Coincidenze, incidenze e persistenze tra Mura e acquedotti (original) (raw)
Selve acquatiche, inferni infrastrutturali e mappe casuali
Genova. Guida alla Selva, 2024
Questo testo delinea in sé una mappa, quella di una Genova liquida, che si muove e che è dinamica, che affiora in superficie e che si sfuma nel buio del suo sottosuolo. Una mappa che la unisce alla Campania greco-romana, alla Madrid delle pinacoteche, alle Fiandre medievali e a quelle contemporanee, all’Averno. Senza per forza una soluzione di continuità.
Due casi studio di continuità e discontinuità nelle opere idrauliche vicino orientali
Nel segno del tempo. L'archeologia attraverso alterazioni, resistenze e fratture, 2025
The aim of this article is to outline a difficult balance between water and power in the Near Eastern environment, stemming from the irregular relationship that linked central power and local authorities concerning water infrastructure. In the whole history of the concerned area, same problems have been faced with different solutions, requiring multilinear approaches to highlight continuity and discontinuity elements for well known cases, still in need of rethinking or reevaluation. Two case studies of water infrastructure between two ancient empires are presented: the case of Jerwan, known as the first real aqueduct of ancient Assyria, encased into Sennacherib's wider intervention on the landscape, and the aqueduct of Gadara, example of Roman water engineering, placed between the usual centralized interventions and local projects, as this was the case for the second draft of the aqueduct, the Qanat al-Fir'aun, serving the cities of Gadara, Adraha and Abila. A confrontation can be made, following transformative developments concerning the relationship between landscape and man, taking into account how similar problems required similar solutions.
Intersezioni, flussi, moltitudini
Intersezioni, flussi, moltitudini il processo eteronimico in Fernando Pessoa attraverso l'a-filosofia di Maurice Merleau-Ponty e Gilles Deleuze, 2022
certe cose in versi irregolari (non nello stile di A. De Campos, ma in uno stile di media regolarità) e abbandonai il caso. Mi si era abbozzato però, in una penombra appena accennata, un vago ritratto della persona che stava scrivendo quelle cose. (Era nato, senza che lo sapessi, Ricardo Reis). Un anno e mezzo o due dopo, mi sovvenne di fare uno scherzo a Sá-Carneiro: inventare un poeta bucolico, di specie complicata, e presentarglielo, più non ricordo come, sotto forma di realtà. Impiegai alcuni giorni a elaborare il poeta, ma a nulla giunsi. Un giorno in cui avevo ormai desistitoera l'8 Marzo del 1914mi avvicinai a un alto comò, e, prendendo un foglio, iniziai a scrivere, in piedi, come scrivo ogni volta che posso. E scrissi trenta e più poesie di seguito, in una sorta di estasi, la cui natura non riuscirei a definire. Fu il giorno trionfale della mia vita, e mai potrò averne un altro così. Iniziai con un titolo, O guardador de Rebanhos (Il guardiano di greggi). E ciò che ne seguì fu l'apparizione di qualcuno in me a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Mi scusi l'assurdo della frase: era apparso in me il mio maestro. Fu questa la sensazione immediata che ebbi. E fu così che, scritte, quelle trenta e più poesie, immediatamente presi un altro foglio e scrissi, ancora di seguito, le sei poesie che costituiscono la Chuva Oblíqua di Fernando Pessoa. Immediatamente e totalmente… Fu il ritorno di Fernando Pessoa Alberto Caeiro a Fernando Pessoa lui-solo. O meglio, fu la reazione di Fernando Pessoa contro la sua inesistenza come Alberto Caeiro. Apparso Alberto Caeiro, badai subito a scoprirneistintivamente e subcoscientementei discepoli. Estrassi dal suo falso paganesimo il Ricardo Reis latente, ne scoprii il nome e glielo adattai perché allora io già lo vedevo. E, d'un tratto, in derivazione opposta a quella di Ricardo Reis, mi apparve impetuosamente un nuovo individuo. Di getto, alla macchina da scrivere, senza interruzioni né correzioni, nacque la Ode Trionfal di Álvaro de Campos, l'Ode con questo nome e l'uomo con il suo nome. Avevo creato dunque una coterie inesistente. Fissai tutto in gradi di realtà. Calibrai le influenze, conobbi le amicizie, ho sentito, dentro di me, le discussioni e le divergenze di criteri, e in tutto questo mi pare di esser stato io, creatore di tutto, il minore di quanti lì si trovavano. Pare che tutto avvenne indipendentemente da me. E pare che ancora sia così. Se un giorno avrò la possibilità di pubblicare la discussione estetica tra Ricardo Reis e Álvaro de Campos, vedrà come sono differenti e come io non sono nulla in materia. In occasione dell'uscita di «Orpheu», ci fu bisogno, all'ultima ora, di trovare qualcosa per completare il numero di pagine. Suggerii allora a Sá-Carneiro che io avrei composto una poesia «all'antica» di Álvaro de Campos: una poesia quale Álvaro de Campos non avrebbe potuto scrivere se non avesse conosciuto il maestro Caeiro e non avesse subìto la sua influenza. E così composi Opiário, in cui cercai di dare tutte le tendenze latenti di Álvaro de Campos, come poi si sarebbero rivelate, ma senza la benchè minima traccia di contatto tra lui e il maestro Caeiro. Fu, di quelle che ho scritto, la poesia che più lavoro mi ha richiesto per il doppio potere di spersonalizzazione che ho dovuto metterci. Ma, insomma, credo che non sia venuta male, e che riveli l'Álvaro de Campos in nuce… (…) E a mo' di complemento vero e isterico (è la verità): scrivendo certi brani delle Notas em Recordação do Meu Mestre Caeiro di Álvaro de Campos, ho pianto lacrime vere. È solo perché sappia con chi ha a che fare, mio caro Casais Monteiro! Altri appunti su questa materia… Io vedo davanti a me, nello spazio incolore ma reale del sogno, i volti, i gesti di Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos. Ne ho disegnato età e vita. Ricardo Reis nacque nel 1887 (non mi ricordo del giorno e del mese, ma li ho da qualche parte), a Oporto, fa il medico e si trova attualmente in Brasile. Alberto Caeiro nacque nel 1889 e morì nel 1915; nacque a Lisbona, ma visse quasi tutta la vita in campagna. Non ebbe professione e nessuna educazione. Álvaro de Campos nacque a Tavira il 15 ottobre del 1980 (all'una e trenta del pomeriggio, mi dice Ferreira Gomes, e è vero: gli ho fatto l'oroscopo per quell'ora ed è corretto). Questi, come sa, è un ingegnere navale (a Glasgow), ma ora se ne sta a Lisbona in inattività. Caeiro era di statura media e, sebbene realmente fragile (morì tubercolotico), non sembrava così fragile qual era. Ricardo Reis è un poco, ma molto poco, più basso, più robusto, ma asciutto. Álvaro de Campos è alto(1 metro e 75 di altezza, due cm più di me), magro e un poco tendente a curvarsi. Testa rapata tutti: Caeiro biondo senza luce, occhi azzurri; Reis di un vago scuro; Campos tra il bianco e il bruno, tipo vagamente di ebreo portoghese, con i capelli però lisci e normalmente pettinati di lato, monocolo. Caeiro, come detto, non ebbe quasi educazione, solo istruzione primaria; presto gli morirono il padre e la madre e se ne rimase in casa vivendo di piccole rendite. Viveva con una vecchia zia, una prozia. Ricardo Reis, educato in un collegio di gesuiti e, come detto, un medico; vive in Brasile dal 1919 quando spontaneamente espatriò perché monarchico. È un latinista per educazione altrui e un semiellenista per educazione propria. Álvaro de Campos ha ricevuto una comune educazione da liceo; dopo fu mandato in Scozia a studiare ingegneria, prima meccanica poi navale. Durante certe ferie, fece un viaggio in Oriente da cui scaturì Opiário. A insegnargli il latino fu uno zio prete della Beira. Come scrivo in nome di questi tre?... Caeiro per pura e inattesa ispirazione, sensa sapere né calcolare cosa scriverò. Ricardo Reis, dopo una astratta deliberazione, che da subito si concreticca in un'ode. Campos, quando sento un improvviso impulso a scrivere e non so cosa. (Il mio semieteronimo Bernardo Soares, che d'altronde in molte cose somiglia a Álvaro de Campos, appare mentre sono stanco e insonnolito, quando le mie qualità di ragionamento e di inibizione ono un po' affievolite; quella prosa è un vaneggiamento costante. È un semieteronimo perché, pur non essendo la sua personalità la mia, dalla mia non è diversa, ma ne è una semplice mutilazione. Sono io senza il raziocinio e l'affettività. La prosa, eccetto la finezza che il raziocinio conferisce alla mia prosa, è uguale alla sua, e il portoghese perfettamente uguale. Mentre Caeiro scrive male il portoghese, Campos lo scrive ragionevolmente, ma con delle sviste come se dicesse «me proprio» invece di «me stesso», etc. Reis scrive meglio di me, ma con un purismo che trovo eccessivo. La cosa difficile per me è scrivere la prosa di Reisancora ineditao di Campos. La simulazione è più facile, anche perché più spontanea, in versi). 11 Come riportato, è stato necessario farlo, nella lunga finta lettera a Casais Monteiro sulla genesi degli eteronimi Pessoa indica dettagliatamente il processo di sentire-pensare che porta al germogliare di questi moduli-modelli che Pessoa giustamente definisce eteronimi. Il riferimento di Pessoa a Chuva Oblíqua è interessante perché lo stile è di De Campos, mentre la firma è di Fernando Pessoa come risulterà sulla rivista del modernismo portoghese Orpheu 2 e in tutto questo vige assoluta sincerità. 12 Diversi sono stati i tentativi di espatrio da sé nella storia della letteratura precedentemente e coevamente alla nascita di Fernando António Nogueira Pessoa, ma mai così autenticamente si era realizzato un tale allontanamento da sé; si profilava piuttosto una identificazione nel mezzo artistico, una pseudonimia consapevole o una scrittura sotto falso nome e sperimentazione linguistica Si pensi l'Anti-Climacus e il Climacus di Kierkegaard, al Finnegans Wake di James Joyce, a Thomas Chatterton, a Joaquim Cesário Verde che è punto fisso nella formazione letteraria pessoana insieme ad António Pereira Nobre, ad Antero de Quental, per non dire, sempre tra i portoghesi, di Camilo Castelo Branco e finanche, per arrivare in Italia, a Pirandello. Tuttavia, mai si era realizzata una così
Continuità e discontinuità urbana: gli Uffizi e il Corridoio Vasariano
La città è un insieme complesso, nel quale si sovrappongono e si intersecano differenti sistemi edilizi e funzionali, che interagiscono tra loro nel tempo e nello spazio, contribuendo a caratterizzare le trasformazioni degli spazi urbani. La complessità si accentua, per la particolare densità del tessuto, nei centri storici, dove la stratificazione è maggiore e si riscontra una particolare commistione di emergenze monumentali e di un tessuto storico minore, spesso rimaneggiato o parzialmente sostituito da costruzioni più recenti. Un caso esemplare di complessità urbana è costituito dal centro fiorentino e in particolare dal cuore civico della città storica, compreso tra Piazza della Signoria e il fiume, dove un dedalo di piazzette e stradine collega i principali monumenti civili, intersecandosi con gli assi stradali che prolungano il tracciato ortogonale della città romana. Lo studio di questo ambito unitario è partito dal rilevamento puntuale delle architetture, degliambienti e dei dettagli più significativi. L'integrazione delle diverse modalità di studio grafico ha evidenziato le principali caratte-ristiche architettoniche e urbanistiche del comparto. Un fattore particolare è la concentrazione di diverse logge e porticati che contribuiscono in modo abbastanza originale alla continuità della percezione urbana, lasciando sfondati visivi scenografici sulla città e sul paesaggio. Questi porticati allungati hanno Un ruolo urbano di continuità e di riconoscibilità; la loro concezione formale è un caso inconsueto nel panorama fiorentino, ricco di logge ma privo di veri portici di percorso. La presenza di un portico spesso aperto sugli spazi retrostanti, concepito come collegamento visi-vo oltre che fisico, accomuna gli Uffizie il Corridoio, e diventa l'elemento essenziale della continuità della scena urbana, oltre ad essere il fattore geometricamente riconoscibile del riordino modulare di spazi dai contornif rastagliati. Refernces G. CASTALDI, La fabbrica degli Uffìzi e il Corridoio vasariano, Firenze 1976. G.C. CATALDI, La fabbrica degli Ufflzi e il corridoio Vasa-riano, in Vasari Architetto – rilevamenti e note, Firenze 1976. F. CESATI, Le piazze di Firenze, Roma 1995. C. CONFORTI, Giorgio Vasari architetto, Milano 1993. U.DORINI, Come sorse la fabbrica degli Uffizi, Firenze 1933. G. FANELLI, Firenze, Bari 1980.
Le tracce dell’acqua: linee, reti, punti
Visibile_Invisibile. Ritratti di città: città restituite e città interpretate, 2014
Le vie dell’acqua che da Napoli proseguono fino a Miseno hanno, nel tempo, disegnato il territorio, ne hanno mutato linearmente l’aspetto, conformando il paesaggio ed intrecciando reti su di esso, sopra e sotto terra, ora visibili, ora sommerse, ora naturali, ora frutto del lavoro dell’uomo; sono segni di fenomeni di lunga durata, di grandi trasformazioni ambientali e territoriali che hanno connotato la diversa interazione tra uomo e paesaggio: in questa prospettiva appare quanto mai necessaria l’integrazione dei saperi e l’interdisciplinarietà delle azioni. L’analisi e la ricostruzione delle vie dell’acqua che da Napoli arrivano a Miseno, particolare tratto del nostro paesaggio urbano, sono l’oggetto del lavoro di ricerca che si propone di evidenziare e valorizzare la relazione qualitativa con i luoghi che abitiamo, intessuti di storia e di tecnica e legati imprescindibilmente al mare. L’itinerario di indagine segue queste vie, dalla città ai luoghi circostanti, e ne ripercorre le tracce, colmando lacune e formulando ipotesi laddove le tracce sono andate perse; si sofferma sugli elementi architettonici e archeologici definiti puntuali, quali le fontane ed i serbatoi, sugli elementi a rete, gli acquedotti, fino alla costa, ai porti di Baia e Miseno, ai fondali. Parallelamente un’analisi condotta sui manufatti rappresentativi delle emergenze archeologiche dell’area flegrea e sulle tracce che attualmente sono sommerse, sia sottoterra che sotto il mare, assume carattere parametrico e grazie alla produzione di supporti cartografici, tematici e dinamici, si propone di definire una rappresentazione chiara ed accessibile del potenziale archeologico di cui il territorio è dotato, permettendo al contempo, di comprendere e programmare i processi di intervento e di trasformazione della città e del territorio. Linee d’acqua sono rintracciabili nel sottosuolo, ma i segni, le tracce, appaiono come indicatori anche e soprattutto al di sopra della superficie urbana: architettura e scultura definiscono e disegnano punti d’acqua attraverso fontane che punteggiano l’intera area urbana e che costituiscono i nodi delle vie dell’acqua; attraverso i punti d’acqua, poi, si è in grado di ripercorrere il tracciato sotterraneo della via dell’acqua, fino a raggiungere le fonti e i serbatoi, in un percorso meta temporale che collega il centro urbano all’area flegrea, a Baia, Bacoli e Miseno, dove le epoche storiche si intrecciano e si sovrappongono, fino a ricondurci alle origini, alla fondazione della città. L’appropriarsi della città e del territorio, in questi termini, è possibile esplorandola nella dimensione del disegno: si attribuisce cioè all’immagine di quello spazio, attraverso la logica conseguenza dei metodi geometrico-descrittivi, la capacità di rievocare relazioni percettive che si stabiliscono tra osservatore e cosa osservata. La rappresentazione grafica diventa il dialogo tra le parti di questo rapporto che, attraverso il codice simbolico dei segni grafici, costruisce la struttura concreta degli spazi architettonici; il disegno, allora, non sarà più inteso come occasione intellettuale, ma come occasione di conservazione della memoria dei luoghi con forme ipotetiche che sviluppano la capacità di distinguere quelle configurazioni spaziali cancellate dal tempo e trasformate in frammenti. Quel che viene fuori dalle indagini è la rappresentazione di un’area campione del bacino del Mediterraneo, espressiva della cultura del territorio della Magna Grecia, dall’elevato potenziale archeologico e architettonico. Simbolo e tipo delle città mediterranee, quelle direttamente generate dalla civiltà greco-romana, dalla loro particolare forma di razionalità ed i cui valori estetici sono diventati nel tempo ideali condivisi dalla cultura occidentale, i caratteri architettonici costituiscono una permanenza, una costante nel panorama in continua trasformazione che sottopone i caratteri architettonici di ogni città ad un progressivo mutamento.
Oltre le Mura - Storia e Atlante delle Contrade di Monopoli
2025
Il volume rappresenta un'approfondita indagine storico-territoriale sulla città di Monopoli e sulla sua articolata campagna, con particolare attenzione alle contrade, alle masserie, alle ville rurali e agli edifici religiosi dislocati nella vasta area della Selva monopolitana. L'autore, sulla base di un ampio e accurato corpus di fonti archivistiche, bibliografiche e documentarie, ricostruisce con rigore metodologico le principali tappe dello sviluppo urbano e agrario del territorio, dalla genesi della città fino alle trasformazioni più recenti. Uno degli elementi distintivi dell’opera è la sistematica schedatura delle singole contrade, analizzate nel loro sviluppo diacronico attraverso i secoli, con riferimento alla storia fondiaria, alle vicende familiari dei proprietari, alla dinamica dei toponimi e alla morfologia del paesaggio rurale. L'autore adotta un approccio storico-geografico, integrando l’analisi archivistica con una lettura attenta delle permanenze territoriali, secondo una prospettiva microstorica che consente di valorizzare anche i luoghi minori, sovente trascurati dalla storiografia locale, ma centrali per la comprensione dell’identità storica del territorio. Il volume è corredato da un apparato critico completo: ogni capitolo è supportato da un sistema puntuale di note, riferimenti bibliografici e citazioni documentarie, che garantiscono la verificabilità delle fonti e la solidità del quadro interpretativo proposto. L'opera è ulteriormente arricchita da un apparato iconografico di alto valore, composto da fotografie e illustrazioni curate da Gaia Alba, le quali contribuiscono a restituire le atmosfere, i luoghi e i volti di un passato spesso dimenticato, offrendo una rappresentazione visiva coerente e suggestiva del paesaggio storico rurale monopolitano.
LA CHIESA E I LUOGHI DELL'INUTILE NELLA CITTA' CONTEMPORANEA
2020
Il testo fa parte di una ricerca poi pubblicata sulla rivista RELIGIONI E SOCIETA' n. 96/2020. In merito alla dismissione delle chiese e al conseguente utilizzo non liturgico degli spazi di culto, il dibattito europeo che è stato avviato già da diversi anni si è concentrato prioritariamente sugli aspetti storico-conservativi e sulla necessità di non disperdere il ricco patrimonio artistico e architettonico che gli edifici di culto cristiani custodiscono e rappresentano. Pur essendo condivisibile la preoccupazione di tutela, una visione che inviti a considerare le chiese principalmente in termini di beni culturali appare estremamente riduttiva. Negli edifici liturgici, infatti, viene posta in presenza una cognizione generale del mondo e della vita (Norbergh-Schulz 1984) e nelle loro forme si radunano le attese e le speranze di un popolo, superando, attraverso l'arte, la stessa dimensione artistica per collocarsi nella ricerca dei significati più profondi dell'esistenza umana e del Mistero di cui essa è inabitata. Le chiese sono organismi vivi, luoghi modificati nei secoli ed edificati in un determinato momento storico da una comunità che ha inteso imprimere nella materia i fondamenti della propria esistenza centrata nella lode al Dio trinitario e nella convergenza verso una meta condivisa del pellegrinaggio terreno. Per questo motivo tali strutture, anche quando non più di proprietà ecclesiale, né di uso liturgico, mantengono forme di eloquente apertura al Mistero che lì è stato celebrato e rappresentato. Si comprende, quindi, come l'utilizzo di tali spazi fuori da un contesto liturgico non possa essere risolto in termini meramente tecnici ed economici, pur essendo questi parametri fondamentali al loro sussistere. Soprattutto la dismissione delle chiese non può non interpellare la Chiesa-comunità sulle ragioni del proprio essere, sulla proposta spaziale che vuole manifesta nel presente, sul futuro che intende costruire, e sulle forme attraverso cui intende realizzare l'annuncio del Vangelo che gli è stato consegnato. C'è oggi da riscoprire l'imprescindibile dimensione materica necessaria alla trasmissione della fede, in quanto solo l'esperienza sensibile permette di conoscere il mondo, sé stessi e gli altri (Piaget 1973). Intendere la conversione delle chiese ad altri usi un fatto inevitabile vista la riduzione numerica dei sacerdoti e dei fedeli e, pertanto, da subire come ineluttabile e da trattare meramente in termini tecnici, significa non interrogarsi sulle modalità fisiche di presenza della Chiesa-comunità nel contemporaneo e su quanto il momento presente suggerisce e propone. Rendere ragione della speranza cristiana (1Pietro 3,15) richiede, allora, un approfondimento della lettura del fenomeno della dismissione per comprenderne il più possibile le motivazioni e, quindi, le potenzialità. Le cause del massiccio abbandono da parte di molti fedeli delle pratiche religiose che sta portando all'impossibilità di mantenere in uso tutti gli edifici liturgici e devozionali del passato sono
SUI RAPPORTI TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa d'Oriente esistono delle differenze canoniche e dottrinali che sono ricostruibili e ricomponibili.