Lingua e dialetto in Goldoni - 2015 (original) (raw)
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Il dialetto nell'Italia postunitaria
Anna Grochowska, Il dialetto nell'Italia postunitaria [The dialect in Italy after the union], Studia Romanica Posnaniensia, Adam Mickiewicz University Press, Poznań, vol.
Incastri di lingua e dialetto nel Mastro-don Gesualdo di Vaccari
Annali della Fondazione Verga, 2012
Vengono qui esaminati i procedimenti attraverso i quali il siciliano, presente per una precisa scelta registica nello sceneggiato, sia stato reso accessibile al pubblico televisivo di cinquant'anni fa; nel contempo, vengono additate delle convergenze col parlato-parlato per quanto riguarda la transizione dall'italiano al dialetto, sia che si tratti di commutazioni, ossia di passaggi funzionali in cui è rilevabile una specifica funzione comunicativa e pragmatica, sia che si tratti di enunciatI mistilingui, pura e semplice giustapposizione di codici diversi.
Calogero, Gentile e la dialettica del Simposio
in: PANT’ONOMA. Studi in onore di Mauro Visentin, a c. di R. Berutti, M. Cardenas, P. Ciccarelli, N. Parise, Bibliopolis, Napoli, 2022
La pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell'Università Ca' Foscari di Venezia e del Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali dell'Università degli Studi di Cagliari. INDICE Tabula gratulatoria Premessa GENNARO SASSO, Lettera a Visentin ADRIANO ARDOVINO, Eon emmenai. Marginalia sulla verità 'della' doxa ANDREA BELLOCCI, Logo e domanda. La questione dell''innegabile' nell'Introduzione e Conclusione di Tempo, evento, divenire di Gennaro Sasso ENRICO BERTI, Critica dell'interpretazione tradizionale della metafisica di Aristotele RICCARDO BERUTTI, Si nihil nos teneat. Ermeneutica del '(non)nulla' nel pensiero di Mauro Visentin ALDO BRANCACCI, Calogero, Gentile e la dialettica del Simposio MASSIMO CACCIARI, Figura futuri MATTIA CARDENAS, Peri dynameos. Attualità del possibile GAVINA CHERCHI, Forme nel tempo. L'arte di Claudio Nicoli PIERPAOLO CICCARELLI, Il fenomeno della negazione polemica in Leo Strauss GIANNINO DI TOMMASO, Intuizione intellettuale ed essere in Fichte
Lingua e dialetto nella coscienza di Zeno
Quaderns d’Italià
Trieste, città di frontiera, si riflette sulla scrittura di Italo Svevo, attraverso il doppio registro di lingua-dialetto. Ma nello scrittore, quello che potrebbe essere il tipico dualismo di tanti nostri letterati, acquista una connotazione etica, nel senso che investe un'altra giurisdizione, quella della menzogna e della verità. È una delle diverse frontiere che Italo Svevo attraversa nel suo percorso narrativo, e che può aiutare a comprendere, tra le altre cose, il suo rapporto ambivalente con la psicanalisi e la sua concezione della finzione.
"Gente e luoghi di Lagacci", Gruppo di Studi Alta Valle del Reno – Pro Loco di Lagacci: 59-72, 2014
Gettando uno sguardo sulla Carta dei dialetti d'Italia pubblicata da Giovan Battista Pellegrini nel 1977 si nota subito che in prossimità dei territori in cui è parlato il lagaccese passa il fascio di isoglosse (cioè di confini linguistici) che costituisce la cosiddetta Linea La Spezia-Rimini, la quale, visti i suoi estremi costieri occidentali e orientali, andrebbe però chiamata Linea Carrara-Fano. Essa separa i dialetti del nord Italia da quelli centrali e meridionali ed è di grande importanza classificatoria all'interno dello spazio linguistico neolatino, perché riflette una divisione già esistente in epoca tardoantica, determinata da fattori storici, sociali e geografici. Ciò non significa che attraversando la linea tracciata sulla Carta si oltrepassi ovunque un muro immaginario al di qua e al di là del quale si parlano dialetti che si differenziano in tutto e per tutto: vi sono anche aree in cui è chiaramente percepibile una transizione linguistica tra un 1
Lingua e identita' sociale 2015
L'analisi della relazione tra lingua e identità sociale è un campo accademico molto vasto e prolifico che, per ovvie ragioni di spazio, non può essere trattato per intero in questo capitolo. È utile però ricordare come l'identità possa scaturire attraverso i diversi processi di uso sociale della lingua 1 , sia ad esempio nell'interazione tra variabili sociali (genere, educazione, località, religione, ecc.) e stilistiche (scelte lessicali, fonetiche, ecc.), sia nella definizione di identità linguistica come associazione tra determinate espressioni di cultura e denominazioni specifiche di un idioma (Italiano, Swahili, Quechua, ecc.). La lingua è sicuramente uno degli strumenti fondamentali di trasmissione della cultura. Per questo, la lingua è da sempre vista come un elemento caratterizzante dell'identità individuale poiché (insieme all'etnia, religione, ecc.) identifica un parlante come appartenente a un determinato gruppo e, al tempo stesso, contribuisce all'identità collettiva del gruppo come elemento di differenziazione dagli altri gruppi. Per molto tempo questo stretto rapporto tra lingua e identità è stato visto in termini essenzialisti, statici e deterministici. Le lingue cioè sono spesso state rappresentate come espressioni "naturali" del carattere collettivo di un ethnos in grado di determinare o condizionare il modo di pensare dell'individuo. È questa l'interpretazione più "forte" dell'ipotesi whorfiana 2 secondo cui attraverso la lingua non trasmettiamo solo il codice ma anche la visione stessa del mondo e della realtà codificate nelle strutture linguistiche. Questa nozione di lingua come qualcosa d'intrinseco all'individuo è però sempre meno favorita dalla linguistica e dall'area interdisciplinare di studi culturali che tendono a leggere l'ipotesi whorfiana in chiave più "debole" come relativismo culturale o, in forme più critiche, a confutarla completamente concependo la lingua principalmente come processo di costruzione 1 Secondo una definizione generica, la lingua rappresenta un sistema codificato di suoni e simboli che ci permette di comunicare il pensiero e interagire socialmente. Inoltre secondo la classica distinzione saussuriana (De Saussure, 1992) la lingua può essere vista distintamente come sistema sintattico di significanti-significati che esiste in forma astratta (langue) o come l'utilizzo pratico di tali strutture (parole). 2 Secondo l'ipotesi di Sapir-Whorf, le strutture di una lingua influenzano e determinano il modo di pensare degli individui . Franco Zappettini 2016 © Varani, N., De Boni, F. Geografia Interculturale McGraw Hill Lingua e identità sociale 2
FARLINGOTTO – Lingua nostra 76, 2015
1. Farlingotto è parola rara e desueta. La sua forma, poi, è piuttosto curiosa, ma molto più curiosa è la definizione che la segue stabilmente in lessicografia fin dall'inizio, ossia dalla terza impressione del vocabolario della Crusca (1691), da cui ricopiamo per intero l'articolo relativo: «FAR-LINGOTTO. Barbaro. Q u e g l i , c h e n e l p a r l a r e m e s c o l a , e c o n f o n d e v a r i e l i n g u e , s t o rp i a n d o l e . Lib. Son. Assolver la quistion de' farlingotti». L'esempio d'autore è ricavato da un sonetto di Luigi Pulci e, così com'è, circa il significato spiega davvero poco. La quarta Crusca (1729-1738) si limita ad aggiungere la traduzione nell'una e nell'altra lingua classica («Lat. barbare loquens. Gr. ὁ βαρβαρίζων»), quindi il tutto passa nei maggiori dizionari italiani dell'Ottocento, a parte proprio l'ultima Crusca, dove la voce viene cassata. I lessici più generosi danno invece anche una spiegazione etimologica, che fa sempre leva sul significato ed è comunque molto poco convincente: il Vocabolario universale italiano della Società Tramater (1829-1840) scrive «dal lat. varie variamente, e linguatus che i Latini barbari dissero per loquace»; il Dizionario della lingua italiana (1865-1879) di Tommaseo e Bellini, a firma del primo, dichiara invece: «Forse corrotto da parlare in gozzo, e Fare per Dire è forma viva». Va anche detto che il Nuovo dizionario piemontese-italiano di Giovanni Pasquali (Torino, 1870 2 , p. 164) aveva già proposto un «parlare o favellare in goto», da cui sarebbe venuto anche il piemontese farlingot, fërlingot «furbo, destro, ambidestro», con la supposta mediazione del valore di «linguaggio barbaro o furbesco».