N. Navone, L. Tedeschi (a cura di), Dal mito al progetto. La cultura architettonica dei maestri italiani e ticinesi nella Russia neoclassica, Mendrisio - Lugano 2003 (original) (raw)

Roma, la "madre comune delle belle arti", l'Italia, i pensionnaires russi e l'antico, in N. Navone, L. Tedeschi (a cura di), Dal mito al progetto. La cultura architettonica dei maestri italiani nella Russia neoclassica, Mendrisio - Lugano 2003, pp. 143-173

Dal mito al progetto. La cultura architettonica dei maestri italiani e ticinesi nella Russia neoclassica, 2003

Scrive Ennio Quirino Visconti nel 1785: "le nazioni […] s'affollano alla madre comune delle belle arti, e vi portano quella varietà di cognizioni e di gusti che poi col confronto si schiariscono, e formano di questa città un pubblico dei più illuminati d'Europa". 1 Sovviene, nel leggere questo appunto rilasciato quasi allo scadere del XVIII secolo da un testimone oculare, l'incredibile fortuna internazionale di cui godeva Roma, divenuta più che mai, in questi anni Ottanta del "secolo filosofico", meta degli artisti e degli architetti di ogni parte del mondo e ciò per ragioni legate all'interesse per l'antico che andava crescendo mano a mano che il neoclassicismo s'imponeva. Così come sovviene, nel cogliere tale rilievo, un profilo del tutto particolare di questo luogo privilegiato delle arti, dove si concentravano le maggiori vestigia dell'antichità: e cioè l'aspetto internazionalista e propositivo, aperto e plurale che suggerisce la progressiva crescita di una comunità di artisti e d'intellettuali, di amatori collezionisti e antiquari che finiscono per costituire una vera e propria colonia. Ne discende un'immediata curiosità, questa: quale sarà stata la Roma visitata dai pensionnaires dell'Accademia imperiale di Belle Arti di San Pietroburgo? E quale il loro contributo a tale colonia -le frequentazioni, le amicizie loro -che veniva accrescendosi di giorno in giorno incentivando tale cosmopolitismo culturale? E in ultimo, quale il loro legame, costante, con la madrepatria? Per esempio a partire dall'anno in cui arriva a Roma da Parigi il primo pensionato dell'Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, il signor Basil Bajenow, come è segnato negli archivi parigini in data 12 luglio 1762, 2 cioè l'"ad''junkt" 3 Vasilij Ivanovic Bazenov? E ancora: avranno provato anch'essi quell'"eccelso godimento spirituale" provato da Nikolaj Gogol' quando esplorava, appunto alla stessa stregua degli studenti russi che lo avevano preceduto, chiese e palazzi, monumenti e resti antichi romani, ma anche i caffè e le piazze della "città eterna", 4 e i ritrovi di tale colonia intenta a rievocare la vita che dovette animare le inesauribili vestigia romane di "quell'età feconda, quando l'artista era e architetto e pittore, e persin scultore al tempo stesso"? La "madre comune delle belle arti", come la chiamava il Visconti nel 1785 (testimonianza edita però nel 1841), è il luogo attrattivo fondamentale verso l'Italia anche per i pensionnaires russi. 5 Naturalmente non mancheranno eccezioni, ma rare: qualche studente andò a Venezia, come l'architetto Fedor Ivanovic Volkov o come il pittore prospettico, che in seguito dipinse il panorama di molte città russe, Fedor Alekseev, che lavorò nell'atelier di Giuseppe Moretti e Pietro Gaspari; o a Genova, dove lavorò Matvej Fedorovic Isaev nel 1776. E quantunque almeno all'inizio l'unica destinazione "estera" prevista per gli studenti russi fosse Parigi, subito o quasi, i primi pensionati: Vasilij I. Bazenov, Anton P. Losenko e Ivan E. Starov, ottennero di andare anche a Roma. Ma ottennero, come? Quello che colpisce immediatamente è il fatto che soprattutto i primi pensionnaires russi manifestano una evidente dipendenza dall'Accademia e per di più sembrano recitare, stando ai documenti d'archivio studiati, a cominciare dal corpus delle loro relazioni e missive, un copione in larga parte già scritto dall'alto; e tuttavia pare proprio che l'apertura, tanto feconda e decisiva per gli esiti del classicismo russo, verso Roma sia venuta per diretta e prima sollecitazione degli interessati, vale a dire dei primi pensionnaires. E così si ha non solo curiosità ma anche necessità di chiarire, innanzitutto, quali rapporti intercorrano tra l'Accademia imperiale di Belle Arti di San Pietroburgo, la Corte e i borsisti inviati all'estero, segnatamente in Italia. In un rapporto al Consiglio dell'Accademia pietroburghese, Starov tiene a sottolineare che il viaggio a Roma è indispensabile per completare la propria formazione ed è là, per di più, che gli studenti dell'Academie royale d'architecture di Parigi vanno a studiare, cosicché è svelata una motivazione della Roma, la "madre comune delle belle arti", l'Italia, i pensionnaires russi e l'antico Letizia Tedeschi richiesta: 6 i colleghi francesi si affinano esplorando le vestigia romane antiche, le collezioni vaticane, chiese e palazzi e insomma vivendo nell'Urbe un intenso confronto con la storia, dall'età paleocristiana al rinascimento, soprattutto (per esplicita volontà del marchese de Marigny, direttore "des bâtiments du roi") dal Cinquecento al Seicento e fino alle soglie dell'attualità, sempre contaminata e anzi nobilitata, in Roma, dall'antico, perché essere da meno? La Roma in cui Bazenov viene ad agireseguito di lì a poco da Ivan Starov -è inoltre nutrita, anticipiamo, dall'eredità del secolo XVII, da ciò che resta o torna ad esser vivo dei trattati quattro-cinquecenteschi che hanno reso celebre la "lezione" italiana nel tempo della storia: Alberti, Serlio, Scamozzi. Un'eredità volta alla grande flessibilità nel corrispondere alle esigenze del "cantiere", che alimenterà Quarenghi tanto quanto gli architetti russi e che si pone in dialettico confronto con Palladio, più dogmatico, persino in urto con Vitruvio, la cui autorità era stata messa drasticamente in dubbio da Leon Battista Alberti e viene ora rimessa nuovamente in discussione dal Piranesi, in questo anticipato già, più che da padre Andrea Pozzo, da Carlo Fontana, che passa poi il testimone al figlio Francesco, e resta una delle figure chiave per capire gli antefatti dell'attrazione esercitata dall'Urbe sui futuri architetti. 7 Ancora. La Roma in cui gli architetti stranieri misurano i grandi complessi monumentali antichi: le Terme di Diocleziano, di Caracalla, gli archi di trionfo, i templi, le basiliche romane, a ben vedere è già quella individuata da questi personaggi. C'è poi la Roma del cardinal Albani e di Johann J. Winckelmann, di Giovanni Battista Piranesi, collezionato con grande entusiasmo da Caterina II unitamente al Volpato della mitica serie che riproduce le Logge vaticane di Raffaello, e, dopo, d'altre personalità come Anton Raphael Mengs o Agelica Kauffmann, di cui si dovrebbe dire cercando di mettere in evidenza l'attività di questi e di altri cenacoli dediti al recupero del passato e al suo investimento simbolico e formale di nuovi valori. È però opportuno richiamare immediatamente la testimonianza rilasciata dall'amico di Denis Diderot e "agente" di Caterina II a Parigi, Friedrich Melchior Grimm, il quale spiega la posizione dei pensionnaires, parlando dello scultore Semen F. Sc˘edrin: "Cet artiste prétend qu'il faudrait commencer par envoyer tous les jeunes élèves à Paris, parce qu'ils y trovent une grande émulation qui excite au travail au milieu de tant d'élèves de toute espèce, et finir par Rome parce qu'on n'y trouve ni concours, ni émulation (tout y est mort), mais on y trouve les grands modèles éternels qui inspirent un autre genre d'émulation quand on a commencé à se sentir et à pénétrer tous les secrets de l'art". 8 Bazenov, precisamente in linea con tali motivazioni, otterrà il permesso di recarsi a Roma, come si è già ricordato, nell'autunno 1762, Starov invece nel 1766. Chi sperasse tuttavia di ritrovare nei resoconti o nei rapporti 9 dei pensionnaires un analitico resoconto del loro soggiorno o qualcosa di accostabile anche alla suggestiva immagine captata da Gogol' nel 1838, pubblicata nel 1842, in tutta la sua eccentricità surreale sospesa tra un presente immobile e indifferente alle frenesia del modernismo e un passato remoto ricco di stupefacenti memorie che di quel modernismo sono alimento, resterebbe decisamente deluso. Sembra infatti che la gran parte di tale documentazione sia andata perduta. Due le cause principali: il deperimento dovuto al logorio cui sono stati sottoposti i materiali per l'incessante uso didattico; le traversie subite nel corso del tempo da queste raccolte. Sennonché, anche da quel poco oggi disponibile si evince che Roma resta il grande scenario entro cui avviene l'incontro di questi giovani con l'antico e la città accogliente e viva, inaspettata e affascinante, in cui essi possono confrontarsi con gli intellettuali, i mercanti, i collezionisti locali e con gli altri artisti e gli altri borsisti europei, francesi, inglesi, tedeschi in particolare, lì accorsi per le stesse motivate ragioni e curiosità. Nei "forestieri" che proprio in quest'arco temporale approdano a Roma e all'Italia, tra cui sono i nostri architetti, vivo e serrato è anche il dialogo tra l'eredità dell'antico e la grandezza dell'arte cristiana. Gioverà anzi ricordare che tra costoro proprio i russi sono attratti in modo particolare, almeno così sembra, anche dal carattere "sacro", oltre che da quello "profano" della città dei papi, percepito però in termini particolari. A Roma, inoltre, la riforma "archeologizzante" di Mengs, alimentata da Winckelmann e da Piranesi, viene a costituire un punto di riferimento assolutamente prioritario, facendo sì che negli anni Sessanta e in crescendo nel decennio successivo -sotto Cateri-144 100. R. Adam,

Alfredo Buccaro, Petrana Miltenov, Giulietta Kjucarianc, Antonio Rinaldi architetto vanvitelliano a San Pietroburgo. Milano, Mondadori, 2003, presentazione di Cesare de Seta.

Nel volume, edito in occasione del 3° centenario della fondazione della città di San Pietroburgo (2003) e promosso e finanziato dall’UNESCO, gli autori analizzano i programmi e gli interventi che, dovuti in buona parte ad artisti e architetti italiani, nel corso del XVIII secolo contribuirono a 'materializzare' la struttura urbana di San Pietroburgo, 'finestra del Nord' sull'Occidente, fondata da Pietro il Grande trecento anni fa. L'opera di Antonio Rinaldi, architetto al servizio di Caterina II di Russia dal 1762 al 1790, viene approfondita in relazione al dibattito europeo e alle influenze vanvitelliane sull'architettura russa nella seconda metà del XVIII secolo. Attraverso la traduzione, a cura degli autori, di testi inediti in Italia e l'individuazione di fonti archivistiche russe mai indagate, è stato possibile individuare opere scomparse o non ancora attribuite a Rinaldi. L’opera di Rinaldi viene riferita da Buccaro alla fase di passaggio dell’architettura russa dal tardobarocco rastrelliano a quella dell’Illuminismo di ispirazione francese. Se e vero che, specie nelle opere di Oranienbaum, egli mostrò di avere particolari simpatie per il rococò, ciò si manifesta specialmente negli interni, mentre le soluzioni planimetriche preludono ad interessanti innovazioni. Sebbene in architetture come la residenza di Gatčina o il Palazzo di Marmo a San Pietroburgo siamo ormai in un ambito decisamente neoclassico, negli interni si perpetua quell’opulenta ‘sintesi delle arti’ che fu per Rinaldi la chiave con cui costantemente affrontò il tema dell’abitazione nobiliare e di corte. Nella sua architettura egli passa da schemi legati al classicismo barocco a quelli del pittoresco inglese, regolati da un costante rapporto con i caratteri ambientali, materici e cromatici del paesaggio russo: Rinaldi seppe porsi in perfetta continuità e sintonia con la tradizione artistica del Paese ospite senza mai cercare una ‘forzatura’ nei termini di un’influenza occidentale sull’architettura locale. Oltre ad aver diretto e coordinato l'intera ricerca, Buccaro è autore in particolare della Introduzione e, nella prima parte del volume, dell'introduzione e del capitolo secondo, dal titolo: "Il linguaggio di Rinaldi nel nuovo scenario dell'architettura russa" (pp. 53-89: "a. Diffusione e contaminazione dell'architettura italiana a San Pietroburgo tra tardobarocco e neoclassicismo"; "b. Rinaldi e l'evoluzione del modello vanvitelliano").

Per Francesco Segala "padovano scultore et architettore", in "Arte veneta", LXXII, 2015 (2016), pp. 77-105

Il suo caso rimane problematico. Nel catalogo di Francesco Segala, infatti, opere notevoli per originalità e qualità convivono con sculture più modeste. E questo fatto non è dovuto allo stratificarsi nella letteratura di una serie di attribuzioni errate: l'impressione della discontinuità permane anche se con prudenza ci atteniamo alle sole opere firmate o dotate di tutti i crismi documentari. Altalenante, dopotutto, è stato l'andamento della carriera di questo artista. Padovano − come lui stesso ribadisce con orgoglio nelle firme −, Segala fallisce in modo sistematico i concorsi indetti dalla Veneranda Arca di Sant'Antonio, e cioè il massimo committente pubblico della sua città natale. La congrega gli serra in faccia i battenti della basilica del Santo per ben tre volte. Nel 1565 Francesco si candida quale autore del nuovo tabernacolo di bronzo, destinato all'altare di Donatello, ma i presidenti gli preferiscono l'oscuro Gaspare Moneta (il quale, peraltro, nemmeno darà seguito alla commissione) 1 ; nel 1573 chiede gli venga affidato il Miracolo del giovane di Lisbona, rilievo lasciato incompiuto dall'amico Danese Cattaneo 2 per la sopraggiunta morte, ma il prestigioso incarico va all'esordiente Girolamo Campagna 3 ; nel 1579, infine, partecipa al concorso per il nuovo altare maggiore, ma è ancora Campagna a spuntarla (anche se, questa volta, solo al ballottaggio e per un unico voto di scarto) 4 . In Sant'Antonio, insomma, Segala raccoglie le briciole: nel 1564 consegna la bellissima Santa Caterina di bronzo per una pila dell'acquasanta, che ad oggi è la sua prima opera certa 5 ; nel 1591, un anno prima di morire, modella per il coro due statue di stucco bronzato, di cui però abbiamo perse le tracce 6 .

Architettura Sacra a Mezzojuso. Il gusto della tradizione tra barocco e neostili, in Mezzojuso. Storia, Arte, Cultura e Tradizioni, Comune di Mezzojuso, Mezzojuso (Palermo) 2018, ISBN 978-88-98586-07-3, pp. 98-109

Mezzojuso. Storia, Arte, Cultura e Tradizioni, Comune di Mezzojuso, Mezzojuso (Palermo) 2018, ISBN 978-88-98586-07-3, pp. 98-109, 2018

Il contributo prende in esame alcune delle principali architetture sacre del paese dell’entroterra palermitano di antiche storia e cultura. Si mettono in evidenza in particolar modo i rifacimenti neomedievali nei restauri delle chiese rispettivamente di rito latino e di rito greco e come il neogotico fosse inteso quale stile arcaizzante e identitario.