In margine alla trasmissione e ricezione della musica di Carlo Donato Cossoni. – In: Davide Daolmi (ed.), Carlo Donato Cossoni nella Milano spagnola (conference proceedings: Como 2004). Lucca: LIM, 2007, pp. 83-102 (original) (raw)
Related papers
La carta e la tela. Arti e commento in Giorgio Bassani, a cura di Flavia Erbosi e Gaia Litrico, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2020
Questo saggio indaga la presenza della musica nel corpus narrativo di Giorgio Bassani. Partendo dalla formazione e frequentazioni musicali dello scrittore, la trattazione presenta le citazioni musicali (Bach, Rossini, Verdi, Wagner, fino alla musica jazz e alla musica ebraica ferrarese) analizzandone la funzione nella narrativa bassaniana. Uno studio che, oltre a risponde alle esigenze della filologia d’autore, evidenzia elementi significativi per una lettura sociologica e documentaristica della musica. ____________________________________________ This essay investigates the presence of music in Giorgio Bassani's narrative corpus. Starting from the writer's musical background and acquaintances, the research introduces some musical quotations (Bach, Rossini, Verdi, Wagner, jazz and Jewish Ferrara’s music), analyzing their function in Bassani’s fiction. This study, in addition to responding to the needs of author philology, highlights significant elements for a sociological and documentary analysis of music.
La carta e la tela. Arti e commento in Giorgio Bassani, a cura di Flavia Erbosi e Gaia Litrico Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2020
Intervista a Paola Bassani relativa al rapporto tra Giorgio Bassani e la musica: formazione giovanile, abitudini, gusti, aneddoti e frequentazioni. ___________________________________ Interview with Paola Bassani about the relationship between Giorgio Bassani and music: youth training, habits, tastes, anecdotes and acquaintances.
See: Luigi Collarile, Legrenzi sacro. Intorno ad alcuni manoscritti dimenticati. – Studi Musicali (forthcoming) La produzione musicale sacra di Giovanni Legrenzi conosce un'importante circolazione in Francia già prima della morte del compositore o negli anni subito successivi. Esistono infatti diverse fonti manoscritte francesi redatte tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento che, accanto a opere descritte da raccolte a stampa (in particolare dall'op. 6), contengono una serie di composizioni inedite, che testimoniano dell'importanza dei canali con i quali questa produzione abbia attraversato le Alpi. Principale interesse di questo intervento è innanzitutto quello di presentare questo nucleo di manoscritti, alcuni dei quali del tutto sconosciuti alla letteratura specifica legrenziana, mettendo in luce alcuni aspetti del contesto nel quale sono stati redatti. Emergono così le trame di una ricezione complessa, che coinvolge diversi personaggi orbitanti nella sfera della cappella reale, in particolare André Danican Philidor e Sébastien de Brossard. L'importanza di queste fonti è però legata soprattutto al repertorio che trasmettono, in grado di mettere in luce una parte ancora inedita dell'attività compositiva di Legrenzi, riconducibile con ogni probabilità al periodo veneziano del compositore.
Tra il 25 e il 26 novembre del 1945, la poetessa russa Anna Achmàtova riceve in visita, nel suo appartamento di Fontannij Dom a Leningrado, lo scrittore di origine russa, allora diplomatico inglese, Isaiah Berlin. Restano insieme fino all’aurora, forse si amano, di certo si comprendono, e poiché il desiderio combatte sempre una lotta invisibile contro il tempo, la cosa non passò sotto silenzio. Sùbito controllata dal Kgb e censurata pubblicamente da Ždanov, iniziano per Achmàtova anni di sofferenza e privazioni. Il ricordo posteriore della notte con Berlin, che nei suoi versi chiamerà l’«Ospite dal futuro», assume le linee di un incontro mistico che avviene sulle note di una Ciaccona di J. S. Bach. La musica di Bach è invocata contro il terrore politico della contrapposizione ideologica e culturale: il programma di lì a pochissimo della guerra fredda. Nel segno della musica di Bach è propiziato l’incontro con l’Altro, assicurato il dialogo con l’ospite e raccolto il dono del futuro. In quegli stessi anni, dall’altra sponda dell’Occidente, a partire dal 27 dicembre 1942 la danzatrice e coreografa americana Doris Humphrey presenta un all-Bach Program allo Studio Theater di New York City, da cui seguì una vera e propria querelle con il critico del «New York Times», John Martin, sulla legittimità dell’uso di certe forme della musica del passato per concerti di danza moderna. Il disaccordo tra Humphrey e Martin investe direttamente l’idea che ciò che viene considerato, tra le opere del passato, un classico, possa dare, attraverso le forme del nuovo, nuovi significati alle epoche più diverse. Un disaccordo anche politico, nell’idea che il presente possa aver bisogno di una memoria capace di mostrare, perfino nella sua esemplarità formale, che la coreografia secondo Humphrey può e deve finalmente interpretare, una via di resistenza alla barbarie. Così come per Achmàtova, l’inedita consapevolezza della composizione coreografica di Humphrey, nell’ospitalità per entrambe della musica di Bach, si rinnova l’idea del futuro come dono contro il gelo del presente.