L’inno a Zeus nella parodo dell’Agamennone: interpretazioni ‘ottimistiche’ e interpretazioni ‘pessimistiche’ (Ag. 160-183), «Grammata. Rivista di cultura umanistica» IV (2016) 351-381. (original) (raw)
2016, «Grammata. Rivista di cultura umanistica»
I vv.160-183 dell’Agamennone, ricordati dagli studiosi come “Inno a Zeus”, rivestono un ruolo centrale all’interno del discorso etico-religioso dell’Orestea. Eschilo mette in scena la tensione tra una volontà superiore, che trascende quella umana e la guida a un esito finale, e l’azione derivante da una scelta che conduce l’uomo a macchiarsi di hybris e a subire l’ineluttabile punizione di Zeus. La sofferenza umana e il senso di tale sofferenza – se si ammette che un senso ci sia – sono le tematiche che emergono dall’Inno. Il Coro descrive come Zeus abbia avviato gli uomini al φρονεῖν ponendo come legge basilare dell’esistenza che ognuno “apprenda attraverso la sofferenza” (πάθει μάθος), cosicché anche chi non vuole acquisisce “la saggezza” (σωφρονεῖν). Il μάθος, il φρονεῖν e il σωφρονεῖν corrisponderebbero a una condizione di “saggezza imposta” dalla divinità, di comprensione razionale della realtà e del πάθος che essa comporta. La strofe si conclude con due versi, oggetto di un dibattito ancora aperto: δαιμόνων δέ που χάρις βίαιος / σέλμα σεμνὸν ἡμένων. La lezione που, accolta dalla gran parte degli editori, fa sì che il Coro dia un senso alla sofferenza umana, affermando che “c’è, forse, una χάρις concessa dagli dèi”. I codici più antichi, invece, tramandano un ποῦ interrogativo che negherebbe dunque l’esistenza di una giustizia divina – “dov’è la χάρις degli dèi?” – e metterebbe in discussione l’interpretazione tradizionale della trilogia eschilea. Si intende fornire quindi uno status quaestionis intorno al problema testuale di Ag.182-183 per proporre poi un’interpretazione dell’Inno, della terminologia μάθος/φρονεῖν/σωφρονεῖν, dunque di alcuni aspetti essenziali del pensiero eschileo.