Stato dell'arte sulla comunicazione animale in Italia con particolare attenzione alla comunicazione interspecifica uomo-cane State of the art on animal communication in Italy with a focus on human-dog interspecific communication (original) (raw)
La comunicazione verbale tra uomo e animale
La traduzione, ogni traduzione, nasce quando la comunicazione è possibile ma non è immediata. Nei contesti in cui la comunicazione non è possibile, neppure la traduzione è possibile, mentre se ci fosse perfetta comunicazione, la traduzione non sarebbe necessaria. Di qui il paradosso dell’impossibilità di una traduzione perfetta, dovuto al semplice fatto che se fosse perfetta non sarebbe traduzione. Questo vale per ogni genere di traduzione. In questo testo mi concentrerò sulla comunicazione verbale tra uomo e animale o, per utilizzare un’espressione tecnica, della comunicazione verbale interspecifica. Farò riferimento a ricerche portate avanti dagli scienziati che lavorano nell’ambito delle scienze cognitive, in particolare della cognizione animale e della zoosemiotica, e successivamente presenterò alcune riflessioni filosofiche.
Un dialogo socratico sulla questione animale
Come ebbe modo di dire Jacques Derrida, nel 2001, durante la consegna del premio Adorno: «La questione animale è la questione filosofica del XXI secolo». Della veridicità di questa previsione ce ne accorgiamo soprattutto negli ultimi anni, poiché il dibattito pubblico e accademico circa il nostro rapporto con gli altri animali rappresenta, sempre di più, un tema su cui vertono e si scontrano numerosissimi discorsi. È all’interno di questo clima di grande interesse per la questione animale che prende vita quella che è la mia personalissima riflessione filosofica in proposito. Poiché essi risultano essere, spesso e volentieri, conflittuali e contraddittori, ciò che mi premeva mettere a fuoco era: cosa legittima i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri animali? E soprattutto: ci sono buone ragioni per perpetuare tali atteggiamenti? Ho cominciato per questo motivo a studiare i presupposti teorici dell’etica dominante, antropocentrica e specista, che riduce l’animalità ad alterità assoluta al fine di giustificare il predominio dell’uomo sugli altri animali, con lo scopo di verificare se essi potessero effettivamente considerarsi validi. Per farlo, ho dovuto ricostruire la genesi dei modelli culturali, di matrice antropologica, filosofica, teologica e scientifica, che delineano le modalità con cui l’uomo si rapporta con gli altri animali. Attraverso lo svelamento delle origine storiche di questi modelli culturali, e mediante l’uso della decostruzione e della confutazione di tipo socratico, ho mostrato le contraddizioni interne a tale sistema di dominio, che si è affermato quindi non per la sua validità argomentativa, ma perché legittima delle pratiche a cui l’umanità non vuole rinunciare. Ho quindi proceduto in questo modo: nel primo capitolo ho ricostruito i punti salienti della cosmologia naturalista che sta alla base della società occidentale contemporanea e che esclude i non umani dalla vita civica a causa della loro mancanza dello statuto di soggetto. Una cosmologia che si definisce a partire dalla grande opposizione fra natura e cultura nella quale si iscrivono una serie di altre opposizioni: selvaggio/domestico, interiorità/esteriorità, mente/corpo, innato/appreso e, ovviamente, uomo/animale. Grazie a tale opposizione dicotomica l’umanità ha saputo inventare un attributo distintivo dell’Homo sapiens dove intervengono l’abilità tecnica, il linguaggio, l’attività simbolica e la capacità di organizzarsi in collettività in parte liberate dalle continuità biologiche. In poche parole, secondo quello che è il paradigma ontologico della cosmologia naturalista, ogni essere umano possiede dei vincoli universali biologici e, allo stesso tempo, riesce a darsi delle regole contingenti relative alla sua organizzazione sociale, definendosi come un compromesso fra un monismo naturalista e un relativismo culturalista. L’animale, invece, con cui l’umanità possiede, appunto, una continuità di tipo biologico, sarebbe determinato da una totale discontinuità interiore con gli esseri umani, e risulterebbe quindi sottomesso alle sue determinazioni biologiche e schiavo della propria fisicità fondamentale. L’umanità vanterebbe in questo modo un privilegio ontologico che la distingue nettamente sul piano dell’interiorità da tutto ciò che è estraneo ai meccanismi messi in auge da quest’ultima. Il problema, sotto questo punto di vista, è l’elevazione a pure essenze di due domini, quello di natura e quello di cultura, che non solo sono stati letteralmente inventati dall’Occidente, ma che non sono nemmeno presenti in tutte le popolazioni del pianeta. Questo sancirà anche la nascita della fallacia costitutiva del naturalismo: la fallacia naturalistica. Nel secondo capitolo, ho passato in rassegna tutti i discorsi filosofici e teologici che, dall’aristotelismo fino al meccanicismo, passando per lo stoicismo e il creazionismo, hanno cercato di sancire la superiorità dell’uomo sugli altri animali in virtù di un qualche dispositivo interiore esclusivo che autorizzerebbe il dominio degli uni sugli altri e la subordinazione dei secondi sui primi. È in questo capitolo che abbiamo approfondito le questioni legate all’antropocentrismo e allo specismo. Quest’ultimo, che io intendo come un’ideologia giustificazionista sviluppatasi per rendere leciti lo sfruttamento e l’uccisione degli altri animali, sarebbe quindi l’insieme delle riflessioni volte a ricercare, a posteriori, delle buone ragioni per legittimare il dominio dell’uomo sugli altri animali. Non dobbiamo, come hanno fatto alcuni filosofi contemporanei, classificare lo specismo come un semplice pregiudizio, poiché esso è semmai un insieme di riflessioni descrittive nei confronti di una realtà che aveva già assunto una conformazione antropocentrica e specista. Nel terzo capitolo ho esposto le ragioni che mi hanno portato a scegliere, per il quarto capitolo, una particolare modalità filosofica per esporre una proposta etica in aperta antitesi con quelle descritte nei primi due capitoli: il dialogo socratico. Ho mostrato quali sono le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e perché, davvero, essa possa considerarsi la pratica filosofica per eccellenza. Nel quarto e ultimo capitolo ho tradotto nella pratica le indicazioni teoriche esplicitate nel terzo, proponendo un esperimento di dialogo socratico che, servendosi di un redivivo Socrate nel ruolo dell’interrogante e di un uomo antropocentrico e specista come interrogato, ha fatto proprie le tesi di Peter Singer in Liberazione Animale. Il filosofo australiano, mostrando come il termine animale sia una terribile trappola concettuale che ipersemplifica la realtà non rendendone al meglio la complessità, e che l’argomento classico secondo cui gli animali verrebbero esclusi dalla sfera della considerazione morale a causa della loro mancanza di certe proprietà umane (come l’attività mentale complessa) possa rivelarsi un terribile boomerang (poiché, ad esempio, un menomato mentale grave avrà un’attività mentale inferiore a un cane o a un maiale), prova a risolvere le contraddizioni dell’etica specista che, nonostante questa evidenza, continua a preferire un umano a un animale a causa della mera appartenga alla specie Homo sapiens. È per questo motivo che Singer fa del dolore il proprio della morale, perché la capacità di provare dolore e piacere sarebbe, per lui, la prerogativa per avere interessi in assoluto, ragione per la quale nel valutare un’azione come giusta si deve dare uguale considerazione a tutti gli individui coinvolti capaci di provare dolore (e di conseguenza anche agli animali), poiché tutti questi individui posseggono interessi in eguale misura.
LE TRAIETTORIE DI MONS CACUCCI TRA COMUNICAZIONE, TEOLOGIA E PASTORALE
Verso una teologia sinodale, 2022
La riflessione teologica e l'azione pastorale di mons. Francesco Cacucci sono condotte dalla dinamica della comunicazione sui binari del Concilio Vaticano II e della semiotica del così detto “Metodo Taddei”. In questo senso, la speculazione teologica viene riportata a una dimensione visiva per poter essere comunicata in maniera diffusamente comprensibile nella società dell'immagine; vengono scorti i semi della spiritualità e della sacralità nella cinematografia, perché siano comunicati a una Chiesa talvolta “spaventata” dall'influenza di questo potente strumento comunicativo; la liturgia, riletta sub specie communicationis, ritrova nella mistagogia la sua importante dimensione pedagogica; il Progetto culturale della Chiesa italiana, proiettata nel nuovo millennio, diviene l'occasione per elaborare forme e linguaggi nuovi di evangelizzazione. L'elaborato evidenzia la dinamis comunicativa che ha animato questi quattro ambiti della riflessione e dell'attività di mons. Cacucci, le traiettorie seguite e gli obiettivi raggiunti.
2000
Sono raccontate le storie di animali parlanti e/o intelligenti quali le scimmie Gua (Winthrop e Luella Kellogg), Viki (Catherine e Keith Hayes), Washoe (Roger Fouts); i cavalli Kluge Hans (Wilhelm von Osten, Oskar Pfungst), Zarif e Muhamed (Karl Krall) e Lady Wonder; i cani Don (famiglia Ebers) e Roger, il pappagallo Alex (Irene M. Pepperberg).
Modernità e ambivalenza. Pro e contro di un approccio emotivo alla questione animale.pdf
Il testo affronta un argomento fondamentale per i cosiddetti Human- Animal Studies: la dimensione emotiva del rapporto interspecifico. Partendo dalle sollecitazioni di un volume collettaneo in cui trovano spazio i principali esponenti italiani del settore, e facendo riferimento ad alcuni recenti fatti di cronaca, si intende ragionare sul permanente carattere di ambiguità e ambiva- lenza che tuttora caratterizza il rapporto fra la modernità occidentale (segnata da un forte individualismo e un altrettanto marcato antropocentrismo) e le al- tre specie viventi: l’argomento interessa diverse discipline, tuttavia faremo riferimento agli spunti di alcuni giuristi concentrandoci sul tema del diritto e dei diritti. Sarà ribadita nelle conclusioni l’importanza di un approccio emo- tivo alla “questione animale”, senza però dimenticare i possibili “contro” che l’esclusività di tale approccio possono comportare, sottolineando dunque come ad esso vada affiancato un rigoroso impegno scientifico/razionale.