2005 - M. PAOLETTI, “Medaglie, monete e vasi di gran pregio”: la collezione Capialbi di Vibo Valentia (original) (raw)
Quando Vito Capialbi (1790-1853) crea a Vibo Valentia, in Calabria, la sua collezione antiquaria che riunisce ceramiche, iscrizioni e soprattutto un ricchissimo medagliere, a testimoniare il passato glorioso di Hipponion e dell'intera Magna Grecia, sembra guardare specialmente a Napoli, principale sede e baricentro della cultura erudita e accademica in Italia meridionale. Ai primi decenni dell 'Ottocento, era naturale che l'interesse e il "gusto" per le antichità trovassero il loro sostegno nelle accademie e alimento in un'attività di scavo pressoché incontrollata. Tuttavia le molte raccolte locali, segno di un collezionismo minore e diffuso, erano destinate a una rapida dispersione o, nel migliore dei casi, a confluire nel Reale Museo Borbonico. Era l'effettonon il solo, non il principaledel profondo divario sociale che all'epoca separava Napoli, e gli intellettuali dell'ambiente di corte, dalle province del regno dove eruditi, ecclesiastici e nobili si sforzavano di indagare la classicità greca e romana sugli oggetti oltre che sui testi. Perciò la collezione è interessante innanzitutto per la sua sostanziale integrità, fatta eccezione per alcune perdite recenti. Rimasta quale in origine l'aveva concepita Capialbi, essa è in grado di chiarire la formazione, il gusto e le attese culturali del suo promotore, che fu certamente un antiquario e un numismatico, ma prima ancora un bibliofilo attentissimo e un poligrafo di stampo settecentesco: tutti questi aspetti, nel loro insieme non contraddittori, emergono dalle sue opere, poche delle quali ebbero un carattere esclusivamente archeologico. In definitiva si tratta di quelle che, per le notizie in esse contenute, meritano ancora la nostra attenzione: il Cenno sulle mura d 'Ipponio recante in appendice Il Giornale degli scavi di Montelione nelle "Memorie dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica" (1832); alcuni brevissimi scritti antiquari apparsi in periodici siciliani o calabresi, e poi compresi negli Opuscoli varii, t. I (1840); la preziosa silloge epigrafica dal titolo Inscriptionum Vibonensium specimen (1 845); Di un 'ara dedicata alla Giunone Lacinia (1846); per finire con l'epistola Mesma , e Medama furon due , o una città dell'antica Italia? Si aggiungono i Nuovi motivi comprovanti la dualità delle medesime (1 848, in quarta edizione, sempre a spese dell'autore). Sono operette d'argomento magnogreco confinato però all'ambito locale o al massimo regionale, che furono scritte di pari passo con l'ampliarsi della raccolta archeologicaappellata da Capialbi con apparente noncuranza la "mia collezioncina", il "mio cimelio", il "mio museolo domestico" -. Ma in pari tempo egli definiva e stringeva epistolarmente, senza quasi mai allontanarsi da Vibo Valentia, i contatti personali: dalle lettere selezionate e raccolte negli Opuscoli varii, t. III (1849) viene allo scoperto la sua preoccupazione d'evitare l'isolamento culturale e la conseguente necessità d'intessere un'ampia e fittissima rete di relazioni non solo con i tanti esperti antiquari da lui non dissimili, ma soprattutto con i più grandi studiosi del suo tempo, da Bartolomeo Borghesi a Theodor Mommsen. Non può dunque meravigliare che Vito Capialbi ambisse precocem ente a stringere legami con l'ambiente accademico napoletano. Le attestazioni di stima fanno da cornice alla prima citazione della raccolta inserita nel resoconto di un viaggiatore scozzese, Craufurd Tait Ramage,