Lavinia musicista, Artemisia pittrice, Agnese scrittrice: il femminismo inclinato di Anna Banti, in «Sinestesieonline», IV, 13, ottobre 2015, pp. 1-12. ‒ ISSN 2280-6849 (original) (raw)
Capisci, bisogna avere uno stile; guai, noialtre donne, a lasciarsi andare alla banalità (Anna Banti, Vocazioni indistinte) Aprire la monografia Lorenzo Lotto di Anna Banti significa urtare la profezia. Il lettore avveduto vi trova dipinti episodi biografici e analisi di lasciti artistici di questo pittore veneziano del Cinquecento e, in controluce, il destino della scrittura della stessa Banti: È difficile discriminare se più nuoccia alla fama di un artista essere dimenticato che mal conosciuto: e vien voglia di decidere che se un grande spirito potesse scegliere, preferirebbe il silenzio alle mezze parole. Le mezze parole della critica e della storia significano spesso che quel tale artista non ha ancor trovato, né in vita né in morte, il tempo che si adegui al mondo delle sue immaginazioni, della sua lingua; e che gli è toccato, per esprimersi, venire a compromessi coll'età sua, farsi capire un po' alla muta, in parte concedendo troppo, in parte troppo azzardando, e qualche volta tradendo se stesso: sacrifizio di cui nessuno gli sarà grato perché l'avrà compiuto così di malanimo da ingenerare, anche negli altri, freddezza e diffidenza. Tanto più dura, questa sorte, quando a un tale artista tocchino compagni e coetanei di eccelsa statura, anche se non superiore alla sua, ma di qualità che meglio rispondono a quel che il secolo richiedeva: attestazioni di forza, lucidezza, armonia supreme: insomma celebrazioni. Il meglio che gli potrà capitare sarà d'esser valutato un minore, un poco strambo: tenuto quasi in quarantena finché non arrivi il tempo ch'era fatto per lui. 2 Lavinia musicista, Artemisia pittrice, Agnese scrittrice: il femminismo inclinato di Anna Banti 2 massa mortale, corteggia la morte dell'inchiostro facile. La sua è una prosa onerosa che attraversa sentieri alti ed esigenti, sicuramente non praticabili dalla «palude bastarda dell'italiano letterario in corso». 5 Complessa, preziosa, a tratti ermetica, essa reclama un pubblico intellettualmente e umanamente attrezzato. Siamo lontani dal cardarellismo, dal dannunzianesimo, da tutta quella letteratura che spadroneggia attorno al '30 e che, sotto ricercatezze e infiorettature, nasconde il vuoto: ad essere coricata sulla pagina è un'eleganza fuori dal tempo, profonda perché «fissa precisamente il tono storico». 6 Tutto ciò che è degno di essere raccontato non valica il confine della memoria e dell'intimità, del passato che inevitabilmente disturba l'oggi per la definizione di un'identità chiara. La più acuta e violenta espressione narrativa dipende da questa decisione di scrivere null'altro che il vissuto, il documentato, il catalogato, l'archiviato, il giudicato. Poi, su tanta insufficiente dovizia di informazioni («Presente e passato sono un istante da catturare e stringere come una lucciola nella mano. Non ci riesce chi vuole») 7 far agire pennellate di immaginazione che servano a ritrarre psicologie, annodare destini, produrre il vero romanzo. Ecco allora che, se a un modello bisogna aggrapparsi, la Banti, voltandosi indietro, sceglie l'Ottocento e punta su Manzoni, sulla risoluzione del verosimile come «"un vero… veduto dalla mente per sempre"». 8 Il risultato è una sorta di storicismo magico che dosa filologia ed emotività con un controllo tale da generare prospettive di necessaria interrogazione contenutistica. Una letteratura pesata e isolata, non più sacrificata ad accademiche esibizioni di bravura bensì impegnata a tinteggiare la realtà che l'autrice sente come la più familiare e irrisolta (ma anche come quella che, conferendo un certo carattere meccanico al suo raccontare, deve averle probabilmente procurato indifferenza da parte del pubblico contemporaneo): essere donna. Che la condizione femminile (di ieri e di oggi) sia tema ostinato nell'opera della Banti è un dato che neppure lo studioso più disorientato penserebbe di mettere in discussione. Già dai titoli è manifesto l'interesse per il difficile universo cui la scrittrice appartiene: Itinerario di Paolina, Il coraggio delle donne, Le monache cantano, Artemisia, Le donne muoiono, ecc. E le definizioni cucite sulle protagoniste femminili, che trascinano nei nomi l'ingombro della storia o la leggerezza dell'invenzione (Felicina, Lavinia, Ofelia, Marguerite Louise, ecc.), raccontano, senza schermi, l'appiattimento del loro sesso: «oscure ed effimere come farfalle notturne», 9 «eterne proletarie», 10 «donne indignate e superbe». 11 Eppure, nulla offende il fraseggio decentrato della Banti quanto l'etichetta di femminista, come stigmatizza la sua ultima intervista: