LAVORI IN CORSO NEL CANTIERE DI SANTA MARIA DEI GHIRLI (1570-1727 (original) (raw)

SERVITU' FEUDALI DELLA BARONIA DI COLLALTO NEL 1646.

Nella complessa società feudale la vita sociale degli antichi regimi ed i diritti di proprietà erano stati regolamentati per lungo tempo dalle consuetudini: diversificate a seconda dei vari regni, vennero codificate in una importante collezione da alcuni giuristi milanesi, assieme a quelle che concesse l'imperatore Corrado II detto il Salico (990 c.-1039), durante l'assedio di Milano del 1037, nel famoso Edictus de beneficiis (o Constitutio de feudis) riguardanti il riconoscimento dell'ereditarietà anche ai feudi minori, il servizio militare ed altri doveri dei feudatari verso il sovrano. Con lo sviluppo della vita comunale e la creazione delle corporazioni civili in diverse zone del nostro Paese, viene messo in crisi il vecchio sistema feudale, ma molte di quelle antiche consuetudini sopravviveranno sino al termine del XIX secolo. Tra queste troviamo i diritti che il baronaggio si era attribuito sulle persone; l'impiego di mano d'opera gratuita sia nella manutenzione stradale che nelle costruzioni sull'intero territorio baronale, la somministrazione gratuita di animali per trasporto e coltura, la riscossione delle rendite spettanti al barone, i servizi domestici nella sua corte, il servizio militare e il servizio postale. Fortunatamente l'antico jus primae noctis -sull'esistenza del quale sono molto discordi gli storici moderni -si era trasformato in un tributo in denaro. La nascita dei Comuni soprattutto in Italia ed in Francia fu fondamentale per il raggiungimento delle libertà civili ed il primo passo per il superamento definitivo dell'intero sistema feudale (1). In Sabina, nell'antica baronia di origine imperiale di Collalto, diverse di queste angherie e perangherie le troviamo, ad esempio, a partire dall'omaggio vassallatico, di origine carolingia, che si rinnovava ad ogni investitura ereditaria e che vediamo riproporsi di sovente anche nei documenti ufficiali -ovviamente per interposta persona e attraverso forme meno celebrative ed enfatizzanti. Ad ogni nuovo possessore del feudo venivano tributati il ligium tributum, il juramentum vassallaticum e l'assicurazione di fedeltà di tutte le terre a lui soggette (2). Taluni aspetti di questa usanza li possiamo ravvisare anche nelle procedure che descrivono il rituale eseguito all'ingresso di un nuovo governatore della baronia; costui, dotato di una patente d'investitura manoscritta e sigillata dal barone, si presentava in cavalcata con il suo seguito di famigli e collaboratori ai tre priori della Magnifica Communità di Coll'Alto, che lo accoglievano con austeri abiti cerimoniali nella cancelleria priorale -situata nel Palazzo del Governatore, sotto le mura castellane -ed una volta poste le mani sopra un libro delle sacre scritture, pronunziava il solenne giuramento di servire fedelmente il suo Padrone et Signore, di amministrare bene la giustizia civile e criminale per tutte le comunità e di sottomettersi, una volta terminato il suo mandato semestrale, alla revisione dei conti o Sindacatione (3). Immediatamente dopo qualche ricco Particolare (benestante) del luogo si offriva per la Sicurtà del nuovo governante, vale a dire che s'impegnava a pagare per lui tutti gli eventuali debiti che avrebbe lasciato insoluti. Assolte tutte le formalità di rito, veniva presentato ai maggiorenti della baronia, accompagnato da grandi scampanamenti festosi delle tre chiese locali, San Gregorio Magno, Santa Lucia e Santa Maria di Valle Pinciona (4). Altri aspetti non meno rilevanti del contorto jus feudalis tardo medievale relativo agli obblighi vassallatici, li possiamo evidenziare nei bandi (Banni) emessi dal governatore Aristius Florellus de Abbatia Florentilli nel 1589 (5), ministro di Alfonso Soderini, soprattutto nei capitoli riguardanti la Grascia, il Danno dato nelle selve o 5 Vecchia cartolina

ORESTE SERGI – (scheda) – MANIFATTURA DI CATANZARO – PIANETA E VELO DEL CALICE DELLE DOMENICANE – META’ DEL XVIII SEC. – CHIESA DEL SS. ROSARIO O DI S. DOMENICO, GIÀ DELLA SS. ANNUNZIATA DEI PP. PREDICATORI - CATANZARO

O. SERGI, 4. Pianeta e Velo di calice, in “Seta. Il Filo dell’Arte. Tessuti a Catanzaro dal XV al XX secolo”, a cura di O. SERGI, Catalogo della mostra, Catanzaro, Museo Diocesano di Arte Sacra, 21 dicembre 2008 - 31 marzo 2009, Cosenza, Kompass Service, 2009, pp. 32 - 33.

Il cardinale Guglielmo d’Estouteville, Ambrogio da Cori e l’area dei Colli Albani,in La carriera di un uomo di curia nella Roma del Quattrocento: Ambrogio Massari da Cori, agostiniano: cultura umanistica e committenza artistica, ...Roma – Viella - 2008, pp. 161-172.

Sulle relazioni tra Ambrogio Massari, e prima di lui gli altri maestri generali dell'Ordine, e l'Estouteville, quest'ultimo nella duplice veste di cardinal protettore degli Agostiniani − per ben trentasette anni − e membro autorevolissimo della curia romana, 1 non sono state reperite molte tracce. Si può solo ricordare che già da tempo il Rotomagense era stato portato ad agire come un 'vicegenerale' dell'Ordine su richiesta congiunta del pontefi ce e delle autorità agostiniane soprattutto per quanto riguardava il movimento di riforma osservante, che preoccupava per le spinte autonomistiche manifestate in modo specifi co dalla congregazione di Lombardia. 2 In particolare, dagli anni Settanta del XV secolo, prima Paolo II e poi con più determinazione Sisto IV, nel sostenere il processo di centralizzazione curiale intorno alla Santa Sede, assegneranno un ruolo sempre più importante e attivo ai cardinali protettori nelle vicende interne degli Ordini mendicanti 3 e cercheranno -con risultati peraltro discontinui -di far celebrare con maggiore frequenza i loro capitoli generali a Roma. Per quanto riguarda l'Ordine agostiniano, non è un caso che ben tre capitoli generali nell'ultimo lustro del Quattrocento si tenessero nel convento romano di Sant'Agostino, sede del priore generale e vero e proprio centro di gestione di tutti gli affari, anche quelli con la curia papale. 4 Una particolare importanza riveste il capitolo del 1476 a cui presenziò lo stesso Estouteville ex parte pontifi cis e dove venne eletto generalis totius ordinis proprio Ambrogio Massari, 5 che all'inizio dell'anno era stato nominato vicario

IL PAVIMENTO COSMATESCO DELLA CHIESA DI SANTA MARIA IN CASTELLO A CORNETO-TARQUINIA

Nuove ipotesi di attribuzione Nicola Severino-www.cosmati.it Gennaio 2011 Pur non avendo mai visitato l'antica chiesa di Santa Maria in Castello a Corneto-Tarquinia (più avanti dirò solo Tarquinia), mi accingo a proporre un confronto stilistico di alcune importanti parti del pavimento cosmatesco per una nuova eventuale ipotesi di attribuzione, sostanzialmente diversa da quella cui tutti gli autori sono giunti, nel corso di circa un secolo di ricerche. Tuttavia, devo precisare che questa mia ipotesi deriva esclusivamente dall'osservazione e comparazione stilistica delle parti di pavimento che andrò ad analizzare, con quelle evidentemente molto simili, se non identiche, alla matrice della scuola o degli artisti cui è rivolta la nuova attribuzione. Dell'importante complesso religioso e specialmente sui suoi arredi marmorei, scrisse, forse per primo in modo completo e competente, Giovanni Battista De Rossi 1 , ma siamo nel 1875. Sebbene l'articolo si intitolasse "Il pavimento della chiesa di S. Maria di Castello in Corneto-Tarquinia" ed uno dei paragrafi interni "Del cosiddetto opus alexandrinum e dei marmorarii romani che lavorarono nella chiesa di S. Maria in Castello", l'autore poco o nulla dice sul pavimento stesso, ed essendo l'unico reperto della chiesa non firmato da alcun artista, egli dice si può attribuire-come è logico-ai maestri che vi lavorarono firmando gli arredi liturgici. Nella fattispecie, il maggior indiziato sembrerebbe essere Pietro di Ranuccio e suo fratello Nicola che lavorarono al portale e alla bifora della facciata della chiesa. L'articolo di De Rossi più che illustrare il pavimento della chiesa, analizza le lapidi proveniente dalle catacombe romane e dai cimiteri antichi, con le relative iscrizioni, che vi furono montate in un tempo imprecisato. Lapidi che provengono da diversi siti storici del luogo e che non riguardano assolutamente notizie degli artefici marmorari cui l'opera è attribuita. Inoltre, l'autore ne approfitta per emendare errori e sviste di scrittori coevi su alcune iscrizioni che hanno poi gettato confusione nelle pubblicazioni postume. E' da rilevare che nel 1875, come lo stesso De Rossi scrive, lo studio delle epigrafi e dei monumenti scaturiti da quella che Camillo Boito dichiarò essere l'arte cosmatesca, era ancora buio e sconosciuto. La genealogia dei marmorari romani e delle famiglie dei Cosmati, che si intrecciavano ad artisti isolati e provenienti da zone esterne all'area di Roma, era molto incerta e confusa e De Rossi tenta in questo scritto di riprenderne il filo conduttore, attraverso lo studio ed analisi delle epigrafi e dei monumenti, riproponendo emendamenti e nuove ipotesi, smembrando le tesi ufficialmente accettate ed erroneamente divulgate, per riconosciuta autorità, da altri autori. Lo scritto di De Rossi è, oggi, molto significativo per mostrarci lo stato in cui erano gli studi sui Cosmati nella seconda metà del XIX secolo, quando da poco il termine "arte cosmatesca" era stato coniato da Camillo Boito in un suo studio ed universalmente accettato dagli studiosi. Vale la pena di ricordarne qui le linee essenziali:

ARCHIVI E GUGLIE SCOMPARSE: LA CHIESA DI SANTA MARIA DI GESU'

In questo articolo pubblicato sul periodico Espero nel 2010 si parla di una scoperta di archivio circa una chiesa siciliana: quella di Santa Maria di Gesù di Gangi. Dalle nebbie del passato riemerge, grazie a materiale d'archivio inedito, un particolare architettonico dell'edificio religioso in questione oggi non più visibile. In un contratto notarile di fine '600 si stabiliva la costruzione di una "aguglia" policroma sul campanile della chiesa. Le guglie erano e sono un elemento architettonico non secondario ma caratterizzante il paesaggio urbanistico di paesi e città. In particolare di quelli dalle origini medievali come Gangi.

IL LAVORO E L'ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE NELLA ROMA PAPALE E IMPERIALE. LA BASILICA DI SAN PIETRO E IL COMPLESSO DI DOMIZIANO: FONTI MODERNE PER RICOSTRUIRE PROGETTI ANTICHI

Papers of British School at Rome, 2021

Sin dai primi studi sul cantiere e sul processo costruttivo delle architetture antiche, esempi storicamente ben documentati di età medievale e moderna sono stati presi come riferimento e termine di paragone, al fine di comprendere più approfonditamente l'industria delle costruzioni nell'antica Roma. Questo contributo riflette circa la possibilità di utilizzare due casi di studio parzialmente simili per dimensioni, ubicazione e tecniche costruttive: la Basilica di San Pietro, di età rinascimentale e barocca, in comparazione con l'antico complesso di Domiziano, estensione dei Palazzi Flavi sul Palatino. I primi risultati, che si iscrivono in un progetto di studio sul Complesso domizianeo, aggiungono nuovi elementi alla ricostruzione teorica del cantiere e del ciclo costruttivo. Si analizzano diversi aspetti di questi due progetti architettonici di grandi dimensioni (XXL structures)la committenza, la forza lavoro, l'approvvigionamento dei materiali da costruzione, l'allestimento del cantiereevidenziando analogie e differenze, nel tentativo di ovviare alle lacune nella documentazione antica. "E fatta sopra Roma è nova Roma." Francesco della Valle (secolo XVII)