Anarchia migrante (original) (raw)

Sangue migrante

Franco Angeli, 2012

Questo libro è un'analisi antropologica della pratica della donazione del sangue in due comunità di immigrati marocchini a Torino. Nella prima parte del testo la riflessione socio-antropologica si sofferma sui concetti di donazione e di dono del sangue, quest'ultimo indagato come pratica culturale e sociale, oltre che medica. Nella seconda parte del volume invece l'attenzione è rivolta, attraverso il resoconto etnografico, al fenomeno migratorio in Italia e alle implicazioni positive del migrante, considerato anche come ricchezza e non solo come problema. Dalla ricerca etnografica, svolta a Torino e in diverse città del Marocco, emerge, in primo luogo, una concezione della donazione del sangue come insieme di valori e di pratiche condivise non obbligate ma volontarie e senza alcuna costrizione. Il dono del sangue da parte degli immigrati marocchini esprime un gesto di altruismo incondizionato e il desiderio di integrazione nella società d'accoglienza, a dimostrazione della fallacia di tutti gli stereotipi che designano "l'altro" in termini negativi. In secondo luogo, affiora il contrasto fra corpi immaginati-gli stereotipi del marocchino-musulmano-e corpi parlanti-degli immigrati donatori di sangue-, in una dialettica nella quale sono in gioco culture, idiomi, religioni e simbolismi diversi.

Amazzonia le maschere anarchiche

Amazonia, the Anarchist Masks, 2023

Mi sono imbattuto nell'arte cosiddetta Amazzonica, ovvero quell'insieme di oggetti creati dai nativi della zona delle grandi foreste pluviali cresciute attorno ai fiumi Orinoco, Rio delle Amazzoni e Paraná-Río de La Plata, in modo casuale e sorprendente. Grazie al caro amico Fernando Pujol ho potuto visitare un antico palazzo di Barcellona che ospita una collezione formidabile per ora poco conosciuta. In una ex Cappella privata in stile Art Noveaux ho trovato l'origine dell'arte di Picasso e della sua famiglia artistica. Segno potente, colore netto e suggestivo, forme antropozoomorfe immaginifiche, materiali essenziali usati con grande creatività e maestria. La mia natura complulsiva mi ha spinto ad approfondire e a ricercare manufatti disponibili sul mercato. Ho scoperto così che questi linguaggi dell'arte, per altro potenti e suggestivi come ad esempio quelli africani ed oceanici, sono decisamente meno appetiti dal mercato dei collezionisti. In sostanza sono difficili da trovare e non troppo costosi. L'ansia monetizzatrice dell'occidente non li ha (ancora) ritenuti così interessanti. E' curioso. mi pare che chi ama Picasso e i Surrealisti dovrebbe andare fuori di testa davanti a queste opere. Ho iniziato ad approfondire, e anche per questo aspetto la ricerca non è facile. I testi di riferimento non sono molti, pur essendo difficili dai trovare stranamente non costano le migliaia di euro chiesti per certi tomi di Arte Africana di sessanta anni fa.… Perché le opere delle culture Aparai, Bakairi, Piaroa, Wayana, (per fare qualche esempio…) risultano essere figlie di un Dio Minore? Ci sono certamente aspetti oggettivi: le opere sono essenzialmente realizzati in fibre naturali e quindi facilmente degradabili, è ancora più difficile definirne epoca e funzioni rispetto ad opere provenienti da altre culture extraeuropee, anche per la natura "selvaggia" delle culture che le hanno espresse, sembrano esserci meno livelli di mediazione culturale tra l'oggetto rituale e chi lo usa. Non credo si conoscano Società Segrete o organizzazioni similari preposte alla gestione dei diversi riti. Non pare esserci mediazione tra l'origine motivante del rito (vita, morte, caccia o raccolta) e chi lo pratica, ancorché in modo comunitario. Mi affascina pensare che quelle culture siano "anarchiche", nel senso più romantico che si possa dare a questa definizione. Almeno sotto il profilo rituale non sembrano esserci caste "sacerdotali" o similari che gestiscono il "business" del sovrannaturale con conseguenti profitti. La relazione con il Mistero della vita, presente in ogni aspetto della vita quotidiana a volte in modo drammatico considerando la natura selvaggia di quelli luoghi , sembra ricondotta alle singole coscienze, pur dentro una dimensione cultuale complessa e profonda che coinvolge l'intera comunità ma lascia alla azione del singolo l'individuazione e la costruzione degli strumenti necessari per affrontare e tentare di governare la complessità dell'esperienza della vita. Pare che le dinamiche cultuali siano simili a quelle anteriori alla rivoluzione neolitica che, come dice giustamente Jaques Attali, non ha inventato solo la ceramica, la tessitura, l'agricoltura ma anche gli eserciti, i preti, i "recinti "fisici e sociali….Maschere e oggetti d'uso provenienti da quelle culture associano alla formidabile potenza archetipica di segno, colore, materia, una altrettanto formidabile natura energetica primaria, determinata dal come e dal perché sono realizzate, e dal modo in cui vengono usate. E riemerge, potente ed impegnativa, l'origine dell'essere umano. E forse è questo il motivo della loro apparente marginalità.

Calabria migrante

Il convegno del 1980, il primo del genere in Calabria, sollecitava gli studiosi a riprendere la ricerca attraverso nuove attente indagini e severe riflessioni su altre problematiche dell'emigrazione calabrese per «sapere qualcosa di più se non altro» sulla storia sociale della Calabria.

Imprenditoria migrante

Articolo pubblicato in. "Baumeister dal Friuli. Costruttori e impresari edili migranti nell' Ottocento e primo Novecento, Udine, Graphiclinea 2005, pp. 115-134 Imprenditoria migrante. Costruttori e imprese edili friulane all'estero (1860-1915) di Matteo Ermacora 1.L'epoca dei grandi lavori L'emigrazione temporanea dall'arco alpino fu stimolata dall'intensificarsi dell'attività edile e dai processi di industrializzazione nell'Europa continentale. A partire dagli anni Trenta dell'Ottocento molte città conobbero una forte espansione urbanistica, mentre nella seconda metà del secolo fu dato avvio ad un'ampia campagna di lavori infrastrutturali che trasformò il paesaggio europeo 1 . Nel 1904 Guido Chiap affermava che non c'era forse grande opera edilizia alla quale non avesse portato un «largo contributo» la manodopera italiana; tra le opere realizzate si potevano annoverare il parlamento e la metropolitana di Berlino, il palazzo di giustizia di Lipsia, le biblioteche, i musei, i teatri, i nuovi quartieri di Vienna, Innsbruck, Klagenfurt, Lubiana, Graz, Salisburgo, Zagabria, Budapest, Bucarest. Non mancavano inoltre opere colossali quali i trafori della rete ferroviaria transalpina, manufatti in cui si distinse Giacomo Ceconi di Montececon, o i lavori legati al governo delle acque, tra i quali il grande acquedotto di Sammering che forniva Vienna di acqua potabile e i canali e le arginature sul Danubio presso St.Pölten, opere realizzate dalla ditta Baviera-Pezzutti di Vigonovo di Pordenone 2 .

Informazioni anarchiche

Il circolo di via Scaldasole Incontri Riflessione sull'antispecismo Anniversari La resistenza libertaria al bolscevismo Arte Pino Pinelli visto da Francesco Arena

La detenzione della 'pericolosità migrante'

in "Materiali per una storia della cultura giuridica moderna", XLVII, 2, 2017, pp. 515-531

The paper argues that immigration detention has been turned into a quick sur-rogate of criminal policies that the police may use for the purpose of managing the 'dangerous' populations in the urban space, with the purpose of producing a (more ideal than real) ordered and secure public space. Dangerousness and risk have recently become core concepts in the Italian immigration law with regards to detention and deportation. We found that the police and judges of the Peace abuse the rhetoric of dangerousness and risk in a way that is altering the very nature of immigration detention and its declared functions. Drawing from about 400 removal decrees and detention orders collected in Bari and Bologna, the paper argues that immigration detention in Italy is a dispositif for selecting and containing what we might name as a specific 'dangerous mobility', rather than for removing irregular immigration tout court. We will focus on how a specific 'rhetoric of dangerousness' is constructed and used by the police and judges in decisions to detain migrants.

Il migrante nelle narrazioni quotidiane

I fenomeni d'immigrazione tendono ad essere letti come stati d'eccezione, di cui vanno narrati i momenti più eclatanti e i cui unici protagonisti sono esclusivamente i migranti stessi; lungi dal voler negare l'importanza di una simile attenzione su chi si mette in movimento, ritengo però necessario mettere in luce le reazioni da parte degli abitanti dei territori dove i migranti arrivano. Lasciare questa riflessione nelle mani di agende politiche che cercano di cristallizzare il discorso sui temi della difesa identitaria sembra infatti rischioso. Per queste ragioni ritengo sia invece fondamentale riappropriarsi di queste narrazioni, decostruirle e proporne di nuove. Presenterò quindi i risultati di una ricerca etnografica compiuta all'interno del III municipio di Roma, dove ho lavorato sull'utilizzo dei social network, cercando di vedere in che modalità si sviluppassero all'interno di questi habitat discorsi riguardanti il territorio e la sua gestione. Buona parte di questi discorsi convergono infatti in maniera conflittuale sulla figura dello straniero, la cui rappresentazione avviene attraverso una pedissequa narrazione degli effetti provocati dal suo arrivo. Attorno a questi resoconti si formano discussioni che pongono nuovi confini su come sia l'Altro, costruendo due principali stereotipi: l'Altro come colpevole del degrado urbano o l'altro come disposto a integrarsi sacrificandosi per il "nostro" territorio. Osservare questa dinamica risulta fondamentale per instaurare con gli abitanti una decostruzione condivisa di questi stereotipi e una costruzione di nuovi modelli di convivenza.