Enigmi della conoscenza matematica (original) (raw)

volte si dice che la matematica è la regina delle scienze: lo ha affermato per primo Carl Friedrich Gauss, matematico tedesco di qualche secolo fa, e ancora oggi lo si sente ripetere. Ma la matematica dev'essere una regina piuttosto singolare, perché il suo dominio si estende su oggetti assolutamente inosservabili. Le altre scienze, la cosmologia, la fisica, la biologia… hanno tutte oggetti di studio concretamente identificabili (studiano l'Universo, i fenomeni naturali, gli organismi viventi…). Invece la matematica, che di queste scienze dovrebbe essere la regina, si occupa di numeri, insiemi e funzioni, cioè di oggetti che non sapremmo trovare da nessuna parte e che sono materialmente inafferrabili. Eppure siamo abituati a pensare che la matematica sia fonte di indubitabili certezze. Saremmo portati a dubitare più delle impressioni dei nostri sensi o delle leggi della fisica che dei teoremi della matematica. La storia della scienza ci insegna che le leggi fisiche sono provvisorie, che possono essere confutate e sostituite da teorie nuove e migliori. Le verità matematiche invece ci sembrano eterne. Il teorema sull'infinità dei numeri primi, dimostrato da Euclide più di duemila anni fa, resta ancora immutabile davanti a noi. Da dove deriva questa permanente certezza? Come possiamo pensare di conoscere la verità delle teorie matematiche, se non sappiamo nemmeno specificare la natura degli oggetti su cui vertono? A questo rompicapo filosofico c'è una risposta antichissima data da Platone, ma che nessuno oggi si sentirebbe di condividere in toto. Secondo Platone gli oggetti dell'aritmetica e della geometria avrebbero una loro esistenza autonoma, in un mondo di forme e idee astratte, situate al di fuori dello spazio, del tempo e anche dell'influenza umana. L'uomo può comunque riconoscere le proprietà degli enti matematici perché la sua anima, ancora prima della nascita, era stata nell'Iperuranio a contatto con queste forme ideali. Nel Menone, un dialogo platonico di confine fra il periodo giovanile e la maturità, Socrate interroga un servo incolto su un problema di geometria. Supponiamo di avere un quadrato con un certo lato e una certa area e di voler disegnare un secondo quadrato che abbia area doppia del precedente: come dovrò prendere il suo lato? La prima idea del servo è di rispondere che anche il lato deve diventare doppio; ma poi, opportunamente guidato dalle domande di Socrate, riesce a riconoscere il proprio errore (se il lato raddoppia, l'area del quadrato non diventa doppia ma quadrupla) e pervenire poi alla risposta corretta: il quadrato di area doppia è quello costruito sulla diagonale del quadrato di partenza (Figura 1). Da dove proviene -argomenta il filosofo -questa capacita del servo, del tutto privo di preparazione matematica, di individuare la giusta soluzione? dal fatto che nella sua mente riaffiora quanto appreso in una esistenza precedente e perché tutto il nostro sapere è ricordare. È abbastanza ovvio che oggi risulta difficile condividere questa antica teoria della reminiscenza, ma anche ora molti studiosi continuano a pensare, come Platone, che gli enti matematici abbiano una loro esistenza autonoma e indipendente dalla mente umana che indaga su di essi. I matematici di professione, e talvolta anche gli studenti, sono accomunati dall'impressione, palese o inconscia, di avere a che fare, studiando la matematica, con qualcosa che ci trascende e che non dipende dalla nostra volontà e dalle nostre capacità di indagine. Secondo Bertrand Russell, matematico, filosofo e premio Nobel per la letteratura nel 1950, l'attività matematica assomiglia a un viaggio di scoperta e di esplorazione di un continente sconosciuto: "L'aritmetica va scoperta -scrivevaproprio nello stesso senso in cui Colombo scoprì le Indie occidentali e noi non creiamo i numeri più di quanto egli abbia creato gli Indiani". E tuttavia i numeri, a differenza degli Indiani d'America, sono sicuramente inosservabili; perciò il platonismo moderno, se non vuole più ricorrere alla teoria della reminiscenza, ha bisogno di specificare quale sia la facoltà che ci permette di riconoscere le loro proprietà. Se la matematica forma un universo indipendente e parallelo, che però non è un universo fisico, deve esserci qualche facoltà speciale che ci permette di accedere a questo mondo e di studiarlo. Per Russell la fonte della verità matematica è dello stesso tipo di quella che ci assicura la conoscenza delle leggi della logica. Altri matematici invece ritengono che la loro attività non sia di natura esclusivamente logica ma che ci sia un'intuizione previlegiata in grado di rivelarci le verità matematiche. Tuttavia questa intuizione matematica sembra qualcosa di soggettivo, indefinibile e anche abbastanza inaffidabile. A volte, quelle che ci sembrano le intuizioni più sicure si rivelano ingannevoli e scopriamo che quello che sembrava ovvio è falso, mentre quello che sembra incredibile è vero. Dunque la concezione platonista degli enti matematici appare poco soddisfacente, soprattutto perché non riesce a specificare il modo in cui possiamo interagire con essi. Sembrerebbe più ragionevole pensare che i numeri e gli altri enti matematici siano una nostra costruzione, che non rinvia ad un mondo astratto diverso dal nostro. Da questo punto di vista la matematica è qualcosa che non si scopre ma si crea e che esiste solo perché esistono i matematici. Quest'idea sembra più vicina al buon senso di quanto non lo sia la posizione platonista e anche presentare meno problemi conoscitivi: se siamo noi a creare gli enti matematici, diventa più naturale pensare di riconoscerne le proprietà. Ma anche la concezione costruttivista va incontro a molte difficoltà e non sembra in grado di risolvere il puzzle della conoscenza matematica. In primo luogo si può osservare che i matematici di qualsiasi latitudine, di qualsiasi cultura e tradizione, pervengono tutti agli stessi risultati. Se la matematica fosse interamente un'invenzione umana, ci potremmo aspettare significative differenze nel suo ambito. La letteratura e l'arte recano l'impronta della società e della cultura in cui sono immerse. Invece la matematica è universale e non sembra dipendere dalle culture particolari. Ma soprattutto la concezione costruttivista deve fare i conti con l'efficacia della matematica nella descrizione della natura: la matematica, infatti, non è solo pensiero puro ma viene anche impiegata nella nostra rappresentazione del mondo fisico. Lo studente di liceo che ha studiato la legge di caduta dei gravi riesce a calcolare, in due passaggi, il tempo impiegato da un oggetto a cadere da una certa altezza e la velocità con cui arriva al suolo. Siamo talmente abituati al fatto che possiamo predire il corso dei fenomeni naturali con qualche calcolo a penna che lo diamo per scontato e non ne siamo più stupiti. Ma è un fatto straordinario che le formule matematiche riescano a descrivere con una tale efficacia la realtà del mondo. Galileo aveva affermato che questo è possibile perché il gran libro dell'Universo è scritto in lingua matematica e anche dopo Galileo molti scienziati hanno continuato a pensarla allo stesso modo. James Jeans, astronomo britannico del secolo scorso, osservava che "il grande Architetto dell'Universo ci appare ormai come un matematico puro". Anche Joseph Ratzinger, in un discorso tenuto a Verona nell'ottobre 2006, è intervenuto sull'argomento: "La matematica come tale -disse alloraè una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell'universo, che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l'universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un'unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell'una e dell'altra". Sono argomentazioni che anche molti uomini di scienza potrebbero condividere. Altri invece sarebbero in disaccordo ritenendo che il ruolo della matematica non debba essere enfatizzato. Dal loro punto di vista non dobbiamo pensare che la matematica sia un attributo della mente divina e nemmeno che sia il fondamento della struttura del mondo. Infatti le teorie matematiche, quando si applicano alla realtà, non hanno lo stesso grado di certezza che avevano allo stato puro e riescono a riflettere la struttura del mondo fisico solo in modo approssimato (tanto è vero che a volte vengono sostituite da teorie migliori, più generali o più precise). Inoltre questa applicabilità dei modelli matematici alla realtà fisica non ha nulla di miracoloso; dipende semplicemente dal fatto che noi li creiamo proprio a questo scopo. Si tratta di argomentazioni certamente molto ragionevoli. E tuttavia questa concezione minimalista non sembra cogliere del tutto il ruolo della matematica nel processo della conoscenza. Nella storia della scienza ci sono stati diversi casi di teorie matematiche elaborate molto prima delle loro applicazioni al mondo fisico, da matematici puri il cui scopo non era quello di applicarle al mondo. Gli stessi scienziati rimangono stupiti di fronte al fatto sorprendente che a volte certe teorie matematiche, create indipendentemente, riescono ad anticipare la scoperta fisica. Einstein formulò la teoria della relatività trovando già pronta la geometria di Riemann, una teoria creata assai prima e che dallo stesso Riemann era stata considerata come una pura possibilità logica. Dunque le teorie matematiche hanno possibilità di applicazione impreviste, che vanno oltre le intenzioni per cui sono create, e spesso sono proprie queste applicazioni inattese che si rivelano cruciali. Questa inesauribile applicabilità al mondo fisico, se non vogliamo ricorrere ad argomentazioni di tipo teologico né credere ai miracoli, può...