata per il servizio di leva, Filippo Freda lavorava come operaio in una lavanderia, e, all'occorrenza, al pari dei suoi tanti coetanei, come bracciante agricolo. Il 16 marzo 1932 fu quindi arruolato nel 9° Reggimento Alpini, battaglione 'Vicenza', e congedato dopo i canonici 18 mesi di servizio militare. Il 24 maggio 1934, all'età di 23 anni, Filippo Freda si iscrisse al Partito Nazionale Fascista. Nell'ottobre dello stesso anno, il mese in cui morì il padre, il giovane Filippo chiese di essere incluso nella locale Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), le Camicie Nere della 131° Legione d'assalto Giuseppe Paolini (poi M. Morrone) 2 ; il 3 febbraio 1935 fu mobilitato con la Divisione '23 Marzo', 3° Compagnia, I° Battaglione Camicie Nere d'Eritrea del I° gruppo Generale Diamanti 3 . Due giorni dopo giunse a Napoli, e qui s'imbarcò sul piroscafo 'Argentina'; il 22 febbraio giunse al porto di Massaua con i suoi commilitoni. In Eritrea, allora colonia italiana, le Camicie Nere trascorsero diversi mesi impegnati nell'addestramento militare, in attesa dell'attacco all'Impero d'Etiopia. Le rare notizie sulla missione di Freda le ritroviamo in un articolo de il Popolo di Roma, pubblicato a un anno dalla sua morte, in occasione di una cerimonia solenne nel comune di Sulmona, quando «alla presenza del Podestà Girolamo Pettinelli, del fascio avvocato Leopoldo Dorrucci, della madre […] e tutte le altre autorità civili e militari, il camerata dott. Raffaele del Basso Orsini ha commentato la eroica figura della camicia nera Filippo Freda». Sappiamo quindi, dalle lettere che giunsero ai 'camerati' di Sulmona, che il 3 ottobre 1935, il primo giorno della guerra d'Etiopia, Filippo Freda ebbe il suo battesimo di fuoco; qualche giorno dopo, il 26 ottobre, scriveva al Comandante del Fascio giovanile della Badia: «Noi continuiamo il nostro cammino, sempre con maggior

Research paper thumbnail of The formation of Czech-Slovak legion in Italy. The reason for a difficult alliance in Italian military documents. (in process of editing)

The formation of Czech-Slovak legion in Italy. The reason for a difficult alliance in Italian military documents. (in process of editing)

From the beginning of the Great War diverse national groups of the Austro-Hungarian empire showed... more From the beginning of the Great War diverse national groups of the Austro-Hungarian empire showed dissent with regard to the Habsburg Throne. Within these groups representatives of the Czech and Slovak peoples seemed to be the most determined in their widespread dissemination of propaganda aimed at achieving a political and military alliance between the governments of the Entente countries. In April 1918 the Italian government authorised the enlistment of Czech and Slovak prisoners of war into a special division of the Royal Italian Army. Initially, the same military authorities had previously impeded the decision. It emerges, from diplomatic documents and reports from the Italian Army, that the Italian military chiefs’ strategic decisions, ready to use every possible opportunity to gain advantage in the theatre of war, were decisive rather than the political and ideological motivations, which have often been highlighted.