Originale in italiano del testo inglese: E. Venturelli, The sgraffito work of Carlo Loretz in Northern Italy, in The Della Robbia Pottery. From Renaissance to Regent Street, edited by Julie Sheldon, Liverpool University Press, Liverpool, 2015, pp. 41-54. Esposizione dal 18.06 al 4.09.2016. (original) (raw)
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U n collezionista è spesso apprezzato per l'intuizione che lo spinge ad acquistare manufatti pregevoli quando sono ancora facilmente reperibili e poco costosi. La sua, per certi versi, è una scommessa sulla direzione che prenderà la cultura negli anni a venire; un azzardo che in seguito potrà riservare all'appassionato d'arte un doppio riconoscimento, intellettuale ed economico. A fronte però di numerosi casi in cui il collezionista gode in vita dell'esito felice della sua scommessa, in molti altri il riconoscimento sopraggiunge più tardi del previsto, quando, magari, la raccolta si è ormai dissolta nelle mani degli eredi. Ma può anche capitare che il riconoscimento intellettuale preceda di anni quello economico, che divenga cioè chiaro a tutti il valore storico e culturale della collezione, mentre le quotazioni dei manufatti, pur apprezzati, rimangono basse e deludenti. Quest'ultimo è il caso della collezione di ceramiche graffite di Carlo Loretz: una ragguardevole raccolta costituita soprattutto da frammenti di scavo, in gran parte rinvenuti tra Lombardia e Veneto negli ultimi tre decenni dell'Ottocento. Per quasi trent'anni Carlo Loretz raccolse e studiò tali reperti pressoché in solitudine e in controtendenza rispetto agli interessi del tempo. Solo al volgere del secolo la collezione cominciò ad attirare l'attenzione degli esperti; come si vedrà, fu premiata all'Esposizione di Lodi del 1901, e ne venne raccomandato l'acquisto ai musei. Tuttavia, il figlio, Giano Loretz, riuscì a cedere la collezione paterna al Museo Municipale del Castello Sforzesco solo nel 1917, dopo ben quattro tentativi di vendita andati a vuoto e un intero quindicennio speso a convincere commissioni e direttori del valore di quei manufatti. Carlo Loretz (1) , pittore lodigiano ma residente a Milano, cominciò a collezionare frammenti di ceramiche tra il 1871 e il 1872, mentre era al lavoro nella sua città d'origine, incaricato di decorare le dimore di alcune figure di spicco della società lodigiana. Uno dei committenti era Antonio Dossena (2) , proprietario della maggiore fab-
Uno dei documenti più noti nella storia della maiolica italiana è conservato a Roma nell'Archivio storico capitolino. Fu pubblicato per la prima volta da Antonino Bertolotti nel 1881 e poi ripreso pressoché in ogni libro degli anni successivi come testimone della diffusione del gusto per la maiolica istoriata ( 1 . Si tratta della ricevuta di un pagamento datata «in Roma […] 27 gennaro 1550» probabilmente autografa del vasaio Luca da Urbino che dichiara di aver avuto 20 scudi per una «credenza di vasi hystoriati di terra» commissionatagli dal cardinale Lenoncourt. Fino ad oggi sono noti due soli pezzi di maiolica istoriata riferibile stilisticamente agli anni '40/'50 del Cinquecento segnati con le armi di Robert de Lenoncourt (d'argento alla croce dentata di rosso) cardinale dal 1538 fino al 1561, anno della sua morte (fig. 2): una fiasca decorata con storie d'Europa, a Londra nel Victoria & Albert Museum già collezione Fountaine 2 (figg , e un piatto in passato nella collezione Paul Dean poi Pannwitz, con scena di storia biblica, di cui si erano perse le tracce per oltre un secolo fino alla ricomparsa sul mercato antiquario nel novembre 2016 3 (figg. 5-6). Entrambi sono decorati con uno stile individuale e distintivo dal medesimo vasaio, cioè quel «Luca vasar da Urbino» che ci ha lasciato dettagliata ricevuta autografa proprio di questo suo lavoro. I caratteri principali della pittura di Luca sono evidenti anche ad un'analisi sommaria: in generale egli costruisce le scene secondo una corretta e puntuale successione dei piani prospettici, disponendo le figure in ordine regolare rispetto agli assi principali delle superfici da decorare. I concitati gesti di molti personaggi conferiscono una singolare tensione alla scena, ricorrente in ogni sua opera. Nel particolare ricorrono i profili dalla fronte alta e sfuggente, le folte capigliature e barbe degli uomini puntualmente dipinte ciocca per ciocca, le complesse pettinature femminili con trecce legate da nastri ai lati del capo, e quel vezzo del dito indice alzato quasi a rappresentare il segno di paternità dell'autore.
Carlo Crivelli. Le relazioni meravigliose, Silvana editoriale, Genova , 2022
L’intervento di restauro della Madonna con il Bambino di Palazzo Buonaccorsi effettuato in occasione della mostra Carlo Crivelli Le relazioni meravigliose, ha portato a importanti e sorprendenti risultati Il team di restauro insieme alle curatrici sono infatti giunti ad affermare che la Madonna Buonaccorsi sia stata inequivocabilmente dipinta su tela e non su tavola, come fino a ora creduto Questa nuova definizione fa dell’opera l’unico esempio di dipinto su tela conosciuto del pittore veneziano e, come spesso succede con le scoperte, impone una revisione di equilibri e informazioni fino a oggi dati per certe, oltre a porre nuovi quesiti e nuove sfide di ricerca
Studi sul Settecento Romano. Aspetti dell’arte del disegno: autori e collezionisti II, 2022
La storica sacrestia di San Giovanni dei Fiorentini era collocata all’interno dell’edificio dell’Ospedale, alla destra della basilica, demolito nel 1937. Attraverso alcuni disegni della Collezione Lanciani e del Cooper Hewitt Museum, si può ricostruire l’architettura dell’ambiente, opera di Giuseppe Palazzi, e la decorazione realizzata da Matteo Orta. La documentazione presente nell’archivio dell’Arciconfraternita dei Fiorentini permette di seguire le diverse fasi della costruzione (tra il 1792 e il 1795), dalla scelta del sito, alle modifiche apportate alla decorazione pittorica, sino alla realizzazione degli arredi lignei. Analizzando il progetto di Palazzi, anche sulla base di confronti con altre sacrestie sei e settecentesche, si può osservare come la necessaria funzionalità delle armadiature sia stata coniugata con istanze di rappresentatività e monumentalità, attraverso l’uso di un linguaggio sintetico e semplificato e con uno stretto dialogo tra la struttura architettonica della sala e la conformazione dell’arredo.
Carlo Loretz junior era ancora bambino quando il padre Giovanni detto Giano morì improvvisamente, non ebbe quindi modo di apprendere da lui l'arte della ceramica 1 . Al contrario, Giano Loretz (Milano, 1869 aveva goduto appieno di tale opportunità, che gli aveva permesso di crescere nella bottega del padre, Carlo Loretz senior (Lodi 1841 -Milano 1903) 2 , e di diventare a tutti gli effetti suo allievo; lui stesso, del resto, si definì in tal modo quando scrisse di aver appreso a Lodi, nello studio paterno, la decorazione e l'arte ceramica 3 .
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