Marco Calafati, Bartolomeo Ammannati nel Duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze. Note sul restauro della lanterna e le edicole degli apostoli (1570-1573), «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», 30-21, 2021-2022, pp. 253-264. (original) (raw)

Bartolomeo Ammannati nel duomo di Santa Maria del Fiore. Note sul restauro della lanterna e le edicole degli Apostoli (1570-1573)

BARTOLOMEO AMMANNATI NEL DUOMO DI SANTA MARIA DEL FIORE A FIRENZE Note sul restauro della lanterna e le edicole degli Apostoli (1570-1573), 2023

The works of Bartolomeo Ammannati (1511-1592) in Santa Maria del Fiore, with the exception of the in- depth studies by Timothy Verdon, Carlo Cinelli and Francesco Vossilla, found contrasting fortune and remained marginal. Two letters written by Ammannati to the administrator Giovanni Caccini and Francesco Busini preserved in Los Angeles, The Paul Getty Resarch Institute, allow us to specify the interventions of the architect sculptor for the restoration of the lantern of the dome of Santa Maria del Fiore and the construction of the aedicules inserted in the pillars and in the walls of the naves inside the cathedral. The Ammannati construction sites in Santa Maria del Fiore represent exemplary cases in which technical experiments and original operational solutions are combined with the transport of materials and the management of masses and are therefore emblematic works in the artist’s multifaceted production.

Marco Calafati, Facciate dei palazzi fiorentini di Bartolomeo Ammannati, in: Bollettino della Società di Studi Fiorentini, 21, 2014

Bartolomeo Ammannati (1511-1592) introduces an innovation in the landscape composition of the facades of the palaces of Florence, by underlining the central axis of symmetry, composed by the vertical alignment of portal- window-coat or varied by the introduction of a kneeling window in place of the portal. The accentuation of the axis of symmetry is drawn from Vignola Villa Giulia in France and also by Sebastiano Serlio and Pierre Lescot. If Serlio cites the curtains in facing brickwork ‹‹a facciavista›› how ‹‹licenziose››, in Florence in facing brick ‹‹a facciavista›› appears only in the middle of the sixteenth century with the building of red brick facades that are decorated two-tone Griffins. The ornament and decoration, emblems and symbols, symbolic allusions suggest that emphasizing the values that animate architectures Ammannati.

Bartolomeo Ammannati, la Fontana di Sala Grande e le trasformazioni del Salone dei Cinquecento da Cosimo I a Ferdinando I, in L’acqua, la pietra, il fuoco. Bartolomeo Ammannati scultore, catalogo della mostra (Firenze 2011), Firenze, 2011, pp. 136-155.

Il nome di Bartolomeo Ammannati (1511-1592) è indissolubilmente legato al cantiere di Palazzo Vecchio. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, l'artista partecipa per la parte dell'arredo plastico e decorativo alla sua riconfigurazione collaborando con Giorgio Vasari (1511-1574), responsabile del cantiere; al tempo di Ferdinando I (1587-1609) diviene, invece, architetto responsabile della fabbrica, in una stagione di rilevanti ampliamenti e trasformazioni del palazzo 1 . In particolare, negli anni di Vasari, Ammannati ha svolto un ruolo significativo nei progetti per il Salone dei Cinquecento -che le fonti coeve indicano come Sala Grande -, con la commissione della monumentale fontana per la testata meridionale, nota anche come Fontana di Giunone (1555-1563), mai installata a Palazzo Vecchio: si tratta di una complessa opera scultorea dove Bartolomeo si occupa anche del progetto del palinsesto architettonico che ne doveva costituire il fondale, come avremo modo di illustrare in questo saggio. Il vasto ambiente della Sala, vera e propria «piazza coperta» 2 , occupa una posizione nevralgica nelle nuove funzioni che vedono l'antico palazzo repubblicano ospitare non solo il rifondato governo mediceo, ma anche la residenza famigliare del giovane Cosimo 3 , con tutte le valenze simboliche, ostensive e cerimoniali che una residenza ducale comporta. La Sala Grande ha infatti una dislocazione baricentrica rispetto ai nuovi appartamenti del duca e della duchessa, cui fa da corollario la questione dei reciproci collegamenti trasversali risolta soltanto a più riprese e protrattasi fino alla seconda metà del XIX secolo. Vasari a tal proposito ricorda con orgoglio il suo progetto, con il relativo modello, per Palazzo Vecchio: «il quale modello essendo piaciuto al duca, si è secondo quello unito e fatto molte comode stanze e scale agiate, pubbliche e segrete, che rispondono in su tutti i piani; e per cotal modo rendute libere le sale che erano come una pubblica strada, non si potendo salire di sopra senza passare per mezzo di quelle» 4 . L'allestimento della Sala, nella nuova centralità fisica e concettuale, richiede tempi molto lunghi e processi tutt'altro che lineari 5 . La Fontana di Sala Grande rappresenta un episodio di grande rilievo nel rapporto fra scultura e architettura nel Cinquecento. È in quest'ultima chiave di lettura che verrà qui analizzata per indagarne le implicazioni architettoniche, spaziali e programmatiche (figg.

Marco Calafati, Il Chiostro di Ponente, in Santa Maria degli Angeli a Firenze. Da monastero camaldolese a biblioteca umanistica, a cura di Cristina De Benedictis, Carla Milloschi e Guido Tigler, Nardini, Firenze, 2022, pp. 381-397.

Santa Maria degli Angeli a Firenze. Da monastero camaldolese a biblioteca umanistica, 2022

Il periodo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo corrisponde ad uno dei più fiorenti nella storia dell’architettura di Santa Maria degli Angeli a Firenze che si manifesta nella ricostruzione degli antichi chiostri di ponente e di levante, già presenti nell’originaria configurazione planimetrica del monastero, e nell’erezione di quello grande. La storia dell’architettura del chiostro degli Angeli si intreccia con quella di Via degli Alfani e con quella del prospiciente palazzo progettato da Bartolomeo Ammannati per il mercante-banchiere Simone da Firenzuola, con il quale con- divide soluzioni architettoniche e ornamentali oltre che le stesse maestranze del cantiere. Il chiostro degli Angeli rappresenta una tappa significativa nell’iter progettuale di Bartolomeo Ammannati che si confronta con le tipologie monastiche e gli edifici religiosi della Toscana medicea. L’adozione di formule classicheggianti e allo stesso tempo licenziose nell’architettura sacra del tardo Cinquecento è parte di un processo evolutivo che porta alla commistione di elementi variegati e alla sublimazione delle forme che coniugano elementi stilistici tipici del linguaggio di Bartolomeo ad altri che inaugurano il repertorio della fine del secolo e dell’inizio di quello successivo.

Marco Calafati, Il Chiostro di Ponente, in Santa Maria degli Angeli a Firenze. Da monastero camaldolese a biblioteca umanistica, a cura di Cristina De Benedictis, Carla Milloschi e Guido Tigler, Nardini, Firenze, 2022, pp. 381-397. ISBN: 978-88-404-0623-7

Santa Maria degli Angeli a Firenze. Da monastero camaldolese a biblioteca umanistica, 2022

Il periodo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo corrisponde ad uno dei più fiorenti nella storia dell’architettura di Santa Maria degli Angeli a Firenze che si manifesta nella ricostruzione degli antichi chiostri di ponente e di levante, già presenti nell’originaria configurazione planimetrica del monastero, e nell’erezione di quello grande. I documenti permettono di delineare in modo saltuario i lavori ma non consentono di individuare precisamente la struttura organizzativa e le gerarchie interne del cantiere limitando le indicazioni sugli artefici del chiostro, anche se è da presumere che i ruoli gerarchici dei vari protagonisti della costruzione siano coordinati secondo una logica che si ripete spesso nei cantieri del secondo Cinquecento.

Marco Calafati, Bartolomeo Ammannati e la “fabricha di messer Simone Firenzuola”. Committenza e cantiere di Palazzo Giugni a Firenze, in: Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLX, 1/2, 2006 (2007), 93-158

Nel 1591 Francesco Bocchi presenta, nelle sue "Bellezze della città di Fiorenza", la "casa o più tosto palazzo di Simone da Firenzuola", definendola "mirabile edifizio" e "fabbrica molto nobile, et comodissima". 1 L'appellativo "palatio overo casa grande" ricorre anche nel testamento del committente, Simone da Firenzuola, stilato nel 1592. 2 Proprio dall'incertezza terminologica tra "chasa" o "palatio" e dall'adozione definitiva del secondo termine, sia da parte del Bocchi che dal Firenzuola, emergono ovvie le considerazioni sulla tipologia dell'edificio: un palazzo, appunto, di grande impatto e novità nel contesto cittadino di fine Cinquecento. La permanenza nel tempo del nome della "nobilissima e antichissima famiglia de' Giugni" 3 è dovuto, oltre che alla grande stagione di circa due secoli in cui questa lo ha abitato, anche agli ampliamenti e decorazioni barocche con cui ha arricchito gli interni. 4 Palazzo Giugni è la realizzazione di un ambizioso progetto. Un sogno di un ricco banchiere del Rinascimento, Simone da Firenzuola, che acquista una "casa con orto" a Firenze, in via degli Alfani, allora via degli Angioli, per poi trasformarla in un grandioso edificio su progetto di Bartolomeo Ammannati (figg. 1-2). Il palazzo è uno dei monumenti fiorentini rinascimentali meno documentati e anche i tentativi d'indagine archivistica, finora proposti, presentano molte lacune: non ci sono pervenuti i libri contabili contenenti le spese per la fabbrica, né i "Libri della muraglia" e sono dispersi i disegni architettonici di Bartolomeo. Tuttavia il recente rinvenimento di preziosi documenti consente di far luce su molti aspetti rimasti finora oscuri.