Bernari Tra Paura e Natura (original) (raw)
Paura e Natura. Una lettura burkiana della sequenza d'apertura di Shining
Articolo rifiutato dalla rivista Fata Morgana, 2018
Edmund Burke (1757) propone una distinzione tra Bello e Sublime: l'esperienza del Bello nasce dal piacere e dalla sua attesa. Al contrario, l'esperienza del Sublime nasce dalla paura dell'annientamento. Il Sublime si sperimenta di fronte a fenomeni che suscitano in noi un senso di stupore e smarrimento, un misto di ammirazione e paura, dinnanzi all'immensità o alla potenza di fenomeni o entità che potrebbe facilmente annientarci. La Natura, in particolare, è dove il Sublime si esperisce con particolare evidenza. Da questo punto di vista, The Shining è un film più di paura che di orrore, applicando la definizione di Nöel Carroll (The Philosophy of Horror, 1990): più che i fantasmi, sono l'isolamento dal consorzio umano e il confronto con la Natura circostante a trascinare Jack Torrance nell'abisso della follia. La finitezza umana di Jack è assediata dall'immensità della Natura. La sua mente soccombe dinnanzi al Sublime. Questa lettura è sostenuta già nei titoli di testa, sequenza su cui si concentrerà l'articolo. La musica di Wendy Carlos – con il suo cupo Dies Irae – ci indica come la maestosità della Natura che vediamo in quelle immagini debba essere interpretata in termini di Sublime, non di Bello. Se infatti, in un “commutation trick” (Philip Tagg, “Music, Moving Image, Semiotics and the Democratic Right to Know”, 1999), la stessa sequenza venisse accoppiata al più rassicurante e “bello” “Main Theme” da Jurassic Park, la Natura in quelle stesse immagini perderebbe quei connotati minacciosi. Ma il Sublime è presentato anche visivamente: le tortuose curve cinte da montagne che l'automobile della famiglia Torrance percorre sulla strada per l'Overlook Hotel ci parlano della finitezza umana al cospetto della Natura e del rischio concreto di perdervisi, anticipando così anche il motivo del labirinto, luogo dello smarrimento fisico, che sarà in tutto il film metafora dello smarrimento mentale.
La natura innamorata nell’Esamerone di Ambrogio
2014
Nel titolo del volume è richiamato il legame fra la natura e l’amore, essenziale nell’Esamerone di Ambrogio: ’natura innamorata’ significa ’nascere nell’amore’; il mondo è stato creato nell’amore, e in conseguenza di questo ogni creatura nasce e viene al mondo nell’amore. L’intensa partecipazione emotiva con la quale Ambrogio legge il libro della Scrittura e contempla il libro della natura gli consente di percepire il sentimento di compassione che unisce gli elementi del mondo, e di riconoscere in esso la carità infusa come legge di natura dal Creatore. Da questa intensa sensibilità discende l’originalità della riflessione ambrosiana. Nell’Esamerone di Ambrogio è delineato un triplice percorso: un itinerario esegetico attraverso il racconto biblico dei sei giorni della creazione; un viaggio esplorativo attraverso la natura; un percorso nell’affettività, dall’istinto alla morale, all’amore di appartenenza, fino all’assimilazione. Ambrogio attribuisce un’importanza fondamentale all’affettività, osservata nei momenti più importanti della vita degli animali: l’unione tra il maschio e la femmina, la protezione e il nutrimento dei piccoli, la cura dei genitori divenuti vecchi. Tutto ciò che attiene alla trasmissione e alla cura della vita è in ultima analisi ricondotto alle diverse forme dell’amore (a. tra i coniugi, a. dei genitori verso i figli, a. dei figli verso i genitori). In effetti, nell’Esamerone di Ambrogio è delineato un percorso negli affetti. Nella settima omelia, riguardante gli animali acquatici, è descritta un’affettività semplice e istintiva, che si manifesta solo in circostanze occasionali e persegue un’unione temporanea: la murena marina, invitata dalla vipera, esce dal mare sulla terraferma per unirsi ad essa; dopo aver compiuto il connubio, però, torna nuovamente nel suo elemento. Nell’ottava omelia, dedicata ai volatili, è rappresentata l’affettività della vita sociale, che nelle forme più perfette comporta una completa comunione di vita: emblematico è l’esempio delle api, nelle quali è comune a tutte il lavoro, il cibo, l’attività, l’uso e il provento, il volo, la procreazione, l’integrità del corpo verginale e il parto. Nella nona omelia, che concerne gli animali terrestri, è delineata l’affettività che si compiace della somiglianza: la pecora, tra le molte migliaia d’agnellini, conosce solo il proprio figlio; ancora più significativo è l’esempio dell’orsa, che partorisce piccoli ancora informi, ma poi li modella con la lingua e dà loro un aspetto a sua immagine e somiglianza. Questi tre livelli – l’unione, la comunione, la somiglianza – sono i momenti fondamentali di un percorso che conduce infine all’esito ultimo: l’assimilazione dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. L’affettività dell’uomo si distingue da quella delle bestie, governate dall’istinto di natura, e si colloca in uno spazio proprio rappresentato dalla conoscenza di sé. Cognosce ergo te, decora anima, quia imago es dei. Cognosce te, homo, quia gloria es dei (hex. 6, 8, 50). Nel contesto esameronale, il cognosce te non è la ’conoscenza della ragione’ che evidenzia il divario esistente fra l’uomo mortale e il dio immortale (iscrizione sul frontone del tempio di Apollo), ma la ’conoscenza del desiderio’ che unisce in un rapporto sponsale l’anima a Cristo (Cantico dei Cantici, secondo l’interpretazione psicologica). Questa conoscenza ’affettiva’, che è desiderio della bellezza incorruttibile, individua la tensione tra la imago dei (Gn 1, 26: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram) e la gloria dei (2 Cor 3, 18: Nos itaque omnes reuelata facie gloriam dei speculantes ad eandem imaginem reformamur a gloria in gloriam sicut a domini spiritu). Il passaggio dalla imago dei alla gloria dei è opera dell’amore di Dio. La creatio e la reformatio sono unite dall’immagine del riposo di Dio: […] lego quod fecerit hominem et tunc requieuerit habens cui peccata dimitteret. Aut forte tunc iam futurae dominicae passionis praecessit mysterium, quo reuelatum est quia requiesceret Christus in homine, qui requiem sibi praedestinabat in corpore pro hominis redemptione secundum quod ipse dixit: Ego dormiui et quieui et surrexi, quoniam dominus suscepit me (hex. 6, 10, 76). La dignità dell’uomo è dunque esaltata dal fatto che ha manifestato il grado più alto dell’amore di Dio, che consiste nel perdono. Il legame affettivo fra Dio e l’uomo è espresso in modo estremamente suggestivo ed efficace dall’immagine del capo di Cristo reclino sul petto dell’uomo: Et ille [scil. filius hominis] quidem talem hominem fecit, in quo caput suum reclinaret: sed posteaquam in pectore nostro non requies proximi coepit esse, sed fouea, posteaquam alter alteri nectere coepit insidias, quem iuuare deberet, caput suum Christus auertit a nobis, sed postea tamen maluit illud morti offerre pro nobis. Noli igitur esse fraudulentus, crudelis, inmitis, ut in te Christus caput reclinet (hex. 6, 8, 48). Il testo esameronale esprime l’essenza dell’amore, che è per se stesso una forza unitiva. Dio, che è amore, ha creato l’uomo tale da potersi unire intimamente a lui; l’unione è rappresentata dall’immagine del capo reclino sul petto, che esprime la presenza divina nell’animo umano. Il peccato, che è disunione, ha manifestato in tutta la sua intensità la forza unitiva dell’amore, per il quale Cristo ha predestinato a se stesso il riposo in un corpo umano per la redenzione dell’uomo. L’amore, dunque, non rinuncia mai all’unione e, di fronte alla disunione, manifesta la sua essenza oblativa nel dono di tutto se stesso. Nel perdono di Dio per l’uomo si trova pertanto la forma più alta della carità che stringe in unità l’intero universo.