Archeologia e traduzione. Prolegomena alla meccanografia e alla simulazione artificiale del sema, in «Testo a fronte. Teoria e pratica della traduzione letteraria», 54/1, 2016, pp. 17-26 (ISSN 1128-238X). (original) (raw)
Meccanica (2010) — I Mechanica costituiscono la prima trattazione conservata di meccanica. Quest’opera ha avuto un’influenza notevole sulla formazione e sullo sviluppo del concetto di macchina, nell’antichità e in epoca moderna, e sullo sviluppo stesso della scienza antica e moderna. L’attenzione e l’interesse suscitati dal trattato sono particolarmente significativi nel momento in cui vengono poste le basi della scienza moderna della meccanica, e all’inizio di quella rivoluzione scientifica nella quale Galileo ebbe un ruolo di primo piano: Galileo studiò e commentò il testo dei Mechanica, che divenne anche tema delle sue lezioni nello studio di Padova. Il volume comprende introduzione, testo e traduzione a fronte, commento e apparati critici e bibliografici, figure. I numerosi problemi testuali sono affrontati nelle note di commento, valutando i dati della tradizione manoscritta e le scelte dei diversi editori, e proponendo, in alcuni casi, soluzioni o emendamenti originali (vd. Nota critica). Nell’introduzione viene delineato il problema dell’attribuzione, da inquadrare necessariamente in quello più generale della vasta produzione aristotelica e della sua trasmissione. L’argomento che sembra più promettente è l’analisi del lessico, e in particolare della terminologia geometrica, anche se la limitata conoscenza delle fonti, prima di Euclide, non permette sicure conclusioni, neanche in questo caso. Temi, questioni, concetti, principi, immagini, rapporti con le opere sicuramente aristoteliche, confronti con nozioni e contenuti di altre opere di carattere filosofico e scientifico, o più propriamente letterario, sono analizzati seguendo questo schema: La Meccanica e il Corpus Aristotelicum. Il cerchio e le sue ‘meraviglie’: contenuti e principi della Meccanica (L’esordio, Esposizione del tema, La figura del cerchio, Lessico e stile, Physis e techne, Mechane). L’ultima sezione (Lettori e traduttori della Meccanica nel Rinascimento) documenta la diffusione e l’influenza della Meccanica nell’Antichità e nel Medioevo, e l’interesse per essa da parte dei cosiddetti ‘restauratori’ della matematica classica, nel Cinquecento: alcuni di essi affrontano direttamente lo studio della Meccanica aristotelica, altri vi si soffermano di scorcio, commentando autori antichi diversi, oppure all’interno delle loro opere. In genere emerge una relazione stretta fra chi studiò e commentò la Meccanica nel sedicesimo secolo, e chi contribuì alla nascita della meccanica moderna. La maggior parte dei commenti costituisce non solo un contributo alla comprensione di un testo molto difficile, ma permette anche di seguire l’evolversi di discussioni su alcuni temi esaminati partendo dal prologo della Meccanica (che li affronta brevemente, ma con sicura consapevolezza del loro valore epistemico), e dominanti anche nella cultura del tempo: rapporto tra arte e natura; il concetto di meraviglia (come stimolo alla conoscenza e alla comprensione: ciò costituisce già di per sé un superamento della nozione di mechane, come ‘inganno’) e di utilità collegato alla ‘macchina’; l’intervento e la volontà umana necessari a conseguire effetti vantaggiosi non altrimenti raggiungibili; impostazione dello studio e applicazione di un metodo matematico a un oggetto fisico; status della meccanica all’interno delle scienze. Il revival della Meccanica nel Rinascimento parte da Venezia, e si estende poi ad altri paesi europei; in Italia esso assume tuttavia proporzioni molto più ampie, integrandosi nel vivacissimo recupero della tradizione greca e latina: l’attualià di quest’opera resta salda, almeno fino all’imporsi della meccanica di Galileo.
Recensione 'minor' e di taglio didattico rispetto a quella maggiore uscita in "Rivista di Cultura Classica e Medioevale", 61 (2019), pp. 534-541, cui si rinvia per gli approfondimenti scientifici.
Nella non titolata Prefazione della sua traduzione (1940) di Murder in the Cathedral, Cesare Vico Lodovici scriveva: «ho tentato l'impresa quasi disperata della traduzione, che presenta difficoltà al paragone delle quali una commedia di Shakespeare diventa la tavola pitagorica». 1 Pochi anni più tardi, tra i termini post e ante quem del 1948 e del 1951, 2 sarebbe stato Beppe Fenoglio a cimentarsi nella stessa sfida traduttiva, instaurando una tensione agonistica a distanza con Lodovici, come testimoniato da una lettera di self-promotion, datata 8 settembre 1951, indirizzata a Italo Calvino: «Ti passo, come saggio, la mia traduzione dei cori e dell'interludio di Assassinio nella Cattedrale: fammi il favore di compararla a quella di Ludovici». 3 Se Calvino, con lettera del 26 settembre 1951, rispondeva: «Non m'aspettavo di vederti traduttore di Eliot. La tua versione scorre bene, ed è di solito migliore di quella di Lodovici; non ho avuto ancora modo di confrontarla 1
Tradurre i trovatori. Esperienze ecdotiche e di traduzione a confronto, 2020
Nei diffusi vocaboli solatz, deport e chan è possibile individuare una vera e propria “nebulosa semica” da collegare strettamente all’ambiente cortese, e specificamente al piacere mondano che deriva dalla conversazione condita con l’esibizione canoro-musicale di un trovatore. Il riconoscimento di questa solidarietà semantica porta a ipotizzare che le due canzoni di Pons de la Guardia che si aprono con tale “nebulosa” (BdT 377.4 e 377.7) siano da ricondurre a un medesimo momento creativo e performativo, e che, di conseguenza, nel complesso del corpus di Pons vadano privilegiati i due canzonieri E e V, che sono gli unici a trasmettere questi due testi. E particolare attenzione si dovrà dare al secondo, che potrebbe aver preservato una possibile ricezione catalana dei componimenti di uno dei trovatori più emblematici della Catalogna di fine XII secolo.
L’eco del Classico. La Valle dei templi allo Studio Museo Francesco Messina di Milano, Siracusa, 2018, 2018
The paper aims both to explore the history of the Archaeological Collection belonged to the renowned artist, Francesco Messina and to highlight an unusual personality of twentieth century collector. Actually, we do face nor the common businessman-collector, neither the antiquarian-collector: rather we face a more uncommon artist-collector. Almost forgotten after the sculptor’s death, the “Francesco Messina” Archaeological Collection is made of nearly seventy Classical items, besides dozens of Mesoamerican, Egyptian and Chinese artefacts. Among the Classical objects, some are particularly worth mentioning: a sizeable number of Greek clay statuettes, representing horses and female fgurines (these latter are all images very dear to the artist), some Greek and South Greek red-fgure vases, fnally an outstanding group of inscribed clay urns from Chiusi, probably all coming from the same tomb. Additionally, there are few Roman marble portraits. The Messina Collection, which was so to speak ‘brought to light’ between 2012 and 2013 in the storerooms of the Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia (Milano), is now the focus of a challenging research and evaluating project, carried out by the Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano. Main purposes of the project are the scientifc edition of the artefacts (with some results already achieved) and the study of the archive documents (travel diaries, postecards, letters etc.), preserved at the Fondazione “Francesco Messina” (Milan, Via Cesariano).