Mani pulite e Seconda Repubblica (1992-2011): due categorie molto italiane (original) (raw)

«Un vero e proprio film»: Longhi, Briganti e 'La Maniera italiana' (1961)

Il libro d'arte in Italia (1935-1965), a cura di Massimo Ferretti, Pisa, Edizioni della Normale, pp. 207-218, 2021

The essay offers a detailed analysis of Giuliano Briganti's book «La Maniera italiana», which was published in 1961 as the first volume of a series of books entirely illustrated with color photographs, edited by Editori Riuniti in collaboration with the GDR-based Verlag der Kunst (Dresden). Thanks to unpublished files, this study reconstructs the story of a singular episode of art-historical popularisation in which Roberto Longhi was editor-in-chief and the art critic Antonio Del Guercio was responsible for the editorial office.

Governi e gruppi di pressione nell'Italia della Seconda Repubblica

Tesi di Dottorato - Università di Bologna, 2010

Come è noto, il più o meno stretto rapporto che intercorre, nelle democrazie occidentali capitaliste, tra le maggiori organizzazioni d’interesse e i partiti politici è già stato variamente analizzato ed interpretato nella letteratura politologica. Sia che tale rapporto sia analizzato a livello sistemico (Rose 1974a), sia che venga indagato dal punto di vista delle strategie di lobbying specifiche dei differenti gruppi (Ward 2004; Hall e Deardorff 2006), l’aspetto considerato essenziale riguarda se, come e in che misura i partiti diventino e rimangano dei gatekeepers (Easton 1965) rispetto agli interessi sostenuti dai gruppi (Morlino 1991). Ciò che massimamente conta, in questo senso, è se i partiti riescono a far prevalere il circuito elettorale rappresentativo rispetto a quello definito come funzionale, proprio degli interessi. In altre parole, se la direzione dell’influenza tra tali due attori procede dai partiti verso i gruppi, o dai gruppi verso i partiti. In questo senso, tali rapporti così definiti identificherebbero quattro possibili categorie di interrelazione: l’occupazione; la simbiosi; l’egemonizzazione; la neutralità (Morlino 1991). Rimandando altrove per la puntuale classificazione analitica di tali categorie idealtipiche, uno degli obiettivi di questo lavoro sarà proprio quello di ipotizzare l’ascrizione del caso italiano degli ultimi quindici anni all’una o all’altra di queste, sulla base dell’osservazione empirica di come i rapporti tra legittimo decisore politico ed interessi socio-economici sono andati sviluppandosi nel periodo preso a riferimento. Quello dell’interpretazione (e spiegazione) della relazione tra governo e gruppi, tuttavia, non è l’unico quesito al quale si cercherà di dare risposta. Tra gli altri, infatti, si proverà anche a rispondere ad interrogativi di tipo quantitativo, ovvero: quanto i vari governi studiati sono stati in grado di mantenere ferma la propria linea di policy, nel corso dei differenti processi decisionali? Quanto, al contrario, i gruppi sono riusciti ad inserirsi in tale processo, strappando concessioni al legittimo decisore politico? E infine: quale (o quali) tra questi gruppi si è dimostrato più influente, nel suo confrontarsi (o contrapporsi) col governo? Su queste basi, il focus dell’intero lavoro, piuttosto che sull’evolversi dei processi di policy-making, riguarderà il raffronto tra posizioni di partenza e risultati finali, e ricostruirà, di conseguenza, più i rapporti di forza tra gli attori decisionali che il contenuto delle decisioni effettivamente prese. In altri termini, la prospettiva di politics sarà preponderante rispetto alla prospettiva di policy.

Un "tempo liberato"? La relazione tra centri sociali e istituzioni in Italia nella prima metà degli anni Novanta

Fin dagli anni Settanta, la storia dei centri sociali occupati autogestiti italiani è connessa al dibattito sul ruolo sociopolitico del lavoro. Eppure, questa intersezione è spesso relegata a mera questione vertenziale, quando non tralasciata nella storia delle occupazioni anni Novanta. Questo articolo si propone di colmare la lacuna sul ruolo dei CSOA nella costruzione di una controcultura del lavoro e del reddito, fornendo al contempo uno sguardo inedito sulla trasformazione della percezione della precarietà nell’Italia anni Novanta. L’obiettivo è far emergere il nuovo ruolo sociopolitico che l’attivismo radicale comincia a ricoprire in questo decennio come effetto delle trasformazioni culturali e amministrative che attraversano il paese.