COSTANTINO VESCOVO: “RISEMANTIZZAZIONE” E “RIQUALIFICAZIONE” EPISTEMICA DEL SACERDOZIO PRECRISTIANO (original) (raw)
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IL RENDICONTO DI SAN GREGORIO DI NAZIANZIO VESCOVO DI COSTANTINOPOLI
L’orazione XLII di San Gregorio di Nazianzio presenta un’interessante analogia con un’istituzione fondamentale dell’Atene della democrazia, quella che chi aveva ricoperto una qualunque carica di governo, allo scadere del mandato, era tenuto a rendere conto del suo operato. Così san Gregorio di Nazianzio rende conto davanti al Concilio di Costantinopoli I del 381 d. C. del suo operato come vescovo di Costantinopoli. Questa orazione ci mostra, inoltre, quanto sia distante il cristianesimo delle origini dall’attuale Chiesa cattolica in cui il vescovo detiene un potere assoluto e non è tenuto a rendere conto a nessuno.
IL CRISTIANESIMO ANTICO E LA RAFFIGURAZIONE DI DIO
2021
L’obiettivo di questa tesi è quello di ripercorrere le fasi evolutive più importanti della storia della raffigurazione del sacro nel mondo cristiano. Si partirà dalla fase iniziale della storia del cristianesimo, nella quale non vi sono testimonianze di raffigurazioni della divinità, poiché, anche se con motivazioni diverse, il cristianesimo riprendeva i dettami della religione ebraica, che prescriveva tali procedure . Verrà quindi esaminata la nascita, nel III secolo, dell’immagine cristiana. Queste prime rappresentazioni sono legate soprattutto all’ambito funerario, come nel caso delle decorazioni parietali delle catacombe e dei sarcofagi. Lo stile di queste immagini è ancora fortemente simbolico e legato ad una cultura classica e pagana: rielaborata però con significati cristiani. Per tutto il resto della tarda antichità, spingendosi fino al VIII secolo, si verifica un’esplosione nel ricorso all’immagine sacra, vista anche come potente mezzo pedagogico di insegnamento delle sacre scritture. Essa è sempre più diffusa in ambito privato come nella decorazione delle chiese e nell’ambito del culto delle reliquie dei Santi e delle loro rappresentazioni . In Oriente si diffondono quindi tra il VI e il VIII secolo le icone. Sono immagini sacre realizzate con varie tecniche (a tempera, ad affresco o a mosaico). I soggetti principali raffigurati sono Cristo, la Vergine, i santi, le feste e i misteri cristiani: queste icone vengono collocate nelle principali chiese e monasteri. La tradizione ritiene che molte di queste icone siano immagini di origine divina e che abbiano poteri miracolosi: in questi casi sono definite con l’espressione greca acheiropòiete, ossia «non fatte da mano umana» . Ma la diffusione di queste icone ha condotto nel VIII secolo alla prima importante crisi dell’immagine nel mondo cristiano, ricordata come la crisi iconoclasta. Nel 726 Leone III Isaurico (717-741), imperatore d’Oriente, diede il via alla sua politica contro l’uso dell’icona, distruggendo l’immagine del Cristo affissa sulla grande porta bronzea del palazzo imperiale di Costantinopoli. Il rigetto da parte dell’imperatore delle immagini sacre era legato alla volontà di diminuire i poteri dei monaci, che in quel momento avevano acquisito grande importanza e autorità, e alla concezione delle icone come veicolo che favoriva l’idolatria. La prima abolizione dei divieti iconoclastici venne quindi sancita con il concilio di Nicea II (787), in cui si affermava che le icone sono custodi della tradizione ecclesiastica sia scritta che orale, e in cui si ribadiva che la raffigurazione della divinità o del sacro più in generale aveva la funzione di facilitare la memoria e stimolare l’emulazione dei personaggi rappresentati. La decisone del concilio di Nicea II non è stata recepita in pieno in tutto l’Occidente. Nella parte settentrionale dell’Europa, infatti, è stata mantenuta una posizione mediana: per cui le icone sono viste come memoria dei fatti storici e ornamento della chiesa e per questo non andavano distrutte, ma allo stesso tempo non dovevano essere venerate . Nel IX secolo, con Leone V l’Armeno (813-820), si verificò una fase di ripresa delle idee iconoclastiche, che verranno totalmente debellate nell’843 con la deposizione del patriarca Giovanni VII Grammatico, iconoclasta, da parte di Teodora, reggente dell’impero d’Oriente, aiutata dal vescovo Metodio, del partito iconodulo. In Oriente la questione della raffigurazione delle immagini sacre aveva condotto a scontri violenti, mentre in Occidente l’icona godeva di grande fortuna, che sarebbe durata per tutto il resto del medioevo. Esportata dall’Oriente nelle principali città, soprattutto a Roma, era divenuta presto oggetto di culto e di venerazione. Le immagini, infatti, dato l’elevato tasso di analfabetismo medioevale, erano uno strumento più forte della parola per portare il messaggio di Cristo a tutti i fedeli senza alcuna distinzione. Nell’età moderna una tappa fondamentale per la comprensione del trattamento delle immagini nell’arte cristiana è costituita dal Concilio di Trento (1545-63), uno fra i più importanti mai celebrati per la Chiesa cattolica. Il concilio venne convocato anzitutto per reagire alla diffusione della Riforma protestante in Europa, ma nella sua ultima fase furono stabiliti alcuni criteri fondamentali per la disciplina dell’arte cristiana. In particolare, in questa tesi si prenderà in esame la figura del cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), che partecipò attivamente al Concilio di Trento e che scrisse un celebre trattato intitolato Il discorso intorno alle imagini sacre et profane, diviso in cinque libri, che ha posto con forza il problema dell’arte della nuova spiritualità tridentina. Un trattato particolarmente importante anche perché si scontrava con la posizione della Roma papale rinascimentale, avvezza agli splendori della propria autocelebrazione
LA «TRADITIO EVANGELIORUM» NEL CATECUMENATO ANTICO: UN RITO PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE?
The present paper aims to analyse, both historically and critically, the liturgical rite of the Traditio Evangeliorum in the Roman Sacramentaries, within the framework of the catechumenal journey. The RCatT 37/2 (2012) 657-683 © Facultat de Teologia de Catalunya ISSN: 0210-5551 RCatT 37/2 (2012) 657-683 658 presence of the above mentioned rite underlines the significance given to the Word of God and its liturgical “celebration” in Christian initiation. The rite was established in an historical context influenced by the theological imprint of Pope Gregory the Great, and its symbolic and celebrative dimensions can be linked to the biblical and catechetical genre of Ezekiel and Revelation. The most recent Synod on the Word of God and the last Synod on New Evangelization give the author the opportunity to reconsider its centrality in the current catechetical processes. The liturgical “entrusting” of Scripture into the hands of believers is a sign of high symbolic value, drawing the reality of the Word close to the prophetic and ecclesial comprehension of faith. Keywords: Traditio Evangeliorum, Gregory the Great, Bible, catechumenate, initiation.
“SCAENOGRAPHIA” E “AEDIFICATIO” NELL’ARCHITETTURA DELLE CITTÀ VESUVIANE
Bollettino d'Arte, fascicolo 14 (APRILE-GIUGNO 2012); pp. 1-24., 2012
""Scaenographia” and “Aedificatio” in the Architecture of the Vesuvian Cities The essay discusses the complex connection between Pompeian illusionistic wall–painting — the so–called Second Style — and architecture, proposing two keys to its understanding. The first deals with the relationship between wall decoration and built architecture, and provides an opportunity to think about how decoration affects both the character of the rooms of a domus as well as how these rooms were used. The second refers to the connection — as it pertains to the fictitious dimension of the painting — between representation and that which is represented, between the trompe–l’oeil and its subject matter, which, in the case of the Second Style, is strictly architectural in nature. The hypotheses as to the origins of the Second Style’s figurative repertoire — for which the Theatre seems one of the most probable sources — are explained with reference to the main interpreters of a long–standing debate, full of cultural implications. Moreover, Theatre — the quintessential ‘stage of vision’ — recalls the complex issue of perspective in antiquity in two well–known Vitruvian passages. Different scholars see ancient perspective, either as an early imperfect beginning of modern perspective, or as the result of a different idea of spatial representation rooted in ancient culture and not without a certain theoretical rigour. Il saggio tratteggia le complesse relazioni tra la pittura parietale pompeiana a carattere illusionistico – il cosiddetto II stile - e l’architettura, proponendo due chiavi di lettura. La prima riguarda il rapporto tra la decorazione parietale e l’architettura nella sua dimensione reale, ed offre occasione di riflettere sul modo in cui la decorazione partecipa della funzione e del carattere dei diversi ambienti della domus. La seconda riguarda invece il rapporto, tutto risolto nella dimensione fittizia del dipinto, tra la rappresentazione ed il rappresentato, ovvero tra il trompe-l’oeil e i suoi soggetti, che nel caso del II stile possiedono carattere squisitamente architettonico. Le ipotesi sulle origini di tale repertorio figurativo vengono esposte in riferimento ai principali interpreti di un dibattito lungo e denso di implicazioni culturali, che individua nella scena teatrale una delle fonti più probabili. Il tema del teatro, ‘luogo della visione’ per antonomasia, richiama inoltre immancabilmente – attraverso due noti passi vitruviani – quello assai controverso della ‘prospettiva’ degli antichi, che scuole di pensiero diverse hanno interpretato o come un esordio imperfetto della teoria prospettica a noi familiare, o come il frutto di una diversa idea di rappresentazione dello spazio, espressione della cultura del suo tempo e non priva di un certo rigore.""