Echi danteschi nel corpus di un suo (quasi) ignoto contemporaneo: il caso di Botrico da Reggio (original) (raw)
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Inviare i dattiloscritti e i volumi per recensione, omaggio o cambio a «Italianistica», presso Dipartimento di Studi Italianistici, Facoltà di Lingue, Via dei Mille 15, i 56126 Pisa, tel. e fax **39 050 553088 * «Italianistica» is a Peer-Reviewed Journal ECHI DANTESCHI (E STILNOVISTICI) NELLE RIME DI FAZIO DEGLI UBERTI Cristiano Lorenzi L'articolo analizza la presenza dantesca all'interno della produzione lirica del rimatore trecentesco Fazio degli Uberti. Attraverso un vasto catalogo delle reminiscenze, si cercano quindi di individuare le diverse modalità di reimpiego del materiale dantesco, tanto nei testi erotici, in cui prevalgono le citazioni letterali (specie delle rime 'petrose', più ancora che della Commedia), quanto in quelli di argomento religioso e politico, nei quali gli influssi (esclusivamente 'comici') sono evidenti soprattutto sul piano retorico e stilistico. Infine ampio spazio è dato anche alle riprese stilnovistiche operate da Fazio, poco studiate dalla critica: in particolare si evidenzia il ruolo decisivo di Cavalcanti e Cino da Pistoia per quanto concerne le scelte stilistiche e lessicali.
Echi danteschi nella poesia di Michalis Pieris
Dante e la Grecia Ο Δάντης και η Ελλάδα- ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE ΠΡΑΚΤΙΚΑ ΤΟΥ ΔΙΕΘΝΟΥΣ ΣΥΝΕΔΡΙΟΥ, ETPBooks, Sermonalia 02, 2021
Michalis Pierìs, nato a Cipro nel villaggio di Eftagonia nel 1957 (e scomparso improvvisamente il 3-11-2021), affianca la sua fervida attività scientifica e didattica - è professore di Letteratura neogreca all'Università di Cipro- e di mediazione culturale - come fondatore e organizzatore del Laboratorio teatrale dell'Università di Cipro-, con una ricca produzione poetica che, dalla sua prima raccolta del 1991, lo ha portato all'apice della sua sperimentazione creativa con Aφήγηση (Narrazione), del 2002. L’eredità dantesca, di cui Pieris si è occupato a livello critico-filologico nei suoi studi in relazione al poema cretese Erotokritos, alla Cronaca medievale di Leontios Machairas e, più recentemente, all’opera del poeta cipriota contemporaneo Galatopoulos, inevitabilmente si è trasfusa nella sua propria percezione poetica. La compatibilità delle intenzioni, a livello di ricerca creativa, si esprime soprattutto all’interno della dolorosa categoria esistenziale dell’esilio, inteso come lontananza forzata dalla patria fisica e spirituale. In questo saggio saranno presi in rassegna ed analizzati alcuni componimenti poetici di Michalis Pieris, in cui gli echi danteschi si manifestano come citazioni riflesse (suggestioni timbriche, ritmiche e stilistiche, come ad esempio l’impiego frequente di enjambement), o come citazioni testuali (presonaggi danteschi rivisitati, immagini che riprendono vita). La Narrazione (Αφήγηση), di cui ho curato la traduzione e l’edizione italiana (2018) è un poema d'amore: amore per la bellezza femminile, per la lingua, per la terra natale, amore per la vita, per il ricordo del tempo passato, per la libertà e la lealtà. La scelta del titolo è una scelta di tipo semantico, capace di ricondurre sotto una sola parola la multiforme natura delle tematiche e delle modalità espressive che s'incontrano nei versi. Il termine Αφήγηση è, dal punto di vista grammaticale, un sostantivo femminile con significato astratto, in contrapposizione ai sostantivi neutri, di stessa derivazione, terminanti in – μα, che esprimono significato concreto (es. πράξις / πράγμα, μάθησις/ μάθημα etc.). Indica la narrazione, il procedimento, l'atto del narrare, un'azione che perdura nel tempo, con un suo svolgimento interno in divenire, a differenza di αφήγημα, ossia il racconto, opera compiuta, tangibile nella sua interezza. Molti sono poi gli echi letterari che confermano le ragioni della scelta: le αφηγήσεις fanno parte della tradizione di un genere letterario che ha il suo modello nel racconto delle peregrinazioni di Odisseo, concetto che costituisce l'asse centrale della poetica di Pierìs. L'idea del titolo rimanda ad un testo in prosa di epoca medievale riguardante Cipro, la Cronaca di Leontios Machairàs “Εξήγηση της γλυκειάς χώρας Κύπρου” , in cui il termine Εξήγησις è sinonimo di Αφήγησις . «Racconto tutto. - dice Pierìs - Aφήγηση è l'epopoea di una memoria personale, ma, nello stesso tempo, almeno così sento, anche di una memoria collettiva. [...] Il narratore tenta di raccontare ciò che affiora dalla sua memoria, e contemporaneamente si crea una strana alchimia, poiché non affiora soltanto il vissuto personale, ma anche il vissuto di altre persona (ascoltato o letto); affiorano testi e paratesti, versi e frasi di poeti amati, ma anche di poeti con i quali vorrebbe scontrarsi. Così, a partire da un certo punto, ho avuto la sensazione di non raccontare, in questa raccolta, semplicemente la mia storia, bensì la storia del luogo da cui provengo e persino la storia della poesia in questo luogo. [...] E' un poema che mi ha costretto ad immergermi nel passato, facendomi sentire completamente indifeso, incapace di non parlare di cose che mi stavano a cuore e mi facevano soffrire (πονούσαν). Cose personali, ma anche pubbliche, fatti della mia epoca che accadono in questo poema così come li ho vissuti nella penombra del mito e della realtà. Veri a metà o per metà plasmati dalla mente, i fatti che accadono in questo poema o molte cose dette dagli eroi del poema erano anche per me inaudite, nel senso che erano rivelatrici per la mia consapevolezza, ma anche per ciò che definiamo (con il rischio di essere fraintesi) sentimento di patria. La più grande sofferenza in quest'avventura della parola scritta è stato scoprire che uno dei temi centrali della mia terra e della mia epoca è il tradimento. Tradimento di amici, tradimento del luogo, tradimento di compagni, tradimento d'amore. L'unica via d'uscita è il rapporto sensuale con la natura che ci circonda inebriante, gli amici del cuore con cui abbiamo gustato le prime gioie del piacere [...]» . Il poema, che sembra assumere vita propria ed una posizione dominante nei confronti di un uomo asservito, in totale balia della sua volontà, ‘costringe’ (υποχρεώνω) l'io del poeta ad una vera e propria ‘immersione’ (κατάδυση) nel mare sconfinato del passato. L'imperativo categorico dell'urgenza espressiva, in questa fase di approfondimento interiore, disarma ogni possibilità di reazione e rifiuto, tanto che il poeta si ritrova privato delle proprie capacità di difesa e di azione (ανυπεράσπιστος, ανήμπορος: non è casuale l'uso di due aggettivi composti con alpha privativo). Non rimane dunque altra scelta che quella di parlare di cose e fatti che πονούν, ossia che ‘fanno soffrire’ proprio perchè ci stanno così profondamente a cuore. Oggetto del poema, infatti, sono i ‘fatti privati e pubblici’ (πράγματα προσωπικά, αλλά και δημοσία) del nostro tempo, vissuti in prima persona in una dimensione nebulosa (αχλύς: termine antico, ‘caligine’, ‘fumo’, ‘oscurità’) che sta a metà fra il mito e la realtà. Si tratta, quindi, dell'esperienza di un uomo vissuto a tutto tondo, inteso al contempo nella sua dimensione di individuo e di membro appartenente ad una comunità, sensibile alla memoria personale e parte integrante di quella collettiva, ossia della Storia.
"Al suon de l'angelica tromba". Echi danteschi nei Giudizi universali del Beato Angelico
2023
in The Smiling Walls. Dante e le arti figurative, ed. by R. Arqués, S. Maddalo, L. Pasquini, Brepols, 2023, pp. 193-216 Nell’opera di Fra Giovanni da Fiesole, il Giudizio universale è secondo solo all’Annunciazione quale soggetto ricorrente e caratterizzante della sua pittura sacra. Se le Annunciazioni hanno fissato il canone iconografico per antonomasia del tema nell’arte occidentale, i Giudizi angelichiani, pur non potendo rivaleggiare con l’imponenza di versioni monumentali precedenti (Coppo di Marcovaldo, Giotto, Buffalmacco) e successive (Michelangelo), segnano nondimeno delle tappe di straordinario interesse ed intima coerenza nell’evoluzione del tema . Ben sei sono i Giudizi conservati dell’Angelico, assai differenziati tra loro per datazione, dimensioni e iconografia. Alla serie vanno aggiunti tre esemplari perduti, due ad affresco spettanti ai tardi anni romani, ed uno su tavola naufragato in mare nel XIX secolo .
Convinto che ci siano ancora molti modi di far «vivere» Dante, sulla soglia del Novecento d'Annunzio dedica a Francesca da Rimini la sua prima opera drammatica in versi, intendendo evocare lo spirito dantesco sul piano editoriale, con le monocromie scarlatte risaltanti sul nero; linguistico, in una intertestualità che coinvolge anche la prosa didascalica; ed ermeneutico, declinando la propria riformulazione in una moderna chiave malinconica. Convinced that there are still many ways of making Dante «live», d'Annunzio dedicates his first dramatic work in verse to Francesca da Rimini. He intended to evoke the spirit of Dante on an editorial level, with scarlet monochromes standing out on a black background; on a linguistic one, in the intertextuality that extends as far as the prose of the captions; and on a hermeneutic one, interpreting his reformulation in a modern melancholic key.
Echi nordici e fonti figurative nell'opera di Sinibaldo Scorza
La vicinanza dell'opera di Sinibaldo Scorza all'universo figurativo nordico, fiammingo in particolare, è stata sempre messa in luce dalla critica e già sul finire del Settecento l'abate Luigi Lanzi scriveva "Si stenterà in Italia a trovar pennello, che innesti sì bene il gusto fiammingo nel nostrale" 1 . I riferimenti culturali del suo naturalismo, la sua peculiare vocazione animalista e il respiro conferito al paesaggio anche nelle scene istoriate, preferibilmente a figure piccole, lo accomunano ai cosiddetti pittori di genere. Emblematica è anche la predilezione per dipinti di formato ridotto e la quasi totale estraneità alla tradizione italiana della pittura in grande e dell'affresco, a fronte invece del ricorso frequente a supporti come tavola, rame o pergamena, adatti a far risaltare i particolari di una pittura minuta, che si sofferma a indagare i dettagli, rivelando la sua attitudine da miniatore 2 . Prova esemplare è il Paesaggio con pastore e animali su rame, firmato, dell'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova (cat. I.13), dove il pittore di Voltaggio sembra quasi rendere un omaggio a Paul Bril, che nel 1626, dopo quarant'anni di successo trascorsi nell'Urbe, si spegne a Roma, proprio quando vi è anche Scorza 3 . Certamente anche prima del soggiorno romano Scorza deve essere entrato in contatto con opere del Bril, facilmente a Genova in casa di Gio. Carlo Doria 4 , che Scorza frequentava probabilmente già nei suoi primi anni genovesi. Anche nel grande formato, cui Scorza si dedica di rado, può risultare assolutamente frontaliero, come nel Gesù servito dagli angeli della Pinacoteca dei Cappuccini di Voltaggio (cat. I.17), dove sono presenti evidenti accenti oltramontani, nella costruzione della scena, nell'atteggiarsi delle figure, nell'indagine lenticolare della vegetazione, ma soprattutto nella doppia apertura a cannocchiale dello sfondo che digrada verso paesaggi azzurrati, soluzione che richiama i paesaggi eremitici divulgati dalle incisioni della prolifica dinastia dei Sadeler 5 . Nelle tangenze con la cultura nordica filtrata anche attraverso le stampe sembra ricordare il Cerano 6 , che Scorza sicuramente conosce, tanto da lasciar credere a Gio. Carlo Doria che una starna da lui effigiata fosse in realtà opera del lombardo, secondo un celebre aneddoto narrato dal Soprani 7 . L' episodio del Cerano contraffatto getta luce anche su un altro aspetto del rapporto di Scorza con le fonti figurative, ossia l'attitudine alla copia che ci tramanda già il biografo quando scrive "cominciò con tal diligenza a contrafar
«Chiaro apare»(?). Lessico dantesco e antica esegesi
Dantismi. L’eredità di Dante tra parole e musica, Atti del Convegno, Pavia-Cremona 24-26 novembre 2021, a cura di Giovanni Battista Boccardo, Davide Checchi, Mirko Volpi, Firenze, Cesati, 2023, pp. 47-68., 2023
L'antica esegesi non toscana alla Commedia di fronte al lessico dantesco: prime indagini e rilievi lessicografici.
VARIAZIONI SUL LIMBO DEI FANCIULLI Nel canto iv dell'Inferno, primo grande banco di prova dell'immaginario dantesco di fronte alla tradizione teologica e culturale del suo tempo, Dante deve sciogliere un nodo fondamentale: chi incontrerà nel corso del suo viaggio nei tre regni dell'oltretomba? Esiste la possibilità di uno spazio intermedio, di una terra di nessuno, tra la salvezza e la dannazione, tra la luce e le tenebre? La teologia cattolica, dai primi Padri della Chiesa fino alle riflessioni di san Tommaso d'Aquino e al Concilio di Lione , aveva già contemplato questa possibilità, ipotizzando l'esistenza del limbo. 1 Fermo restando il principio che ogni essere umano nasce con il peccato originale e che non c'è salvezza senza battesimo, si ammetteva comunque l'esistenza (all'interno dello stesso inferno, e dunque tra i dannati) di un luogo di sospensione (senza gioia e senza dolore) ove fossero destinati i bambini morti senza battesimo (o addirittura prima della nascita: il limbus puerorum, o limbo dei fanciulli). In altra sezione del limbo, contigua ma distinta, la tradizione biblica suggeriva che fossero già stati ospitati i patriarchi dell'Antico Testamento (il limbus patrum, o limbo dei Padri), fino al momento in cui Cristo, sceso agli inferi nel tempo intermedio tra la morte e la resurrezione, li aveva condotti tutti con sé in paradiso. Dopo il grandioso evento della discesa del « possente, / con segno di vittoria coronato » (Inf., iv 53-54), il limbo dei Padri avrebbe dovuto svuotarsi e divenire un grande ambulacro silente, mentre sarebbe rimasta, nell'altro limbo, solo l'immensa moltitudine dei bambini condannati alla pena del danno, alla privazione eterna del-la visione beatifica. Una condanna atroce, in un'immensa camera oscu-ra.