Edizioni Press & Archeos (original) (raw)
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<>. Per margherita Spampinato, 2018
Frammenti su soggetto e io lirico ESTRATTO DA «que ben devetz conoisser la plus fina»
PORPATIMA Sentieri greci da Reggio alla La Verde, 2015
Questa piccola guida si ispira ad un lavoro ben più imponente e importante: DOMENICO MINUTO, Catalogo dei monasteri e dei luoghi di culto tra Reggio e Locri, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977 e ID., Catalogo dei monasteri e dei luoghi di culto tra Reggio e Locri - Aggiornamento 2014, «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», anno LXXX (2014), Roma 2014, pp 159-198. L’opera di D. Minuto raccoglie e racconta delle visite (così le chiama l’autore) condotte a partire dagli anni ’60 di edifici sacri d’ispirazione bizantina nell’area ionica. Ma furono anche vere e proprie esplorazioni, avventure coraggiose in una montagna allora popolata solo da pastori e boscaioli e poco avvezza ai viaggiatori. Vere e proprie spedizioni usando il treno lungo la litoranea, poi la corriera verso i paesi dell’interno ed infine a piedi o a dorso d’asino verso la montagna. Insomma un Indiana Jones ante litteram. Molti dei monumenti descritti da Minuto erano già in stato di rudere e, dopo circa mezzo secolo, ne rimane una traccia ormai labile. Il visitatore odierno quindi dovrà armarsi di pazienza e passione nella ricerca: insomma per alcuni itinerari potrebbe essere una caccia al tesoro. Tuttavia il tesoro non è solo la meta e/o il monumento. Il cammino in una natura spesso grandiosa e inebriante è la gioia che potrete trarre da questi itinerari.
L'impresa editoriale dei Campi Phlegraei
Campi Phlegraei, Grimaldi Editore, Napoli, 2000
di Hamilton, contrariamente a quanto il titolo induce a credere, non si parla soltanto della fascia costiera che va dalla punta di Posillipo al capo Miseno (quella-per intenderci-da noi oggi chiamata "Canpi flegrei"). Hamilton, seguendo l'antica definizione, chiama "Campi Phlegraei" (terre bruciate dal fuoco) l'intera Campania. Né i Campi Phlegraei sono un'opera dedicata esclusivamente al Vesuvio. Il libro reca come sottotitolo Observations on the Volcanos of the Two Sicilies. Vi si parla quindi anche dell'Etna e dei vulcani delle Eolie. Detto ciò, aggiungiamo che la pubblicazione di questo libro avrebbe dovuto essere sufficiente per assicurare a Sir William Hamilton 2 la celebrità scientifica. Dell'altra sua-meno nobile-fama, derivatagli dalla scandalosa relazione che la moglie Emma ebbe con l'ammiraglio Nelson, avrebbe volentieri fatto a meno. Invece è per quella che viene comunemente ricordato. In ogni caso il nome di Hamilton resta indissolubilmente legato al Vesuvio. Certamente vi furono altri che, prima di lui, cercarono di svelare i segreti del mitico vulcano. Però fu con Hamilton la vulcanologia abbandonò i laboratori dei maghi e degli alchimisti e, messa da parte la superstizione, s'incamminò sul terreno della scienza moderna. Hamilton fu, infatti, il primo a adottare la metodologia sperimentale nel campo degli studi vulcanologici, effettuando osservazioni sistematiche per lunghi periodi. E fu il primo ad applicare le tecniche della stratigrafia geologica alla vulcanologia. Osservando le sezioni del terreno in varie località della Campania, Hamilton notò, infatti, la presenza di strati di humus inseriti tra i depositi d'antiche produzioni piroclastiche. E dallo spessore del terreno humificato valutò l'intervallo intercorso tra le eruzioni. Lo stesso metodo sul quale, due secoli dopo, si sarebbe basata la moderna "teoria dei paleosuoli" 3. Hamilton vedeva nel Vesuvio un gigante pericoloso, ma buono; che andava rispettato ed amato. E considerava le eruzioni "meravigliose operazioni della natura, volute dalla Provvidenza e inquadrate nell'ambito d'un immenso disegno" 4. Il vulcano è per lui "un immenso aratro, del quale la natura si serve per rovesciare le viscere della terra". Ciascuna eruzione creava "nuovi campi da coltivare, in sostituzione di quelli ormai sfruttati dai troppi raccolti". Quanti "preziosi minerali sarebbero rimasti irraggiungibili, se la natura,
L’edizione antica delle opere di Archiloco
Prometheus, 2019
The article investigates the ancient edition of Archilochus’ works, examining such things as the division of poems into books, the critical signs that were used to separate poems, and the ordering of poems within books and its significance. It argues among other things that P.Oxy. 2311 (fr. 48 W.2) represents the first column of the Trimeters and that the Epodes were organised according to metre, from the most iambic (beginning with frr. 172-181 W.) to the least iambic (ending with the new fragment preserved by BKT X 11, which was probably entirely dactylic).