2014 - Campi d'accoglienza richiedenti asilo (original) (raw)
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Enciclopedia sociologia dei luoghi, 2020
Questo contributo si articola in due parti. Nella prima si analizza la forma campo di tipo emergenziale ed umanitario, esponendo la sua evoluzione storica, la struttura e la funzione delle differenti forme d’insediamento destinate ad ospitare gli “incollocabili” (richiedenti asilo, rifugiati, internally displaced persons, ecc). Nella seconda parte si ripercorre la storia dei sistemi di accoglienza in Italia, analizzando i loro spazi di gestione e la loro organizzazione sociopolitica. This contribution is divided into two parts. The first analyzes the emergency and humanitarian form of the camp, exposing its historical evolution, the structure and function of the different forms of settlement to house “unplaced people” (asylum seekers, refugees, internally displaced persons, etc.). The second part concerns the history of reception systems in Italy, analyzing their management spaces and socio-political organization
I centri di accoglienza per richiedenti asilo in provincia di Benevento. Situazione e proposte
Documento presentato alla stampa il 15 luglio 2016
La provincia di Benevento ospita oltre 1.500 richiedenti asilo, che risiedono in centri di accoglienza che non sempre rispettano i loro doveri. Il livello di integrazione socio-culturale ed economica dei richiedenti è molto basso, anche perché la maggior parte dei centri di accoglienza si trova in località rurali o in piccoli paesi. Non mancano, tuttavia, casi nei quali l'inclusione è migliore. L'atteggiamento delle istituzioni locali è disomogeneo e, spesso, inadeguato. I tempi di permanenza nei centri, in attesa del completamento della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, sono molto lunghi (fino a due anni) e impediscono ai richiedenti di poter vivere in maniera autonoma.
Campi per 'cittadini migranti stagionali' / Camps for 'seasonal migrant citizens'
2016
Il titolo del regolamento interno della Croce Rossa Italiana (CRI) le definisce «strutture di accoglienza dei cittadini migranti stagionali». A leggerlo senza conoscerne il contesto, si potrebbe pensare a una sorta di colonie estive destinate a cittadini privilegiati che trascorrono parte dell'anno nella residenza di città e con la bella stagione si traferiscono al mare o in campagna, magari per godersi i frutti e il meritato riposo di una vita di lavoro. Basta però scorrere qualche riga per rendersi conto che i «cittadini migranti stagionali» non sono altri che i «lavoratori stagionali extracomunitari», che ogni anno sono impiegati nella raccolta del pomodoro nei comuni di Venosa e di Palazzo San Gervasio. L'involontaria ironia del titolo del regolamento rivela un'incontestabile verità: ormai da alcuni anni, una quota della manodopera impiegata nella zona è composta da lavoratori originari dell'Africa sub-sahariana che si spostano seguendo il ciclo delle raccolte, da Cassibile, a Rosarno, a Nardò, a Foggia, alla Basilicata. Un conto è tuttavia riconoscere l'estrema mobilità dei lavoratori – che, in questo senso, sono certo «migranti stagionali» – un altro è rispondere alle loro richieste alloggiative sovrapponendo ipocritamente mobilità ed emergenzialità, in una confusione di piani che delega a strumenti di carattere umanitario-emergenziale esigenze che dovrebbero invece essere affrontate con politiche sociali e abitative. I due centri di Venosa e Palazzo San Gervasio rappresentano, al momento, un'esperienza ancora isolata. Pensati dalla cosiddetta task-force della Regione Basilicata per risolvere il problema dei ghetti, sulla scia di quanto proposto anche dalla Regione Puglia (dove strutture analoghe sono rimaste vuote), si tratta di campi destinati ai lavoratori, ma realizzati sul modello di campi profughi. A confermarlo, durante un'intervista realizzata dall'Università Roma TRE, è lo stesso volontario della CRI responsabile delle strutture, che ha maturato la sua esperienza nella gestione di un CARA durante l'emergenza nord-Africa del 2011, nonché nella gestione dell'emergenza dopo il terremoto in Abruzzo. Come specifica l'operatore, a differenza di quanto accade nei centri per richiedenti asilo, l'ospitalità nella struttura è demandata all'adesione del tutto volontaria dei lavoratori, e questo comporta altresì che «chi non lavora non mangia», dal momento che nessun servizio ulteriore è assicurato dalla CRI, neppure la distribuzione dei pasti. Ai migranti è assicurata la possibilità di utilizzare alcuni punti cottura (inizialmente erano garantiti 11 fornelli elettrici, il cui numero si è progressivamente ridotto a 4 per mancanza di manutenzione), oltre all'utilizzo dei servizi igienici (attualmente 4 bagni e 4 docce per i 70 lavoratori alloggiati nel centro di Venosa). Ciò che, a detta dell'operatore, i migranti chiedono con più insistenza sono però i materassi, poiché i posti letto sono attrezzati solo con brandine da campeggio: richiesta che tuttavia non viene soddisfatta per ragioni legate alla sicurezza del campo. D'altro canto, è noto che le rivolte nei CIE e nei CARA prendono quasi
Il presente elaborato è costituito da riflessioni e appunti raccolti nella prosecuzione di un lavoro di ricerca etnografica che ho condotto a partire dal giugno 2016 assieme ad un gruppo di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale incontrati nei centri di accoglienza straordinari (CAS) della provincia di Piacenza. La ricerca era finalizzata alla scrittura della tesi magistrale per la laurea in Scienze Antropologiche, ottenuta nel dicembre 2016 con un elaborato dal titolo “Un’accoglienza che esclude: crisi e continuità nel sistema di accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo in Italia”. La tesi si focalizzava principalmente sull’influenza delle comunità locali nei processi di integrazione e sulle pratiche messe in atto dai richiedenti asilo per riappropriarsi della propria agency all’interno di un limbo di isolamento e precarietà passivizzante. Particolare attenzione era stata attribuita alle storie di vita, intese come modi in cui può emergere la dimensione attiva e profondamente politica dei soggetti, che contesta l’idea che gli individui siano semplici effetti di una posizione che viene loro assegnata dalle convenzioni sociali, dagli apparati burocratici o dalle contingenze storiche. Anche se affrontate sotto il profilo biografico, le storie di vita non costituiscono il semplice registro di stati emotivi o di una serie di esperienze interiori e private. Al contrario, sono le rielaborazioni attive di fatti ed esperienze (nella maggior parte dei casi traumatiche) che fanno luce su dinamiche di esclusione (cfr. Vacchiano 2011; Pinelli 2011; 2016). La storia di vita, per il modo in cui viene raccontata, rimodellata e reinterpretata nel presente a seconda della situazione e degli interlocutori, permette di «cogliere i segni e il lavorio delle forme di potere sui soggetti e le modalità con cui i soggetti, pur all’interno delle maglie strette della burocrazia o dell’illegalità, di discorsi razzisti e politiche restrittive, costruiscono il sé e la propria soggettività» (Pinelli 2011: 12). In tempi di inasprimento delle politiche migratorie, di declino del paradigma multiculturalista, di rinnovate pressioni assimilazionistiche e di derive xenofobe e nazionaliste, diventa quindi rilevante interrogarsi su come le amministrazioni locali recepiscano queste tendenze restrittive e in che misura le comunità “ospitanti” possano costituire dei contesti fertili per i processi di integrazione. Proprio in virtù di questo loro posizionamento strategico all’interno del campo di relazioni di potere e processi globali che è la gestione della migrazione, i contesti locali sono in grado di costituire l’ostacolo più grande ad ogni progetto di inserimento. Politiche dichiarate e politiche praticate, dimensione nazionale e dimensione locale, chiusure e aperture non si allineano, ma si intrecciano in configurazioni diverse. Da qui la necessità di analizzare anche gli aspetti cognitivi e percettivi delle comunità ospitanti rispetto alle figure di rifugiato e richiedente asilo e al riconoscimento dei loro diritti. Va infatti tenuto in considerazione l’utilizzo nella sfera pubblica di un linguaggio che negli ultimi anni ha alimentato l’intolleranza, minando in tal modo la convivenza civile tra italiani e stranieri. La narrazione mediatica, o meglio la diffusione di un certo tipo di immagini, ha contribuito a cristallizzare una “struttura del sentire” comune sui temi dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo che ha allargato in particolare l’area della diffidenza e delle paure, influendo negativamente nella creazione di un clima di empatia. Un contesto rimasto finora marginalmente interessato dal fenomeno delle migrazioni per asilo, come quello di Piacenza e provincia, costituisce un campo di ricerca importante per analizzare come i discorsi pubblici sia politici che civili arrivino a permeare le relazioni concrete tra cittadinanza, autorità e richiedenti asilo. L’argomento di questo elaborato si distanzia leggermente dall’ambito di analisi della tesi. Per alcuni partecipanti alla ricerca la situazione è cambiata (per esempio con il riconoscimento della protezione), mentre per altri si è protratta ulteriormente nell’attesa di ricevere una decisione in merito alla propria domanda. È importante quindi cogliere come dinamicità e stagnazione nei processi amministrativi influiscano sulla dimensione esistenziale, identitaria e sulle aspettative dei richiedenti asilo e beneficiari. Prima di essere riconosciuti come tali, i rifugiati possono trascorrere lunghi periodi nel paese d’accoglienza, talvolta diversi anni, in attesa dell’esito della loro domanda d’asilo. Il fatto di essere ammessi a una procedura d’asilo non segna la fine dell’incertezza: fattori come la mancanza di un alloggio, la vita in un centro d’accoglienza o di detenzione, l’isolamento e la separazione dalla famiglia, le restrizioni sulla libertà di lavorare, sulla libertà di muoversi (anche fuori dall’Italia), la dipendenza dall’assistenza materiale e la diffidenza spesso associata all’essere un richiedente asilo o un rifugiato possono avere effetti duraturi e destabilizzanti sulle soggettività, relegandoli le persone margini della società. Né l’eventuale riconoscimento dello status si traduce in un automatico ritorno alla normalità, poiché tanto per il rifugiato, quanto per la comunità che lo accoglie, può rivelarsi difficile ricominciare.
Dinamiche di attivazione delle comunità locali nei processi di inclusione sociale dei rifugiati: il ruolo dell’innovazione sociale. Il caso di Padova e del progetto di accoglienza in famiglia "Protetto, rifugiato a casa mia" di Caritas Italiana
Il ruolo degli operatori nell’accoglienza dei richiedenti asilo
, in Francesca Biondi Dal Monte ed Emanuele Rossi (a cura di), Diritti oltre frontiera. Migrazioni, politiche di accoglienza e integrazione, Pisa University Press, Pisa 2020, pagg. 265-286, 2020
Una breve storia del ruolo degli operatori e del social working nell'accogliena dei rifugiati e dei richiedenti asilo
Modelli europei di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo
2016
Il volume, nella prima parte, analizza le premesse culturali e filosofiche delle questioni dell’identità e della differenza e la loro ricaduta sui diritti, in un’ottica di decostruzione delle retoriche sull’alterità e tenendo in considerazione le dimensioni antropologica e culturale. La seconda parte è dedicata all’analisi dei dati sulle migrazioni a livello globale, per concentrarsi poi sulla situazione italiana al fine di far emergere, tra l’altro, l’insussistenza dell’allarmismo e delle retoriche dell’“invasione”, che spesso vengono agitate in Europa dagli “imprenditori della paura”. La terza parte si concentra sulla conduzione di un’indagine tesa a individuare le fonti normative, le implicazioni pratiche dell’accoglienza, il suo dispiegarsi nelle strutture dedicate a tale compito, le differenze rispetto al “modello” italiano, prendendo in esame quattro paesi europei: Francia, Regno Unito, Germania, Svezia. L’approccio è pragmatico e intende concentrarsi sulle procedure gestionali, sul ruolo delle strutture e degli enti locali d’accoglienza, sull’eventuale individuazione dell’esistenza di pregiudizi e doppi standard in relazione alla nazionalità e ai Paesi di provenienza di richiedenti asilo e rifugiati. In tal senso, le varie fasi che scandiscono le esperienze di accoglienza sono analizzate alla luce del loro profondo legame con la dimensione identitaria del richiedente, che si trova a vivere un momento esistenziale caratterizzato da grande incertezza e precarietà. La ricerca è stata realizzata nell’ambito del progetto formativo pluriaziendale “ALI – Accoglienza, Lavoro, Integrazione” promosso dal consorzio di cooperative sociali So. & Co. di Lucca in collaborazione con la cooperativa Saperi Aperti ed il consorzio CO & SO Empoli, grazie a un finanziamento del fondo interprofessionale Fon.coop.