Marco Valle | Università degli Studi di Torino (original) (raw)

Papers by Marco Valle

Research paper thumbnail of Benedetto Croce e la politica italiana, 1943-1948

Nuova Rivista Storica, 2020

Seven scholars, specialists in the history of Italian politics, analyse the book by Eugenio Di Ri... more Seven scholars, specialists in the history of Italian politics, analyse the book by Eugenio Di Rienzo, Benedetto Croce. Gli anni dello scontento 1943-1948.

Research paper thumbnail of Rezension: Luigi Mascilli Migliorini: Metternich (rezensiert von Marco Valle)

Research paper thumbnail of L’Afghanistan dai «Cannoni d’agosto» alla prima Guerra fredda, 1914-1947

Nuova Rivista Storica, 2015

Research paper thumbnail of Patria senza mare.

Patria senza mare - La Genova di Andrea Doria, 2022

Siamo immersi nel mare ma ci piace far finta di niente. Un nuovo saggio porta a riflettere su que... more Siamo immersi nel mare ma ci piace far
finta di niente. Un nuovo saggio porta a
riflettere su questo clamoroso (e
dannosissimo) paradosso che impedisce
ad una nazione «marinara a fasi alterne» di
svolgere il ruolo che Geografia e Storia le
hanno messo su un piatto d’argento. Una
dolorosa, documentata e sconcertante
storia dell’Italia marittima arriva in
libreria grazie a Marco Valle che inanella
una lunghissima galleria di personaggi
sorprendenti e imprese epiche
intervallate da miopie e tramonti
ingloriosi. Ecco cosa ci ha detto l’autore
di «Patria senza Mare»

Research paper thumbnail of Armenia, il genocidio negato

Armenia, il genocidio negato, 2021

COPERTINA Un popolo sfortunato opo 106 anni Parigi e la Francia ricordano il «Metz Yagern», il «g... more COPERTINA Un popolo sfortunato opo 106 anni Parigi e la Francia ricordano il «Metz Yagern», il «grande male», lo sterminio degli armeni cristiani per mano dei turchi. Con una grande mostra, «Le Gènocide des arméniens de l'Empire ottoman». Una rassegna importante. Per più motivi. Innanzitutto per il tema e il luogo: una memoria a lungo relegata all'interno della diaspora armena-custodita dai religiosi e dagli intellettuali e rivendicata in solitudine dalla fragile repubblica di Erevan-si dispiega significativamente nel Memoriale della Shoah di Drancy, un luogo

Research paper thumbnail of Africa dolens. Le illusioni della decolonizzazione

Storia in Rete, 2020

Nel 1960 il colonialismo europeo, un'avventura durata poco più di 80 anni, finisce quasi di colpo... more Nel 1960 il colonialismo europeo, un'avventura durata poco più di 80 anni, finisce quasi di colpo. Francia, Belgio e poi Inghilterra abbandonano frettolosamente le proprie colonie africane, ormai non più redditizie e sempre più ribelli. Nascono nuovi Stati pieni di speranze e problemi. Le prime sono sparite, i secondi sono diventati enormi. E riguardano pure noi.

Research paper thumbnail of LA GRANDE GUERRA NARRATA DA GIOACCHINO VOLPE

Nuova Rivista Storica, 2020

Soffiano alle nostre porte gelidi venti di guerra e, una volta di più, la classe politica nostran... more Soffiano alle nostre porte gelidi venti di guerra e, una volta di più, la classe politica nostrana si rannicchia aspettando e sperando che la bufera passi in fretta. Intanto, al di fuori dei palazzi del potere, le contrapposte tifoserie si accendono, esasperando e volgarizzando ogni dibattito, ogni confronto, ogni ragionamento. Il nostro peso sugli eventi mondiali è nullo ma quasi nessuno sembra preoccuparsene. È il destino di un Paese a sovranità limitata che ha scelto un'eterna vacanza della Storia. Amen. Eppure vi fu un tempo in cui le élites misuravano con pragmatismo gli scenari globali e valutavano con ponderazione e realismo quali e dove fossero gli interessi nazionali. Fu il caso, come ci ricorda Giocchino Volpe ne "Il popolo italiano nel primo anno della Grande Guerra", dell'intervento italiano del 1915. Si tratta di un prezioso inedito del massimo storico italiano del Novecento, ritrovato e pubblicato da Eugenio Di Rienzo-autore di una poderosa introduzione-e Fabrizio Rudi. Un testo importante, per nulla agiografico e tanto meno retorico che ci riporta al clima infuocato della prima fase del conflitto con riflessi evidenti-non a caso, come nota Di Rienzo, fu redatto tra il 1942-43-sull'ormai imminente catastrofe bellica. Volpe, fedele alle lezioni di Tucidide e Weber, ben sapeva che solo la coniugazione di coraggio e prudenza e dunque il giusto dosaggio di offensiva e difensiva sono gli ingredienti dell'agire strategico. Una consapevolezza e una lungimiranza che l'autore riconosce alla filiera liberal-risorgimentale stretta attorno al governo Salandra e a lungo indecisa se restare neutrale, affiancarsi agli austro-turco-tedeschi o combattere con l'Intesa. Al netto dell'irruenza degli interventisti e delle narrazioni ideologiche scioviniste e germanofobiche, Volpe offre infatti una lettura degli eventi basata sulla real politik: l'opzione per Londra e Parigi fu il risultato di un freddo, razionale calcolo dei rapporti di forza militari ed economici e le prospettive-allettanti e poi, come noto, disattese dopo la vittoria-di vantaggi territoriali. Il «sacro egoismo» teorizzato Salandra. Per l'Italia, «grande potenza solo a titolo di cortesia», una scelta obbligata da affrontare con «un esercito povero di quadri e con difficoltà a reclutarli, in una Nazione dove mancava vecchia nobiltà di tradizione guerriera e solida borghesia industriale, abituata a comandare e inquadrare gli uomini, la milizia territoriale esisteva solo sulla carta, e la grande massa dei militarmente abili non era istruita». Accanto alle lacune castrensi vi era poi un tessuto industriale modesto, apparentemente inadatto ad affrontare un'economia di guerra, la cronica mancanza di materie prime e un sistema infrastrutturale inadeguato. Per il regno sabaudo si prospettava-come fu per il Portogallo e la Grecia-un ruolo marginale, subalterno agli alleati, nella speranza di una guerra possibilmente brevissima. Ma incredibilmente, sorprendendo alleati e nemici, la piccola Italia di Salandra e Cadorna (figura ampiamente rivalutata dall'autore), di Sonnino e del socialista Bissolati («l'uomo nuovo dell'interventismo») seppe mobilitarsi e trasformarsi. Una classe dirigente certamente imperfetta, anzi litigiosa e a volte ottusa, ma capace di reggere e guidare dignitosamente l'immane sforzo bellico. Il merito principale, come Volpe racconta con passione, fu dell'armata al fronte-«il popolo in grigio-verde»-a sua volta sorretta dall'intera società civile. Il popolo italiano, per una volta coeso, seppe affrontare le inedite difficoltà con dedizione ed entusiasmo, mettendo all'angolo le politiche disfattiste della teocrazia romana e ignorando il «mormorio parlamentare».

Research paper thumbnail of Benedetto Croce 1943-1948. Un filosofo tra le rovine

Il Giornale, 2019

Benedetto Croce 1943-48. Un filosofo tra le rovine «Siamo stati vinti, e questo non bisogna dimen... more Benedetto Croce 1943-48. Un filosofo tra le rovine «Siamo stati vinti, e questo non bisogna dimenticare; ma anche i vinti hanno una dignità da serbare, e anche i vinti hanno o trovano armi per difendersi specialmente nella molteplicità cozzante degli interessi del mondo; e operare per l'Italia e frenare anche il mal animo, la cupidità e la prepotenza inglese, si può, ma richiede uomini che abbiano occhio acuto e braccio fermo». Così, il 12 luglio 1944, scriveva sconsolato Benedetto Croce all'indomani delle sue dimissioni dal governo guidato dell'inetto Bonomi. Ma nel disastro epocale seguito al 25 luglio e all'8 settembre '43, uomini di tal fatta non c'erano; restava solo una folla di politicanti trasformisti, petulanti agitatori, avvocati "paglietta", generali felloni. E un cocciuto sovrano, ormai delegittimato, sputtanato, impresentabile. Era il "regno del Sud", l'ultima sgangherata ridotta dello Stato sabaudo impiantata su un un fazzoletto d'Italia ristretto tra Brindisi-l'usbergo dei fuggitivi del "Baionetta"-e la Napoli amarissima e disperata narrata con rabbia da Malaparte e dolente pietas da Norman Lewis. Un panorama di rovine materiali e morali, sgombro d'ogni dignità e decenza, scenario perfetto per la "morte della Patria". Il comandante Carlo Fecia di Cossato, uomo serio e autentico eroe di guerra, non resse a tanto schifo. Alla madre scrisse «siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono in fondo al mare. Penso che il mio posto è con loro». Per Cossato la sola scelta onorevole fu un colpo di pistola alla tempia. Le guerre di Don Benedetto In questa riedizione mandolinara de "l'Inferno" di Hieronymus Bosch, unico e solitario riferimento "alto" rimaneva Don Benedetto, il vecchio filosofo di Pescasseroli, il maestro del neoidealismo, il rivale di Gentile. Croce, il liberale antifascista. Croce, il "Papa laico". Croce, il patriota monarchico (senza illusioni) sempre pervicacemente anticomunista. Fu lui-unica, vera autorità morale, con buona pace della vulgata ancora dominante, di quel tempo crudele, volgare e confuso-a tentare di ricomporre i lacerati brandelli dello Stato liberale post-unitario in una visione democratica e nazionale e immaginare un futuro alternativo al consociativismo catto-comunista che ha afflitto (e affligge) l'Italia. Un compito immane, impossibile ma certamente generoso quanto misconosciuto o negato. L'ennesimo "tradimento della memoria". Ora, con coraggio (e tante, tante carte d'archivio), Eugenio Di Rienzo ha voluto ripercorrere quell'ultimo passaggio politico del grande filosofo in un agile quanto denso lavoro significativamente intitolato "Benedetto Croce. Gli anni dello scontento 1943-1948". Sin dalle prime pagine il docente romano-grande autorità negli studi storici e mente libera e anticonformista-si è impegnato in un'accurato "smontaggio" delle varie leggende cucite negli anni dai chierici del "politicamente corretto" sul percorso crociano post-1943. Ritroviamo perciò il direttore de "La Critica" impegnato a salvare l'istituto monarchico ma assolutamente indisponibile verso Vittorio Emanuele e il principe Umberto, ambedue ritenuti corresponsabili della disfatta. Alla dinastia Croce prospettava un duplice "salto" generazionale con il trasferimento della

Research paper thumbnail of NOI, SUEZ E GLI ALTRI...

La storia del canale più famoso del mondo riguarda da vicino anche l'Italia, le sue ambizioni e l... more La storia del canale più famoso del mondo riguarda da vicino anche l'Italia, le sue ambizioni e le sue esigenze. E sullo sfondo i nostri rapporti con i nostri "alleati" europei: Francia e Gran Bretagna. Ieri come oggi pronti a tutto pur di tenere lontano Roma. Per avere un'idea basta leggere sia un libro appena uscito — "Suez. Il Canale, l'Egitto e l'Italia" — che questa intervista al suo autore: Marco Valle

Research paper thumbnail of L'EGITTO, IL CANALE DI SUEZ E L'ITALIA

Nel 2019 il Canale di Suez festeggerà i suoi primi centocinquant'anni d'attività. Una data tonda ... more Nel 2019 il Canale di Suez festeggerà i suoi primi centocinquant'anni d'attività. Una data tonda e un traguardo importante per questa sottile via d'acqua che unisce il Mediterraneo al Mar Rosso, avvicina l'Europa all'Oriente, all'Oceania, al Pacifico. Suez è un'arteria centrale del sistema-mondo, un fulcro di un fascio di rotte commerciali e di flussi di traffico imponenti, un passaggio strategico per le economie del Mediterraneo e dell'Europa, un punto geopolitico fondamentale per l'Italia e i suoi porti. Il Canale è importante per tutti. Terribilmente importante per l'Egitto. L'attuale presidente, il ferrigno Abd al-Fattah al Sissi ne è assolutamente consapevole e ha deciso di investire sul Canale -come già Gamal Abdel Nasser nel 1956 -il destino dell'Egitto repubblicano e laico. Il generale -in accordo con i vertici delle Forze armate, il principale centro di potere della Repubblica, e considerate le ridotte risorse statali disponibili -ha lanciato nel 2014 un'imponente campagna mediatica e una sottoscrizione popolare per finanziare la ristrutturazione e l'allargamento della via d'acqua. Il governo cairota ha affidato a quattro banche la vendita pubblica di titoli cartolarizzati a cinque anni, con un tasso d'interesse del 12 per cento, riservati però solo a cittadini egiziani. Una scommessa rischiosa, tutta improntata sui temi della dignità e dell'orgoglio nazionale, che sembra, almeno per il momento, riuscita. Il 6 agosto 2015 il presidente egiziano ha inaugurato solennemente la nuova autostrada del mare. L'opera è colossale. Accanto al percorso storico -immaginato nell'Ottocento dai sansimoniani, progettato da Luigi Negrelli, con il prezioso appoggio di Pietro Paleocapa, e realizzato da Ferdinand de Lesseps -, è stato scavato un nuovo canale parallelo, lungo 35 chilometri, e allargato e approfondito di 37 chilometri di quello già esistente. Il raddoppio "parziale" permette di duplicare il traffico (da 49 a 97 navi al giorno), ridurre drasticamente i tempi d'attesa (da 11 ore a solo 3) e consente il passaggio dei giganteschi bastimenti Ro-Ro di nuova generazione e delle superpetroliere. Costo immediato 4 miliardi di dollari, a cui si aggiungeranno altri 4,5 miliardi per la realizzazione di sei tunnel (tre a Ismailia e tre a Port Said), l'apertura di una zona industriale free tax, un cantiere navale e cinque porti. Secondo le previsioni del governo cairota, una volta completato l'intero progetto, le entrate passeranno dagli attuali cinque miliardi di dollari (dati del 2014) a 13,5 miliardi e produrrà un milione di posti di lavoro in dieci anni: una boccata d'ossigeno importante per la traballante economia egiziana non ancora ripresasi dagli spasmi della cosiddetta "primavera araba" e dalle conseguenti turbolenze. Per Al Sissi -attualmente alle prese con una dura crisi economica interna, il crollo dell'industria turistica, il caos libico e il terrorismo nel Sinai -un'occasione unica per stabilizzare il potere e restituire all'Egitto un ruolo centrale nel sempre più intricato quadro regionale. Lo sforzo davvero imponente della tribolata repubblica nordafricana anticipa il futuro ma, al tempo stesso, ci riporta al passato, alla lunga e intricata storia di questo sottile filo liquido che divide e separa l'Africa dall'Asia, una storia che s'innerva lungo i secoli e, sin dall'antichità ai tempi odierni, si riflette puntualmente sulle vicende italiche. Port Suez e Port Said ci ricordano una volta di più la centralità del Mediterraneo -il "continente liquido", riprendendo la bella definizione forgiata da Ferdinand Braudel -e

Research paper thumbnail of Tra economia e politica: il grande disegno di Klemens von Metternich

Klemens von Metternich, un modernista conservatore. Da riscoprire e studiare. Articolo pubblicato... more Klemens von Metternich, un modernista conservatore. Da riscoprire e studiare.
Articolo pubblicato il 6 dicembre 2015 su Il Corriere della Sera

Research paper thumbnail of Il Lloyd Triestino in mostra a Trieste. Italia patria senza mare

La mostra a Trieste dedicata al Lloyd Triestino, la più antica compagnia di navigazione italiana.... more La mostra a Trieste dedicata al Lloyd Triestino, la più antica compagnia di navigazione italiana. E alcune riflessioni sull'Italia, patria senza mare

Research paper thumbnail of Jugoslavia. Il regime titoista e il suo  fallimento

E ssere bimbo a Trieste tra i Sessanta e i Settanta e crescere a ridosso del confine, di «quel» c... more E ssere bimbo a Trieste tra i Sessanta e i Settanta e crescere a ridosso del confine, di «quel» confine, per molti è stata un'esperienza singolare e, a suo modo, formativa. Sul golfo, nonostante il ritorno nel 1954 dell'Italia, il dopoguerra sembrava non finire mai. Tutto rimaneva precario, temporaneo, transitorio. Roma si era presto rilevata matrigna e i notabili democristiani avevano ripiegato la città -un tempo ricca, industriosa e brillante -nell'assistenzialismo, creando un benessere provvisorio senza prospettive, senza ottimismo; intanto, a pochi chilometri dalle nostre case, dalla scuola, dall'oratorio -scorreva la frontiera con la Iugoslavia titoista. Un altro mondo. Dall'«altra parte» c'era il Co-munismo reale, ai nostri occhi un pianeta cupo, popolato da gente triste, malvestita, povera che ciondolava tra negozi semi vuoti e monumenti con la stella rossa; un panorama triste sorvegliato da poliziotti sgarbati e tanti soldatini infagottati in logore uniformi. Dall'«altra parte» vedevamo solo strade scassate, brutte case illuminate da fioche lampade al neon e intristite da pavimenti in linoleum color nocciola, sguardi obliqui che per un istante s'intrecciavano con i nostri. Non era di certo il «paradiso» che radio Capodistria -l'emittente «iugo» in lingua italiana -continuava a magnificare per la gioia degli stolti nostrani. I triestini, d'ogni età, ceto e fazione, scopertisi bruscamente italiani periferici, cittadini di una città in STORIA IN RETE | 00 Gennaio 2016 Copertina Sguardi oltrecortina

Research paper thumbnail of L'Italia è Giovane. Note sul processo unitario italiano

il primo capitolo de "Il Milanese e l'Unità d'italia" di Marco Valle (Toruing Club editore, 2011)

Research paper thumbnail of La storia d'Italia come "terra di frontiera"

La recensione di Eugenio di Rienzo sul Corriere della Sera del libro Confini e Conflitti di Marco... more La recensione di Eugenio di Rienzo sul Corriere della Sera del libro Confini e Conflitti di Marco Valle

Research paper thumbnail of Afghanistan, il "gioco delle ombre". Un libro per capire

Un commento ad Afghanistan, il grande gioco di Eugenio Di Rienzo

Research paper thumbnail of La strage di Porzus, una pagina buia della storia italiana

Novembre-Dicembre 2014 aNticipazioNi retroscena di una «faida interna» PORZÛS I COMUNISTI AMMAZZA... more Novembre-Dicembre 2014 aNticipazioNi retroscena di una «faida interna» PORZÛS I COMUNISTI AMMAZZANO GLI ANTIFASCISTI 21 giugno 1945: i funerali dei partigiani osovani trucidati dai comunisti alla malga di Porzûs 65 | STORIA IN RETE Novembre-Dicembre 2014 i titini liquidarono fucilando o infoibando dissidenti italiani di ogni appartenenza politica: comunisti patriottici che non volevano rinunciare al tricolore, partigiani militari, socialisti e azionisti, perfino ebrei scampati allo sterminio nazista Marco Valle si è occupato di «uomini, imperi e sovranità nazionale» nel suo saggio «Conflitti&Confini» (Eclettica, pp. 320, € 18,00 -www.ecletticaedizioni.com) Per acquistare questo libro vai a pag. 96

Research paper thumbnail of Fronte della Gioventù, una storia a lungo attesa

Un commento al libro di Alessandro Amorese Fronte della Gioventù

Research paper thumbnail of Appunti sul regno crociato di Gerusalemme

I l conte Paolo Gentiloni di storia poco sa. Non è colpa sua. Probabilmente in gioventù ha speso ... more I l conte Paolo Gentiloni di storia poco sa. Non è colpa sua. Probabilmente in gioventù ha speso troppo del suo tempo a bighellonare tra il Movimento Lavoratori per il Socialismo e il Partito di Unità Proletaria (nei Settanta due ritrovi della jeunesse dorèe, interdetti ai poveracci e ignoti agli operai veri…) e, una volta incanutito, ha sperperato ore preziose seguendo Rutelli nei suoi partitini. Capita. Il conte Paolo Gentiloni è però fortunato. Un bel giorno Matteo Renzi, stufo dell'imbarazzante Mogherini, ha pensato a lui (sì, proprio a lui) piazzandolo alla Farnesina. Un incarico prestigioso, ben retribuito e poco faticoso: da anni le politiche internazionali dell'Italia le decidono i nostri vicini e al ministro di turno null'altro rimane che stringere qualche mano, degustare tartine e (talvolta) dichiarare qualche ovvietà sull'attualità e il tempo che farà. Una pacchia. Purtroppo, anche per il conte Gentiloni, il destino talvolta può rivelarsi cinico e baro. Persino crudele. Maleducatamente il Medio Oriente ha avuto la pessima idea d'incendiarsi, strappando così l'occhialuto aristo-STORIA IN RETE | 34 Aprile 2015 PUNTUALIZZAZIONI Ministri poco attenti alla storia LE CROCIATE, QUES LE CROCIATE, QUE LE CROCIATE, QUE Le esternazioni del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sulle Crociate hanno sollevato un putiferio, mostrando soprattutto quanti danni possa fare la scarsa conoscenza della storia da parte dei politici. Che non possono permettersi di liquidare un fenomeno epocale di enorme complessità con poche frasi di circostanza che rivelano una non sorprendente sudditanza verso lo «storicamente corretto» che classifi ca i crociati tra i predoni, gli assassini, gli imperialisti. Ma la Storia ci racconta anche di uomini coraggiosi, tenaci, pieni di fede, sfortunati e traditi. Ieri come oggi da chi era rimasto in Europa

Research paper thumbnail of Benedetto Croce e la politica italiana, 1943-1948

Nuova Rivista Storica, 2020

Seven scholars, specialists in the history of Italian politics, analyse the book by Eugenio Di Ri... more Seven scholars, specialists in the history of Italian politics, analyse the book by Eugenio Di Rienzo, Benedetto Croce. Gli anni dello scontento 1943-1948.

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Research paper thumbnail of L’Afghanistan dai «Cannoni d’agosto» alla prima Guerra fredda, 1914-1947

Nuova Rivista Storica, 2015

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Patria senza mare - La Genova di Andrea Doria, 2022

Siamo immersi nel mare ma ci piace far finta di niente. Un nuovo saggio porta a riflettere su que... more Siamo immersi nel mare ma ci piace far
finta di niente. Un nuovo saggio porta a
riflettere su questo clamoroso (e
dannosissimo) paradosso che impedisce
ad una nazione «marinara a fasi alterne» di
svolgere il ruolo che Geografia e Storia le
hanno messo su un piatto d’argento. Una
dolorosa, documentata e sconcertante
storia dell’Italia marittima arriva in
libreria grazie a Marco Valle che inanella
una lunghissima galleria di personaggi
sorprendenti e imprese epiche
intervallate da miopie e tramonti
ingloriosi. Ecco cosa ci ha detto l’autore
di «Patria senza Mare»

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Armenia, il genocidio negato, 2021

COPERTINA Un popolo sfortunato opo 106 anni Parigi e la Francia ricordano il «Metz Yagern», il «g... more COPERTINA Un popolo sfortunato opo 106 anni Parigi e la Francia ricordano il «Metz Yagern», il «grande male», lo sterminio degli armeni cristiani per mano dei turchi. Con una grande mostra, «Le Gènocide des arméniens de l'Empire ottoman». Una rassegna importante. Per più motivi. Innanzitutto per il tema e il luogo: una memoria a lungo relegata all'interno della diaspora armena-custodita dai religiosi e dagli intellettuali e rivendicata in solitudine dalla fragile repubblica di Erevan-si dispiega significativamente nel Memoriale della Shoah di Drancy, un luogo

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Storia in Rete, 2020

Nel 1960 il colonialismo europeo, un'avventura durata poco più di 80 anni, finisce quasi di colpo... more Nel 1960 il colonialismo europeo, un'avventura durata poco più di 80 anni, finisce quasi di colpo. Francia, Belgio e poi Inghilterra abbandonano frettolosamente le proprie colonie africane, ormai non più redditizie e sempre più ribelli. Nascono nuovi Stati pieni di speranze e problemi. Le prime sono sparite, i secondi sono diventati enormi. E riguardano pure noi.

Research paper thumbnail of LA GRANDE GUERRA NARRATA DA GIOACCHINO VOLPE

Nuova Rivista Storica, 2020

Soffiano alle nostre porte gelidi venti di guerra e, una volta di più, la classe politica nostran... more Soffiano alle nostre porte gelidi venti di guerra e, una volta di più, la classe politica nostrana si rannicchia aspettando e sperando che la bufera passi in fretta. Intanto, al di fuori dei palazzi del potere, le contrapposte tifoserie si accendono, esasperando e volgarizzando ogni dibattito, ogni confronto, ogni ragionamento. Il nostro peso sugli eventi mondiali è nullo ma quasi nessuno sembra preoccuparsene. È il destino di un Paese a sovranità limitata che ha scelto un'eterna vacanza della Storia. Amen. Eppure vi fu un tempo in cui le élites misuravano con pragmatismo gli scenari globali e valutavano con ponderazione e realismo quali e dove fossero gli interessi nazionali. Fu il caso, come ci ricorda Giocchino Volpe ne "Il popolo italiano nel primo anno della Grande Guerra", dell'intervento italiano del 1915. Si tratta di un prezioso inedito del massimo storico italiano del Novecento, ritrovato e pubblicato da Eugenio Di Rienzo-autore di una poderosa introduzione-e Fabrizio Rudi. Un testo importante, per nulla agiografico e tanto meno retorico che ci riporta al clima infuocato della prima fase del conflitto con riflessi evidenti-non a caso, come nota Di Rienzo, fu redatto tra il 1942-43-sull'ormai imminente catastrofe bellica. Volpe, fedele alle lezioni di Tucidide e Weber, ben sapeva che solo la coniugazione di coraggio e prudenza e dunque il giusto dosaggio di offensiva e difensiva sono gli ingredienti dell'agire strategico. Una consapevolezza e una lungimiranza che l'autore riconosce alla filiera liberal-risorgimentale stretta attorno al governo Salandra e a lungo indecisa se restare neutrale, affiancarsi agli austro-turco-tedeschi o combattere con l'Intesa. Al netto dell'irruenza degli interventisti e delle narrazioni ideologiche scioviniste e germanofobiche, Volpe offre infatti una lettura degli eventi basata sulla real politik: l'opzione per Londra e Parigi fu il risultato di un freddo, razionale calcolo dei rapporti di forza militari ed economici e le prospettive-allettanti e poi, come noto, disattese dopo la vittoria-di vantaggi territoriali. Il «sacro egoismo» teorizzato Salandra. Per l'Italia, «grande potenza solo a titolo di cortesia», una scelta obbligata da affrontare con «un esercito povero di quadri e con difficoltà a reclutarli, in una Nazione dove mancava vecchia nobiltà di tradizione guerriera e solida borghesia industriale, abituata a comandare e inquadrare gli uomini, la milizia territoriale esisteva solo sulla carta, e la grande massa dei militarmente abili non era istruita». Accanto alle lacune castrensi vi era poi un tessuto industriale modesto, apparentemente inadatto ad affrontare un'economia di guerra, la cronica mancanza di materie prime e un sistema infrastrutturale inadeguato. Per il regno sabaudo si prospettava-come fu per il Portogallo e la Grecia-un ruolo marginale, subalterno agli alleati, nella speranza di una guerra possibilmente brevissima. Ma incredibilmente, sorprendendo alleati e nemici, la piccola Italia di Salandra e Cadorna (figura ampiamente rivalutata dall'autore), di Sonnino e del socialista Bissolati («l'uomo nuovo dell'interventismo») seppe mobilitarsi e trasformarsi. Una classe dirigente certamente imperfetta, anzi litigiosa e a volte ottusa, ma capace di reggere e guidare dignitosamente l'immane sforzo bellico. Il merito principale, come Volpe racconta con passione, fu dell'armata al fronte-«il popolo in grigio-verde»-a sua volta sorretta dall'intera società civile. Il popolo italiano, per una volta coeso, seppe affrontare le inedite difficoltà con dedizione ed entusiasmo, mettendo all'angolo le politiche disfattiste della teocrazia romana e ignorando il «mormorio parlamentare».

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Il Giornale, 2019

Benedetto Croce 1943-48. Un filosofo tra le rovine «Siamo stati vinti, e questo non bisogna dimen... more Benedetto Croce 1943-48. Un filosofo tra le rovine «Siamo stati vinti, e questo non bisogna dimenticare; ma anche i vinti hanno una dignità da serbare, e anche i vinti hanno o trovano armi per difendersi specialmente nella molteplicità cozzante degli interessi del mondo; e operare per l'Italia e frenare anche il mal animo, la cupidità e la prepotenza inglese, si può, ma richiede uomini che abbiano occhio acuto e braccio fermo». Così, il 12 luglio 1944, scriveva sconsolato Benedetto Croce all'indomani delle sue dimissioni dal governo guidato dell'inetto Bonomi. Ma nel disastro epocale seguito al 25 luglio e all'8 settembre '43, uomini di tal fatta non c'erano; restava solo una folla di politicanti trasformisti, petulanti agitatori, avvocati "paglietta", generali felloni. E un cocciuto sovrano, ormai delegittimato, sputtanato, impresentabile. Era il "regno del Sud", l'ultima sgangherata ridotta dello Stato sabaudo impiantata su un un fazzoletto d'Italia ristretto tra Brindisi-l'usbergo dei fuggitivi del "Baionetta"-e la Napoli amarissima e disperata narrata con rabbia da Malaparte e dolente pietas da Norman Lewis. Un panorama di rovine materiali e morali, sgombro d'ogni dignità e decenza, scenario perfetto per la "morte della Patria". Il comandante Carlo Fecia di Cossato, uomo serio e autentico eroe di guerra, non resse a tanto schifo. Alla madre scrisse «siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono in fondo al mare. Penso che il mio posto è con loro». Per Cossato la sola scelta onorevole fu un colpo di pistola alla tempia. Le guerre di Don Benedetto In questa riedizione mandolinara de "l'Inferno" di Hieronymus Bosch, unico e solitario riferimento "alto" rimaneva Don Benedetto, il vecchio filosofo di Pescasseroli, il maestro del neoidealismo, il rivale di Gentile. Croce, il liberale antifascista. Croce, il "Papa laico". Croce, il patriota monarchico (senza illusioni) sempre pervicacemente anticomunista. Fu lui-unica, vera autorità morale, con buona pace della vulgata ancora dominante, di quel tempo crudele, volgare e confuso-a tentare di ricomporre i lacerati brandelli dello Stato liberale post-unitario in una visione democratica e nazionale e immaginare un futuro alternativo al consociativismo catto-comunista che ha afflitto (e affligge) l'Italia. Un compito immane, impossibile ma certamente generoso quanto misconosciuto o negato. L'ennesimo "tradimento della memoria". Ora, con coraggio (e tante, tante carte d'archivio), Eugenio Di Rienzo ha voluto ripercorrere quell'ultimo passaggio politico del grande filosofo in un agile quanto denso lavoro significativamente intitolato "Benedetto Croce. Gli anni dello scontento 1943-1948". Sin dalle prime pagine il docente romano-grande autorità negli studi storici e mente libera e anticonformista-si è impegnato in un'accurato "smontaggio" delle varie leggende cucite negli anni dai chierici del "politicamente corretto" sul percorso crociano post-1943. Ritroviamo perciò il direttore de "La Critica" impegnato a salvare l'istituto monarchico ma assolutamente indisponibile verso Vittorio Emanuele e il principe Umberto, ambedue ritenuti corresponsabili della disfatta. Alla dinastia Croce prospettava un duplice "salto" generazionale con il trasferimento della

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La storia del canale più famoso del mondo riguarda da vicino anche l'Italia, le sue ambizioni e l... more La storia del canale più famoso del mondo riguarda da vicino anche l'Italia, le sue ambizioni e le sue esigenze. E sullo sfondo i nostri rapporti con i nostri "alleati" europei: Francia e Gran Bretagna. Ieri come oggi pronti a tutto pur di tenere lontano Roma. Per avere un'idea basta leggere sia un libro appena uscito — "Suez. Il Canale, l'Egitto e l'Italia" — che questa intervista al suo autore: Marco Valle

Research paper thumbnail of L'EGITTO, IL CANALE DI SUEZ E L'ITALIA

Nel 2019 il Canale di Suez festeggerà i suoi primi centocinquant'anni d'attività. Una data tonda ... more Nel 2019 il Canale di Suez festeggerà i suoi primi centocinquant'anni d'attività. Una data tonda e un traguardo importante per questa sottile via d'acqua che unisce il Mediterraneo al Mar Rosso, avvicina l'Europa all'Oriente, all'Oceania, al Pacifico. Suez è un'arteria centrale del sistema-mondo, un fulcro di un fascio di rotte commerciali e di flussi di traffico imponenti, un passaggio strategico per le economie del Mediterraneo e dell'Europa, un punto geopolitico fondamentale per l'Italia e i suoi porti. Il Canale è importante per tutti. Terribilmente importante per l'Egitto. L'attuale presidente, il ferrigno Abd al-Fattah al Sissi ne è assolutamente consapevole e ha deciso di investire sul Canale -come già Gamal Abdel Nasser nel 1956 -il destino dell'Egitto repubblicano e laico. Il generale -in accordo con i vertici delle Forze armate, il principale centro di potere della Repubblica, e considerate le ridotte risorse statali disponibili -ha lanciato nel 2014 un'imponente campagna mediatica e una sottoscrizione popolare per finanziare la ristrutturazione e l'allargamento della via d'acqua. Il governo cairota ha affidato a quattro banche la vendita pubblica di titoli cartolarizzati a cinque anni, con un tasso d'interesse del 12 per cento, riservati però solo a cittadini egiziani. Una scommessa rischiosa, tutta improntata sui temi della dignità e dell'orgoglio nazionale, che sembra, almeno per il momento, riuscita. Il 6 agosto 2015 il presidente egiziano ha inaugurato solennemente la nuova autostrada del mare. L'opera è colossale. Accanto al percorso storico -immaginato nell'Ottocento dai sansimoniani, progettato da Luigi Negrelli, con il prezioso appoggio di Pietro Paleocapa, e realizzato da Ferdinand de Lesseps -, è stato scavato un nuovo canale parallelo, lungo 35 chilometri, e allargato e approfondito di 37 chilometri di quello già esistente. Il raddoppio "parziale" permette di duplicare il traffico (da 49 a 97 navi al giorno), ridurre drasticamente i tempi d'attesa (da 11 ore a solo 3) e consente il passaggio dei giganteschi bastimenti Ro-Ro di nuova generazione e delle superpetroliere. Costo immediato 4 miliardi di dollari, a cui si aggiungeranno altri 4,5 miliardi per la realizzazione di sei tunnel (tre a Ismailia e tre a Port Said), l'apertura di una zona industriale free tax, un cantiere navale e cinque porti. Secondo le previsioni del governo cairota, una volta completato l'intero progetto, le entrate passeranno dagli attuali cinque miliardi di dollari (dati del 2014) a 13,5 miliardi e produrrà un milione di posti di lavoro in dieci anni: una boccata d'ossigeno importante per la traballante economia egiziana non ancora ripresasi dagli spasmi della cosiddetta "primavera araba" e dalle conseguenti turbolenze. Per Al Sissi -attualmente alle prese con una dura crisi economica interna, il crollo dell'industria turistica, il caos libico e il terrorismo nel Sinai -un'occasione unica per stabilizzare il potere e restituire all'Egitto un ruolo centrale nel sempre più intricato quadro regionale. Lo sforzo davvero imponente della tribolata repubblica nordafricana anticipa il futuro ma, al tempo stesso, ci riporta al passato, alla lunga e intricata storia di questo sottile filo liquido che divide e separa l'Africa dall'Asia, una storia che s'innerva lungo i secoli e, sin dall'antichità ai tempi odierni, si riflette puntualmente sulle vicende italiche. Port Suez e Port Said ci ricordano una volta di più la centralità del Mediterraneo -il "continente liquido", riprendendo la bella definizione forgiata da Ferdinand Braudel -e

Research paper thumbnail of Tra economia e politica: il grande disegno di Klemens von Metternich

Klemens von Metternich, un modernista conservatore. Da riscoprire e studiare. Articolo pubblicato... more Klemens von Metternich, un modernista conservatore. Da riscoprire e studiare.
Articolo pubblicato il 6 dicembre 2015 su Il Corriere della Sera

Research paper thumbnail of Il Lloyd Triestino in mostra a Trieste. Italia patria senza mare

La mostra a Trieste dedicata al Lloyd Triestino, la più antica compagnia di navigazione italiana.... more La mostra a Trieste dedicata al Lloyd Triestino, la più antica compagnia di navigazione italiana. E alcune riflessioni sull'Italia, patria senza mare

Research paper thumbnail of Jugoslavia. Il regime titoista e il suo  fallimento

E ssere bimbo a Trieste tra i Sessanta e i Settanta e crescere a ridosso del confine, di «quel» c... more E ssere bimbo a Trieste tra i Sessanta e i Settanta e crescere a ridosso del confine, di «quel» confine, per molti è stata un'esperienza singolare e, a suo modo, formativa. Sul golfo, nonostante il ritorno nel 1954 dell'Italia, il dopoguerra sembrava non finire mai. Tutto rimaneva precario, temporaneo, transitorio. Roma si era presto rilevata matrigna e i notabili democristiani avevano ripiegato la città -un tempo ricca, industriosa e brillante -nell'assistenzialismo, creando un benessere provvisorio senza prospettive, senza ottimismo; intanto, a pochi chilometri dalle nostre case, dalla scuola, dall'oratorio -scorreva la frontiera con la Iugoslavia titoista. Un altro mondo. Dall'«altra parte» c'era il Co-munismo reale, ai nostri occhi un pianeta cupo, popolato da gente triste, malvestita, povera che ciondolava tra negozi semi vuoti e monumenti con la stella rossa; un panorama triste sorvegliato da poliziotti sgarbati e tanti soldatini infagottati in logore uniformi. Dall'«altra parte» vedevamo solo strade scassate, brutte case illuminate da fioche lampade al neon e intristite da pavimenti in linoleum color nocciola, sguardi obliqui che per un istante s'intrecciavano con i nostri. Non era di certo il «paradiso» che radio Capodistria -l'emittente «iugo» in lingua italiana -continuava a magnificare per la gioia degli stolti nostrani. I triestini, d'ogni età, ceto e fazione, scopertisi bruscamente italiani periferici, cittadini di una città in STORIA IN RETE | 00 Gennaio 2016 Copertina Sguardi oltrecortina

Research paper thumbnail of L'Italia è Giovane. Note sul processo unitario italiano

il primo capitolo de "Il Milanese e l'Unità d'italia" di Marco Valle (Toruing Club editore, 2011)

Research paper thumbnail of La storia d'Italia come "terra di frontiera"

La recensione di Eugenio di Rienzo sul Corriere della Sera del libro Confini e Conflitti di Marco... more La recensione di Eugenio di Rienzo sul Corriere della Sera del libro Confini e Conflitti di Marco Valle

Research paper thumbnail of Afghanistan, il "gioco delle ombre". Un libro per capire

Un commento ad Afghanistan, il grande gioco di Eugenio Di Rienzo

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Novembre-Dicembre 2014 aNticipazioNi retroscena di una «faida interna» PORZÛS I COMUNISTI AMMAZZA... more Novembre-Dicembre 2014 aNticipazioNi retroscena di una «faida interna» PORZÛS I COMUNISTI AMMAZZANO GLI ANTIFASCISTI 21 giugno 1945: i funerali dei partigiani osovani trucidati dai comunisti alla malga di Porzûs 65 | STORIA IN RETE Novembre-Dicembre 2014 i titini liquidarono fucilando o infoibando dissidenti italiani di ogni appartenenza politica: comunisti patriottici che non volevano rinunciare al tricolore, partigiani militari, socialisti e azionisti, perfino ebrei scampati allo sterminio nazista Marco Valle si è occupato di «uomini, imperi e sovranità nazionale» nel suo saggio «Conflitti&Confini» (Eclettica, pp. 320, € 18,00 -www.ecletticaedizioni.com) Per acquistare questo libro vai a pag. 96

Research paper thumbnail of Fronte della Gioventù, una storia a lungo attesa

Un commento al libro di Alessandro Amorese Fronte della Gioventù

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I l conte Paolo Gentiloni di storia poco sa. Non è colpa sua. Probabilmente in gioventù ha speso ... more I l conte Paolo Gentiloni di storia poco sa. Non è colpa sua. Probabilmente in gioventù ha speso troppo del suo tempo a bighellonare tra il Movimento Lavoratori per il Socialismo e il Partito di Unità Proletaria (nei Settanta due ritrovi della jeunesse dorèe, interdetti ai poveracci e ignoti agli operai veri…) e, una volta incanutito, ha sperperato ore preziose seguendo Rutelli nei suoi partitini. Capita. Il conte Paolo Gentiloni è però fortunato. Un bel giorno Matteo Renzi, stufo dell'imbarazzante Mogherini, ha pensato a lui (sì, proprio a lui) piazzandolo alla Farnesina. Un incarico prestigioso, ben retribuito e poco faticoso: da anni le politiche internazionali dell'Italia le decidono i nostri vicini e al ministro di turno null'altro rimane che stringere qualche mano, degustare tartine e (talvolta) dichiarare qualche ovvietà sull'attualità e il tempo che farà. Una pacchia. Purtroppo, anche per il conte Gentiloni, il destino talvolta può rivelarsi cinico e baro. Persino crudele. Maleducatamente il Medio Oriente ha avuto la pessima idea d'incendiarsi, strappando così l'occhialuto aristo-STORIA IN RETE | 34 Aprile 2015 PUNTUALIZZAZIONI Ministri poco attenti alla storia LE CROCIATE, QUES LE CROCIATE, QUE LE CROCIATE, QUE Le esternazioni del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sulle Crociate hanno sollevato un putiferio, mostrando soprattutto quanti danni possa fare la scarsa conoscenza della storia da parte dei politici. Che non possono permettersi di liquidare un fenomeno epocale di enorme complessità con poche frasi di circostanza che rivelano una non sorprendente sudditanza verso lo «storicamente corretto» che classifi ca i crociati tra i predoni, gli assassini, gli imperialisti. Ma la Storia ci racconta anche di uomini coraggiosi, tenaci, pieni di fede, sfortunati e traditi. Ieri come oggi da chi era rimasto in Europa