Macchia F. Rahola (original) (raw)

Se non fosse gravata da un'ombra di negatività, una vena accusatoria e una presunzione di colpevolezza, potrebbe essere considerata alla stregua di una traccia o un'impronta. E sarebbe già molto (come qualsiasi indovino o predatore sa, una traccia non è mai "semplice", non esiste un'impronta immediata). È verosimilmente un segno, un indizio, ma è soprattutto sintomo di impurità, per giunta esso stesso impuro, sporco, malsano; come se il suo carattere evidente ma non esplicito, quindi da decifrare (macchia di cosa? su cosa? di chi? perché?), si caricasse di un'aggravante, un sospetto di degenerazione. La macchia può essere un punto, arbitrariamente nero, un piccolo neo che incrina la regolarità di un paesaggio compromettendone la visione, la presunta solarità. In quanto tale è spesso un'incursione o un'irruzione, il dettaglio che sconvolge una figura d'insieme innescando la reazione idiosincratica di chi aspira alla simmetria e alla purezza. Su una macchia ci si può fissare, e in tal caso diventa ossessione, possibile punto di sutura di feticismo e unheimlichkeit. L'attrazione che esercita, risucchiando lo sguardo, può annientare l'oggetto della rappresentazione restituendo un quadro senza soggetto, decostruendone la cornice e rivelandolo esso stesso come macchia. Così, secondo Lacan, macchia finirebbe per assumere la funzione di una specifica funzione, una "funzione macchia", rendendo possibile l'incontro, sempre traumatico, con il reale 1. Anche per questo si tende a cancellarla, letteralmente rimuoverla o più radicalmente a scotomizzare, per quanto il termine infastidisse Freud: "La parola 'scotomizzazione' è particolarmente inappropriata perché evoca l'idea che la percezione sia stata completamente cancellata e il risultato sia assolutamente analogo a quello che si determina allorché un'impressione visiva va a cadere su una macchia retinica" 2. Questo, forse, perché una macchia rimane, lascia residui, contamina, a volte riaffiora. Catturati tra macchie retiniche o scotomiche si rimane comunque all'interno di un campo oculocentrico, o più banalmente oculistico. E non potrebbe essere altrimenti. Ma se invece la ragione della diffidenza o avversione di Freud nei confronti della volatilità dell'"impressione visiva" risiedesse nel fatto che una macchia resta pur sempre qualcosa di oggettivo e materiale? Macula è quella parte di un corpo, essa stessa un corpo, dotata di specifica estensione, sempre circoscritta, di una propria consistenza, un colore e soprattutto una forma apparentemente arbitraria, sulla quale convergerà l'interesse di un esercito di esegeti ed esercizi di attribuzione, tra agnizioni, anamorfosi, pareidolie, fino ai test di Rorschach. Presupposto comune è che se ne noti la deformazione, la forma sui generis, e che colpisca, ferisca lo sguardo ghermendolo, pungendolo, pungolandolo. In un certo senso il punctum è sempre una macchia, e viceversa. Ma, a differenza della sequenza suggerita da Roland Barthes, che designa un movimento contrario allo studium (quel "nonso-che" che dopo la mia applicazione di fronte a un'immagine, dall'immagine mi colpisce) 3 , sembra indicare una trama supplementare e forse opposta, innescando ulteriori reazioni, congetture e