Archeologia di una frontiera mediterranea; Introduzione; Interventi; (con M. NUCCIOTTI), Shawbak: strutture materiali di una frontiera, in La Transgiordania nei secoli XII-XIII e le frontiere del Mediterraneo medievale, Atti del Convegno di Firenze, Palazzo Vecchio-Palazzo Strozzi, 5-8 novembre 2008 (original) (raw)
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La Transgiordania nei secoli XII-XIII e le 'frontiere' del Mediterraneo medievale a cura di
Several years of research on Cruser castles have allowed very reliable data to be recorded, resulted then in surveying large parts of the fortified buildings. The plan hasdealt with the span between the 10th and 13th century , with the purpose of investigating thedevelopment of fortified structures, tracing the main steps of their evolution. A great opportunity for this project has come from the profitable co-operation with Prof. Vanniniat his excavations in Jordan. The collected data have allowed a wider comparative study interms of morphology, which is still under way. Our attention has been turned to therecognizability of masonries, which may derive from the European trition, questioningtherefore the common and followed theory that Arabic styles eventually influenced the new military solutions of 12th and 13th century . Sharing the idea that one cannot speak of ascattered Cruser phenomenon, without taking systematically into account what hhappened in Europe immediately before the Cruses, we have selected some interesting structures, founded in a frontier zone, which might have conclusively given some cluesabout the architectural development of medieval military settlements. Within the Jordanmission, the castles of Shoubak, Wu’ Ayra and Habis have been investigated as functionalunits, and some constant factors, in terms of building typologies and components, seem to have been focused on to estimating the territorial role of each fortified settlement. The building unit has been divided on the basis of standard topics; in principle, we have stressed on: access system, tower system, specific constructions like churches, and water supply system. The comparative study of dimensional analysis and geometric characteristics of those architectural frames has let some considerations arise to new perspectives still under way of verification. As regards the European experience, we have selected some buildings, which were well famous among their contemporaries themselves for their imposing construction and, at the same time, may have indicated models that were opted and evolved during the first Cruser epoch. Our particular interest has been turned to the scattered building pattern of the motta, which can well be assumed as original element of Middle Ages rather than tritional military structures of Classical Age, at least considering the building meaning, that is with regard to the erected architectural element rather than landscape morphological feature. Deep studies in this sense have turned to the European context, both in France and Italy: respectively at Gisors and San Marco Argentano; these two fortifications are upon a motta and characterised byan encircling chemise and a central keep. These three elements appear as connected witheach others and attest to the first stone-built construction during the early Normanexpansion, which forerun garrison’s attack and defence military solutions, that willthereafter have been evolved in the castles of the first Cruses. Their access systemspresent a sequence of towered structures, which have definitely met with success in theHoly Land. Moreover, the tower system indicates building technologies, which may beregarded as standard factors in terms of general dimension and masonry morphology. Asfar as this brief paper concern, in conclusion, some Jordanian sites may be put forward asfortified structures, but not castles stricto sensu, whilst the increase of their role may haveextended over the territory in different ways than assumed hitherto.
ABSTRACT PANEL: "Un'impresa rischiosa e redditizia: scambi, scontri e incontri lungo la frontiera nordafricana (secc. XVII-XVIII)" In età moderna, capitani, mercanti e patroni di barca si muovevano abitualmente nello spazio mediterraneo seguendo le vie dei propri lucrosi traffici, e ben conoscevano i rischi e le insidie connessi alla navigazione in uno scenario costantemente militarizzato. Le rotte del profitto, che conducevano sulla sponda nordafricana e verso il Levante, attraversavano una frontiera marittima presidiata dai corsari barbareschi da un lato e dai loro antagonisti cristiani dall’altro. Tale frontiera, se per un verso rappresentava un ostacolo per gli scambi commerciali, per l’altro serviva a definire (o talvolta a creare) uno spazio economico elitario destinato esclusivamente a particolari attori. Vi erano insomma due tipologie di interazione, tra loro complementari: una era basata sullo scontro o sulla difesa del territorio; l’altra, importantissima, era centrata sullo scambio, sulle franchigie e i privilegi. La seconda beneficiava degli effetti della prima poiché più emergevano i conflitti più la forza dei privilegi si rivelava determinante nel garantire il successo di alcuni operatori commerciali. Si può leggere in questa chiave, ad esempio, la prosperità delle bandiere inglese e francese nel Mediterraneo: in virtù dei trattati siglati con le reggenze barbaresche, esse erano predilette dai negozianti di ogni nazione quando si trattava di noleggiare bastimenti per il trasporto di mercanzie a lunga distanza. Navigare con bandiera privilegiata, infatti, riduceva i rischi del viaggio e di conseguenza diminuiva i costi assicurativi. Ovviamente né la conflittualità né il privilegio erano dati in maniera definitiva: i rapporti tra gli stati che si trovavano sulle opposte sponde della frontiera erano infatti sottoposti ad una continua negoziazione. La conquista del privilegio era spesso frutto di una politica di potenza in grado di imporsi con le armi, occupando particolari aree strategiche o utilizzando le forze navali come elemento intimidatorio. A coloro che non potevano vedere la propria iniziativa privata supportata da adeguati strumenti coercitivi non restavano che due soluzioni: ricorrere a bandiere “sicure” o percorrere la via della cauta diplomazia. Tenendo conto di tre differenti prospettive – quella diplomatica, quella economica e quella militare – gli interventi qui proposti sono mirati a evidenziare alcune delle modalità attraverso le quali diversi attori mediterranei hanno avvicinato e, talvolta, affrontato il Maghreb tra il XVII e il XVIII secolo. ABSTRACT INTERVENTO: "Tangeri tra guerra e commercio: una porta inglese al Nord Africa" Quando, nel 1684, gli inglesi lasciarono Tangeri dopo un solo ventennio di occupazione, furono molte le voci che si levarono contro la decisione di abbandonare un avamposto così rilevante sotto molteplici punti di vista. Le divisioni politiche e gli aspri contrasti religiosi all’interno del parlamento avevano però costretto Carlo II, seppur a malincuore, all’infelice risoluzione. Tangeri aveva rappresentato, dal 1662, una testa di ponte importante per la penetrazione inglese nel Mediterraneo, fornendo una base d’appoggio per le operazioni della Royal Navy sulle coste nordafricane. Secondo il pensiero di alcuni dei suoi principali sostenitori, la colonia non era però destinata ad una funzione esclusivamente militare: essa sarebbe dovuta divenire un rilevante scalo commerciale, punto cruciale del sistema convogliare verso gli stretti e, infine, luogo d’incontro aperto a tutti gli attori che, in un modo o nell’altro, dal Mediterraneo traevano profitto. Questa era l’idea espressa, ad esempio, da Henry Sheeres, l’ingegnere impegnato nella costruzione del poderoso molo, nel suo A discourse touching Tanger: in a letter to a person of quality (stampato nel 1680) dove egli suggeriva che il nuovo porto avrebbe dovuto accogliere non solo vascelli europei, ma anche moreschi, turchi e persino corsari barbareschi desiderosi di vendere le loro ricche prede al miglior offerente. Lo studio – basato principalmente su documenti prodotti e raccolti dal Board of Trade , oltre che su diverse pubblicazioni d’epoca – della breve ma incisiva parentesi coloniale britannica sulle coste marocchine offre la possibilità di gettare uno sguardo non solo alla politica di potenza esercitata dagli inglesi nei confronti delle reggenze barbaresche nella seconda metà del XVII secolo, ma anche agli aspetti economici più pragmatici della gestione di Tangeri, potenziale città-frontiera nordafricana.
Protagonisti di una secolare stagione di migrazioni dalla Scandinavia verso numerose aree del continente europeo, i Normanni furono responsabili di profonde trasformazioni sociali e politiche. Ricostruire la storia dei loro spostamenti è del resto un lavoro già avviato, ma si è riflettuto assai poco sugli effetti geoculturali che essi ebbero con gli spazi insediati. A tal proposito è quindi necessario rifarsi a concetti a volte del tutto estranei al mestiere dello storico e spesso relegati al solo ambito geografico: accanto alle fonti più tradizionali, il paesaggio può certamente rappresentare un’ottima base di partenza per comprendere le dinamiche intercorrenti tra il milieu naturale e le comunità che trovano il proprio posto in un determinato spazio. Così, un’indagine delle modalità di risemantizzazione di una determinata rete di relazioni umane, condotta attraverso la geolocalizzazione degli insediamenti e l’esame della loro interazione nel contesto locale, riesce a dare numerose informazioni per lo studio del territorio. Il Catalogus baronum, concepito proprio come progetto di territorializzazione, mostra in tal senso l’interesse da parte dei Normanni per l’insediamento capillare di tutto il Mezzogiorno continentale, con una particolare attenzione verso le aree frontaliere dell’Abruzzo, tra le più militarizzate del neonato Regnum Siciliae. Seguendo così un’impostazione basata prevalentemente sull’analisi geosemiotica degli insediamenti e comparando i dati provenienti dalle fonti scritte con quelli materiali disseminati nello spazio si scopre come dall’agire territoriale sia possibile ricavare un’istantanea del momento storico in cui una data comunità si è organizzata e relazionata con le altre. Nel caso specifico dell’Abruzzo del XII secolo è dunque possibile far luce sulla costruzione materiale di una precisa simbologia territoriale, quel “feudalesimo d’importazione” di cui parlava Marc Bloch a proposito delle migrazioni normanne.