Il genio dello storico - Le considerazioni sulla storia di Marc Bloch e Lucien Febvre e la tradizione metodologica francese (original) (raw)

Marc Bloch e la Storia

<<Il bravo storico, proprio lui, somiglia all'orco della fiaba. Là dov'egli fiuta la carne umana, là egli sa che è la sua preda>> 1 . E Marc Bloch è l'orco più affamato di uomini nella Storia. Storico e uomo d'azione, francese, nato nel 1866 da una famiglia di professori universitari, vive all'epoca della Terza Repubblica, e delle due guerre mondiali a cui partecipa attivamente e che segnano il suo corpo e il suo spirito con il loro corteo di sofferenze e orrori,fino al 1944 anno della fucilazione da parte della Gestapo, a seguito di un periodo di prigionia e torture per le sue azioni nella Resistenza francese. Un uomo dentro la Storia che ne rivoluzionerà il concetto stesso, proponendone una visione orientata al racconto,alla spiegazione,e all'interpretazione e non più solo alla descrizione. Una modernità di pensiero che consacra d' attualità l'opera di Bloch. Nel suo capolavoro "Apologia della Storia", lasciato incompleto e pubblicato postumo nel 1949 dall'amico e compagno d'intelletto Lucien Febvre, cofondatore con lui della rivista <> 2 , troviamo una vera opera metodologica a servizio del mestiere di storico. Oggetto della Storia di Bloch non è più il passato in sé, ma è <<l'uomo, o meglio gli uomini e più precisamente gli uomini nel tempo>> e non solo i grandi personaggi. Bloch parla di uomini al plurale, organizzati in società e inseriti in un tempo che è storico, che è durata, che è un continuum, ma anche un continuo cambiamento e che chiede allo storico di lavorare in un'alternanza ripetuta tra presente e passato, secondo una logica che lui chiama à rebours, alla rovescia, perché la storia è scienza mai immobile, una <>, e può essere compresa solo con l'utilizzo di questa capacità di andirivieni tra le epoche. La storia è per lui una scienza altresì poetica, ben distinta dalle altre, perché non riducibile in rigide strutture e astrazioni. Per la sua analisi Bloch oppone al metodo descrittivo quello comparativo, nutrendosi in parallelo dell'apporto di altre discipline, come la filosofia, la sociologia, e in particolare la psicologia, in riferimento all'interpretazione e al rinnovamento della critica delle testimonianze. Esse sono per Bloch materia di lavoro, di spiegazione e di costruzione attiva da parte dello storico 3 che le utilizza per porre delle domande in un'ottica di storia-problema,considerando l'uomo nella sua interezza, con la sua sensibilità e la sua mentalità. La ricerca storica deve però essere condotta avendo di base un "questionario", ovvero delle domande, dei punti d'interesse che la guidino: i documenti, le testimonianze <<non parlano, se non quando si sa interrogarli>> 4 . E occorreranno una molteplicità di fonti, documenti e tecniche per ogni problema storico. Per la ricchezza dei suoi contenuti la storia ha bisogno di uomini capaci di superare l'autarchia, di cooperare e lavorare ora da soli e ora in équipe 5 , prestando attenzione alla questione della nomenclatura e utilizzando quindi un "doppio linguaggio": quello dell'epoca attuale e quello dell'epoca di studio, al fine di evitare errori anacronistici. Allo storico, profondo conoscitore del presente e del passato, tra i quali si alterna, è affidato inoltre il compito di porsi la questione del futuro e dunque la "possibilità di previsione".Ultima , ma non per importanza la questione della legittimità della storia e del suo insegnamento scolastico: Bloch propone a tal proposito l'adozione di un linguaggio più convenzionale come responsabilità sociale di chi fa questo mestiere 6 , e vede nell'insegnamento della storia sin dai primi cicli scolastici il mezzo per la formazione di una coscienza storica collettiva.

Apologia della storia di Marc Bloch (15.V.2010)

2010

Quando nel 1978, studente liceale alle prese con la storia tardo-medioevale, iniziai a leggere quasi per caso in traduzione italiana Apologie pour l'histoire, ou Métier d'historien di Marc Bloch, non immaginavo che la mia stessa vita ne sarebbe stata condizionata, per sempre. Questa lettura non rientrava tra le prescrizioni scolastiche né tra i suggerimenti della mia professoressa di Filosofia e storia, ma era di quelle, per così dire, gratuite e si impose alla mia attenzione in virtù di un passaggio-chiave impressosi indelebilmente nella mia memoria: «Il buono storico somiglia all'orco della fiaba: là dove fiuta carne uma na, là sa che è la sua preda (M. BLOCH, Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969², p. 41 [ed. originale: Paris 1949).

La biografia intellettuale di Ernst Bloch

La Cultura. Rivista di Filosofia e Filologia, 2016

Gli studi critici italiani intorno al pensiero di Ernst Bloch ebbero inizio negli anni Settanta -se si tralasciano alcune recensioni al monumentale Das Prinzip Hoffnung pubblicate negli anni Sessanta -e furono stimolati dalla pubblicazione, nel 1971, dello storico numero monografico (125) della rivista Aut-Aut. Sino alla fine degli anni Ottanta la storiografia blochiana in Italia si divise secondo le due aree ideologiche dominanti: se da un lato vennero presi in esame, da parte degli studiosi appartenenti all'area marxista, temi quali la filosofia della storia e la riflessione politica, dall'altro lato studiosi cattolici focalizzarono la loro attenzione sull'importante riflessione intorno alla tematica della religione e della speranza. Dalla fine degli anni Novanta si può assistere in Italia, agevolata da un clima culturale meno ideologicamente orientato, a una vera e propria "seconda nascita" degli studi critici, che iniziarono a orientarsi verso tematiche fino ad allora trascurate: ad esempio l'"ontologia del non-ancora-essere", e il suo rapporto con l'ontologia fenomenologica esistenziale di Heidegger (si veda P. Cipolletta, La Tecnica e Le Cose. Assonanze e dissonanze tra Bloch e Heidegger, Franco Angeli, Milano 2001), la riflessione estetica (cfr. M. Latini, Il possibile e il marginale. Studio su Ernst Bloch, Mimesis, Milano-Udine 2005), e in particolare la filosofia della musica (dapprima C. Migliaccio, Musica e utopia. La filosofia della musica di Ernst Bloch, Guerini e Associati, Milano 1995, poi i lavori di Elio Matassi: fra tutti ricordiamo Bloch e la musica, Marte editore, Salerno 2001).

Un capitolo non scritto del "Mestiere di storico" di Marc Bloch

Contemporanea, 2002

Massimo Mastrogregori Un capitolo non scritto del Mestiere di storico ■ Una scommessa col destino Nel secondo capitolo del Mestiere di storico, Bloch scrive che la ricerca storica in fondo comporta dei rischi. Certo, si riferiva al fatto che si possono cercare per anni dei documenti, senza trovarli mai. Ma la sua osservazione si può estendere a un altro rischio, non minore: quello di lasciare delle pagine

Marc Bloch: apologia e poesia della storia, con una proposta di riforma dell'insegnamento, in: Insegnare la storia, trasmettere la memoria, oggi, Cafoscarina, Venezia 2012.

Per questo incontro del ciclo Insegnare la Storia…, gli organizzatori ci avevano posto una domanda di partenza ben precisa: "Qual è il senso della storia?". Nulla di più complicato; ho cercato quindi di affrontare la questione in modo un po' meno diretto e rendere il problema meno astratto. La domanda da cui ho preferito partire è stata quindi: "perché studiamo e scriviamo di storia?". Sapendo poi che a questo incontro avrebbero partecipato anche molti studenti -oltre che insegnanti -ho pensato di rispondere a questa domanda con un consiglio bibliografico. I motivi per rispondere con un libro sono principalmente due: prima di tutto un buon libro a volte aiuta molto di più di decine di conferenze; un libro, un buon libro, può essere letto e riletto e prevede una certa partecipazione attiva del pubblico, cosa che non sempre si può verificare durante una conferenza. Il secondo motivo è che provo un attaccamento particolare per l'opera di cui ora andrò a parlare. Si tratta di un testo che lessi per la prima volta a 17 anni, dopo averlo trovato per caso su uno scaffale della libreria, ancora avvolto nel suo cellophane. Inutile dire che questo libro ha segnato le mie scelte universitarie, certo è che da allora l'ho riletto più volte e spesso mi è venuto in aiuto in questi anni in cui mi sono dedicata allo studio della storia. Ma veniamo al libro, la famosissima eppure spesso dimenticata Apologia della storia o Mestiere di storico di Marc Bloch 1 .

L'eredità francofortese e la nuova metodologia habermasiana

A partire da alcuni testi di Horkheimer, in particolare quelli precedenti gli anni quaranta, si sono volute evidenziare le differenze e le continuità, in termini di approccio epistemologico, che legano Habermas ai suoi maestri francofortesi.

scheda di Giorgio Pasquali, Storia dello spirito tedesco nelle memorie d’un contemporaneo, a cura di Marco Romani Mistretta, con uno scritto di Eduard Fraenkel, Adelphi, Milano 2013, 260 pp. [Piccola Biblioteca, 645].

Historia Magistra. Rivista di storia critica, 13 (2013), p. 153, 2013

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La coterie Gide: note sulla mentalit\ue0 intellettuale in Francia fra le due guerre

1985

Questo volumeé il risultato di una ricerca comune dei due autori. R. Ragghianti ha scritto il cap. I, A. Orsucci ha scritto il cap. II del testo. La premessa € stata stesa congiuntamente dagli autori. PREMESSA Una precisazione sul concetto di 'mentalita intellettuale' Per mentalita intellettuale é da intendere una sorta di attrezzatura mentale, un outillage, un atteggiamento culturale che di frequente motiva l'agire al di la degli stessi parametri ideologici che si assumono. Se lideologia é spesso un insieme di convincimenti comunicabili, un sistema di riferimenti e di valori che tendono ad assumere l'aspetto di una prospettiva fortemente strutturata, di una dottrina finalizzata alla produttivita pratica e capace talora di tradursi in mito, la mentalita é piuttosto un modo di vedere, uno specifico stile di pensiero (Denkartin tedesco, maniéres de penser o attitudes mentales in francese) che presiede all'organizzazione dell'esperienza. Intesa in questo senso, essa si configura come «un atteggiamento [...], una disposizione alla ripetizione di modi di pensiero abituali», la quale «di preferenza si esprime in luoghi comuni, in modi didire [...], in topoi» che si assumonospesso inconsapevolmente'. E se le ideologie, pur avendo una qualche funzione «totalizzante» e «stabilizzatrice»" , operano come tentativi di comprensione provvisoria, utili nel progettare e nell'orientarsi praticamente, le mentalita intellettuali agiscono all'interno di una temporalita piu dilatata, che, se certo non é la Junga durata del Braudel, permette tuttavia di cristallizzare acquisizioni maturate in precedenza su piani diversi, come taluni motivi propri dell'ideologia o dei saperi settoriali. Le mentalita sedimentanotalvolta gli stessi elementi della cultura 'accademica': un certo bergsonismo puodiventare per esempio I'abitointellettuale pit diffuso tra i ceti colti francesi nei primi decennidel secolo, riscontrabile anchetra coloro che pili consapevolmente cercavanodi differenziarsene. La diversa scansione temporale é anche da ricondurreal fatto che una ideologia esprime sempre «contenuti», «idee e costruzioni ideali», mentre una mentalita rappresenta piuttosto una «inclinazione intellettuale», una «atmosfera», una «disposizione» che testimonia in maniera pit' immediata, ma meno comunicabile razionalmente, le proprie tradizioni culturali? .

Discussione - Per una scienza del filosofico. Sulla Storia dell'idea di tempo di Henri Bergson

2020

La necessità con la quale il pensiero filosofico ha tentato di derivare il tempo dell’eterno è la stessa grazie a cui il tempo si è imposto come tema principale e forse definitivo del filosofare. Come vi fosse una segreta relazione di simmetrica esclusione ma anche di reciproca implicazione, nella storia della filosofia occidentale, tra il pensiero del tempo e quello della necessità, sino al punto in cui la negazione del tempo stesso si identifica, rovesciandovisi, nel suo inevitabile riconoscimento. Nella Storia dell’idea di tempo. Corso al Collège de France 1902-19031, Bergson non lo dice apertamente, ma lo lascia in qualche modo intuire al suo lettore (all’ascoltatore dell’epoca). Il tempo della filosofia è il tempo di una necessità – la necessità di pensare il tempo come durata. Ora, c’è un modo semplice e diretto per spiegare che cosa Bergson intendesse con il termine concettuale «durata» ed è la parola “ritmo”. Un ritmo è qualcosa di più di una semplice scansione numerica del divenire. Il ritmo designa sempre il modo in cui il tempo passa, qualcosa come il tempo stesso impiegato dal tempo a passare. Quale è allora il ritmo proprio del tempo (im)pensato dal filosofo?