La modernità dei gesuiti nel Cristianesimo felice del Muratori (original) (raw)
avvio da un aneddoto della vita dello studioso canadese. Me l'ha raccontato il figlio Eric e credo sia anche riportato in almeno una delle biografie in circolazione. 1 Intorno alla fine degli anni Quaranta, con un dottorato alle spalle conseguito a Cambridge (con una tesi sul rinascimento inglese, The Place of Thomas Nashe in the Learning of His Time), 2 in una delle sue prime esperienze d'insegnamento, dinanzi a una classe di studenti svogliati e distratti, McLuhan ebbe una delle sue leggendarie illuminazioni. Si rese conto, d'un tratto, che all'origine della mancanza di interesse degli studenti c'era un grosso problema di comunicazione: quei giovani davanti a lui appartenevano a un'altra cultura, con diversi interessi e priorità, parlavano addirittura un'altra lingua, nascosta, e non svelata, dal loro gergo goliardico. Si dirà che poteva ben trattarsi del ben noto "gap generazionale", e sarà pur venuto in mente a McLuhan che a ciò fosse da imputare la distanza culturale che egli avvertiva fra sé e i suoi passivi interlocutori. Certo è che egli cominciò proprio da lì a riflettere sulla cultura contemporanea e sulla sua origine. Il "gap" prese allora, di subito, la dimensione di uno spartiacque di carattere epocale. McLuhan riconobbe in sé l'erede di una tradizione culturale "moderna", fondata sulla autorità tipografica, ovvero su un sistema di razionalizzazione lineare della realtà, su una storiografia selettiva, verticale, cronologica, su uno spirito specialistico e progressista a oltranza: una cultura cosmopolita nell'apparenza e nelle ambizioni, ma in sostanza rigorosamente eurocentrica (e non sarà un caso, a proposito di quest'ultimo attributo, che come il suo connazionale e coetaneo, Northrop Frye, egli completasse gli studi in Inghilterra mirando a un posto