Democrazia: rappresentativa o dispersiva?. (original) (raw)
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Populismo e democrazia rappresentativa
Democrazia e diritto, 2011
Si direbbe che la ricerca del 'vero concetto' di populismo non abbia fatto passi avanti da quando, nel 1963, Isaiah Berlin la paragonò al tentativo di molte damigelle di calzare la scarpa di Cenerentola 1 . Chi tratta di populismo si preoccupa ancora oggi di mettere le mani avanti, denunciando la polivalenza del concetto 2 . Eppure esso viene usato in modo crescente, e non soltanto in Italia, da chiunque cerchi di dar conto di alcuni dei maggiori problemi che affliggono le democrazie contemporanee. Qui mi limiterò a una definizione consapevolmente approssimativa, per entrare subito nel merito. Designerò semplicemente per populismo l'ideologia comune a quei leaders, movimenti o partiti che contestano la classe politica al potere nei paesi democratici per aver perso ogni legame con la 'reale volontà del popolo', promettendo di darle voce attraverso la loro azione. Non posso fare a meno di notare subito, però, che le più recenti opinioni sulla natura della sfida che il populismo porterebbe alla democrazia variano a seconda della presunta prossimità dell'uno all'altra. Per alcuni le radici del populismo dovrebbero ricercarsi nelle tensioni fra i due volti della politica democratica moderna, quello "della redenzione" e quello "pragmatico" 3 . Per altri il populismo dovrebbe essere collocato alla "periferia interna della politica democratica", ossia in una "regione in cui la distinzione fra esterno e interno è oggetto di disputa" 4 . La distanza si accentua definitivamente quando il populismo, visto sotto la lente schmittiana della "sostanziale omogeneità dell'identità e della volontà del popolo", va considerato "per sua natura una pericolosa minaccia per la democrazia" 5 . Sono opinioni relative a volti della politica, a percezioni collettive della democrazia, a correnti di pensiero, non a caso dovute a politologi o a filosofi della politica, col fine talvolta esplicitato di offrire un'"analisi ideal-tipica" della questione 6 . Il punto di vista di un costituzionalista sul populismo è inevitabilmente diverso. Non perché non debba anch'esso confrontarsi col dilemma se il populismo possa considerarsi una componente interna del sistema democratico ovvero una minaccia che preme su di esso dall'esterno. Ma perché per democrazia intende, appunto, un sistema istituzionale sedimentato nel corso di più di due secoli.
Democrazia, una questione aperta
Democrazia una questione aperta, 2005
La democrazia: una questione aperta La democrazia è un valore? In un certo senso si, ma soprattutto appare uno strumento. La libertà è un valore. Ora la questione è semplice: non sempre la democrazia si accompagna alla libertà. Anzi più sovente la democrazia sembra il sistema più adatto a veicolare e mantenere la tirannide. Il conte di Cavour-che è stato uno dei più eminenti ed efficaci artefici dell'unità nazionale italiana-riteneva che il processo verso la democrazia fosse inarrestabile. La democrazia egli vedeva come avversaria e, insieme, continuatrice della mentalità liberale. Continuatrice come passo precedente di uno stesso cammino, avversaria perché capace di configurarsi come negatrice della libertà. "Tutti i sistemi concepiti nei tempi moderni dai più saggi e coraggiosi intelletti possono essere ridotti a due: uno ha fede nel principio della libertà, nel principio della libera concorrenza, nel libero sviluppo morale ed intellettuale dell'uomo; e questa è la scuola economica, con i principi professati dagli uomini di Stato che governano l' Inghilterra. L'altra scuola professa principi differenti e crede che le miserie dell'umanità non possano essere alleviate se non limitando sempre più l'azione individuale, allargando l'azione centrale della società rappresentata da un governo da essere creato con la centralizzazione delle forze individuali; questa è la scuola socialista. Noi non dobbiamo ingannarci: sebbene questa scuola abbia toccato soluzioni sfortunate e a volte atroci, noi non possiamo negare che essa ha nei suoi principi una certa seduzione per le anime alte e generose." Il 1848 parigino, la lotta socialista contro la proprietà, il manifesto del Partito Comunista avevano allarmato l'Europa ed avevano visto anche l'opposizione del Mazzini che era sì democratico, unitario e centralista, ma non socialista. Ma per Cavour "socialismo" vuol dire qualcosa di precedente rispetto all'ideologia socialista. Vuol dire un movimento che porta le masse sul proscenio della storia. Vuol dire irruzione delle masse nella vita politica ed economica delle nazioni. Ma cosa comporta l'avvento delle masse: semplicemente un potenziamento dello Stato: "…ridotte ai loro minimi termini, esse [le teorie socialiste] affermano che il diritto, e di conseguenza il dovere, del Governo [dello Stato] è di interferire nella distribuzione e nell'impiego del capitale e che il Governo ha la missione e il potere di sostituire la sua volontà alla libera volontà degli individui." Più, dunque, si estende la partecipazione politica delle masse e più aumenta l'estensione dei poteri di intervento dello Stato. Più aumentano i cittadini che possono votare e meno vale la loro libertà sempre più minacciata dall'intervento statale in ogni ambito della loro vita (dalla salute, al lavoro, agli affari, all'educazione e alla difesa, etc.). Potenziamento dello Stato vuol dire aumento della pressione burocratica: maggiore peso delle burocrazie e degli apparati sociali che per assicurare la libera partecipazione dei cittadini alla vita politica, ne limitano di fatto la libertà. La pretesa dello Stato assoluto (ab-solutus = sciolto da ogni vincolo che lo legava all'alto-il suo venire da Dio e, quindi, il suo dover rispondere a Dio-e quindi anche al basso dove sta una massa informe che solo Stato può dirigere e salvare dall'abbrutimento e dal caos). Bene, questa pretesa, è ben mostrata, con efficacia e sincerità da Robespierre nel suo famoso discorso alla Convenzione, vero e proprio manifesto della democrazia: «Quale scopo ci prefiggiamo ? Il pacifico godimento della libertà e dell'eguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise, non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega. Vogliamo un ordine delle cose nel quale ogni passione bassa e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione benefica e generosa sia ridestata dalle leggi; nel quale l'ambizione sia il
Transizione Infinita Alla Democrazia O Altro Modo DI Pensare La Politica?
Daimon Revista De Filosofia, 2006
Transizione infinita alla democrazia o altro modo di pensare la politica?* GIUSEPPE DUSO** Il concetto di transizione è assai usato al livello della vita pratica e della politica, perché permette di trovare in qualche modo punti fermi e sicuri per il nostro agire. Mi pare che si possano ravvisare due modalità di utilizzo del concetto, che appaiono opposte, ma che forse non sono tra
Rivista AIC, 2017
Sommario: 1. Il populismo inafferrabile. -2. Populismo e dicotomie. -3. La degenerazione populista in Italia. -4. Qualche spunto dall'esperienza comparata. * Associato di Diritto costituzionale nell'Università degli Studi di Napoli Federico II. ** Intervento svolto in occasione del XXXI Convegno annuale dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Di alcune grandi categorie del diritto costituzionale: Sovranità -Rappresentanza -Territorio, Università degli studi di Trento 11-12 novembre 2016. 1 Il dato è messo bene in evidenza da E. LACLAU, On Populist Reason, London, 2005, trad. it. La ragione populista, Roma-Bari, 2008, 5 ss.; M. TARCHI, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi del «complesso di Cenerentola», in Filosofia politica, n. 3, 2004, 411 ss. 2 E. LACLAU, op. cit., 8, con riferimento, in particolare, alle posizioni di Margaret Canovan. R I V I S T A A I C 2
DEMOCRAZIA È QUESTIONE DI TEMPRA E POSTURA
Dimmi qual è la tua soglia del dolore e ti dirò fino a che punto potrai restare davvero libero, uomo o donna che tu sia. C'è dunque un nesso, molto stretto, tra dolore e libertà, ma anche tra dolore e realtà, tra dolore e vita sociale. Byung-Chul Han, filosofo sudcoreano che vive ed insegna in Germania, divenuto molto noto negli ultimi anni anche in Italia, ha dichiaratamente ascoltato ed accuratamente appreso la lezione di Ernst Jünger. La riflessione di
Anche le democrazie desiderano vincere in guerra. Tuttavia, sono soggette a vincoli specificidiversi da quelli propri di autocrazie e non-stati -che ne limitano la libertà di azione. Nello scegliere quali conflitti combattere, come combatterli, e a fianco di chi, le democrazie non possono permettersi di tenere conto, coeteris paribus, soltanto di quale sia la strada migliore per ottenere la vittoria. Il loro calcolo deve anche subordinarsi […] a criteri di democraticità, in particolare il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche, incluse quelle di stampo militare, e il rispetto della pubblica opinione. La pena per la violazione sistematica di questi principi è la perdita dell'anima: infatti, come potrebbe dirsi democratico un regime che non li rispetti? 1 La democrazia nel corso della sua storia ha concepito e praticato una forma attiva di partecipazione dei cittadini alla difesa della nazione: il servizio militare obbligatorio. La progressiva rinuncia a questo strumento e la conseguente professionalizzazione delle forze militari può portare gli stati a fare affidamento sulle compagnie private di sicurezza (private security firms), con possibili risvolti di destabilizzazione nell'equilibrio dei poteri democratici. Gli effetti variano a seconda che si tratti di uno stato forte o debole. Mentre in uno stato forte il potere, sottratto massicciamente al parlamento e all'opinione pubblica, resta prevalentemente concentrato nelle mani dell'esecutivo, in uno stato debole sono le compagnie stesse ad assumere il maggior potere 2 . I casi che analizzerò riguardano essenzialmente gli stati democratici forti che da una parte hanno abolito rapidamente la coscrizione (che prima era adottata a intermittenza), come USA e UK, dall'altra hanno abrogato il servizio militare obbligatorio solo dopo il 1989, come la maggior parte degli stati europei, e l'Italia in particolar modo. Dal punto di vista sociologico, Paolo Ceola, in suo saggio 3 , sostiene quanto, nelle democrazie rappresentative, i concetti di cittadinanza e rappresentanza si siano affermati storicamente "grazie alla partecipazione attiva delle masse alle guerre, sia nel senso riguardante il singolo cittadino-soldato sia in quello che a decidere se entrare o meno in guerra sono stati i rappresentanti eletti di fasce sempre più ampie di popolazione" 4 . Egli addita alla rivoluzione tecnologica e alla professionalizzazione degli eserciti contemporanei le ragioni della presa di distanza dell'opinione pubblica nei confronti degli affari militari. Aggiunge che la fine della leva militare obbligatoria ha sancito "la definitiva alienazione dell'opinione pubblica nei riguardi delle decisioni e dei processi che comportano sacrifici e lutti collettivi, portando a compimento la parabola del cittadino-soldato affermatosi stabilmente con la Rivoluzione Francese e il cui apogeo fu la partecipazione collettiva alla guerra antifascista del 1939-45" 5 .
Rappresentanza e democrazia digitale
Cosmopolis, 2020
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“Democrazia” a tavola: Giovenale (sat. 5), Marziale, Luciano
2013
Posta a conclusione del primo libro delle Satire, la satira 5 di Giovenale raccoglie i principali elementi proposti dai componimenti precedenti ricapitolandoli in un lògos aprotreptikòs, un "discorso di dissuasione" per molti versi analogo a quello che sostanzierà la successiva satira 6. Destinatario del discorso è Trebio, un cliens di bassa condizione sociale ed economica che da lunghi anni si dedica al servizio del ricco Virrone, ricevendone però, come unica ricompensa per tanti servigi, umiliazioni e manifestazioni di sadico disprezzo. Di qui l'esortazione ad abbandonare finalmente un simile servizio, a deporre tutte le aspettative sinora riposte nel patronus e, soprattutto, a sottrarsi alle angherie che attualmente deve patirne.