Santa Cristina in Caio. Storia ed Archeologia (2009-2014) (original) (raw)

Santa Cristina in Caio. La lunga durata di un insediamento pubblico viario tra età romana e medioevo

Santa Cristina in Caio. La lunga durata di un insediamento pubblico viario tra età romana e medioevo, 2022

Il libro raccoglie i risultati delle campagne di scavo 2009-2015 a Santa Cristina in Caio (Buonconvento, Siena) e contestualizza il sito nel più ampio fenomeno delle mansiones, dei vici romani e dei riusi tra tarda antichità ed alto medioevo. In generale sono affrontati i temi riguardanti le trasformazioni delle campagne toscane durante la fine dei paesaggi antichi e l’eredità delle terre pubbliche nella lunga durata tra l’impero romano e quello carolingio. Santa Cristina in Caio infatti viene probabilmente fondato nel corso del I secolo come luogo di sosta lungo la Via Cassia che univa Chiusi con Siena; l'impianto termale, tra fine IV e inizi V secolo, viene completamente spoliato e l'area viene occupata da capanne fino agli inizi dell'VIII secolo. Agli inizi del IX secolo viene citata per la prima volta la chiesa di Santa Cristina e Ludovico il Pio conferma le sue pertinenze all'abbazia di Sant'Antimo.

Bianchi, G., Berti, G. (a cura di). (2007). PIOMBINO.LA CHIESA DI SANT’ANTIMO SOPRA I CANALI. Ceramiche e architetture per la lettura archeologica di un abitato medievale e del suo porto. FIRENZE : ALL'INSEGNA DEL GIGLIO.

Bianchi, G., Berti, G. (a cura di). (2007). PIOMBINO.LA CHIESA DI SANT’ANTIMO SOPRA I CANALI. Ceramiche e architetture per la lettura archeologica di un abitato medievale e del suo porto. FIRENZE : ALL'INSEGNA DEL GIGLIO., 2007

Gelichi fig. 15 Case costruite addossate ai resti di uno dei bastioni medicei del Castello. stualizzando evidenze materiali sino ad allora completamente ignorate. Sempre da Gelichi, insieme a Maurizio Paoletti (GELICHI, PAOLETTI 1978), vennero pubblicati nel 1978 i risultati di uno scavo di depositi compresi tra il XIII ed il XV secolo, rinvenuti nel centro storico, in via Cavour. A ventinove anni di distanza, questa rappresenta ancora l'unica edizione di indagini archeologiche urbane, pur frequenti negli anni successivi 7 . Ma proprio nell'ultimo ventennio dello scorso secolo, la globalizzazione dell'economia, con l'ingresso di nuovi produttori più concorrenziali nel mercato mondiale siderurgico, ha avuto riflessi importanti sul tessuto produttivo e sociale di Piombino. Il passaggio dalle Partecipazioni Statali alla privatizzazione dell'industria ha comportato più investimenti negli impianti e una forte riduzione dell'occupazione. La crisi della siderurgia ha così evidenziato il problema della mono-economia e della ricerca di altre strade allo sviluppo. Questi passaggi hanno imposto una necessaria diversificazione economica che doveva muoversi verso la tutela dell'ambiente e il recupero e la salvaguardia del patrimonio storico-architettonico. Su questo ultimi aspetti si è impegnata l'amministrazione comunale, sin dagli anni Ottanta dello scorso secolo, tutelando ampie fasce di territorio costiero, e avviando, soprattutto nell'ultimo decennio dello scorso secolo ed i primi anni del successivo, con il supporto di fondi regionali e comunitari europei, importanti progetti di recupero di alcuni complessi architettonici: il restauro della cosidetta 'Casa delle Bifore' divenuta sede del locale Archivio Storico; il restauro del complesso di Cittadella; il recupero del chiostro e strutture annesse della Concattedrale di S. Antimo, che ospita il Museo diocesano 'Andrea Guardi'; il restauro dell'ex Bagno Penale nonché ex originario palazzo Appiani, destinato a divenire Museo del Mare, dell'Acquario e Centro di Educazione Ambientale, oggi ospitante uffici comunali; il recupero del corpo edilizio principale del Castello e delle aree esterne connesse ai restanti originari bastioni di età medicea. All'interno di quest'ultimo progetto, grazie all'interesse dei progettisti 8 , fu prevista sin dall'inizio dei lavori, nel 1999, una collaborazione tra archeologi ed architetti, al fine di riscoprire, attraverso le letture dei depositi del sottosuolo e degli elevati, la sequenza storica del complesso monumentale. Per chi scrive, che coordinò insieme a Riccardo Francovich le indagini archeologiche, tale esperienza fu altamente formativa. Sia per l'eccellente rapporto instauratosi con gli stessi progettisti, pronti a cogliere tutte le informazioni desumibili dal nostro lavoro e modificare lo stesso progetto di restauro in relazione ai nuovi dati, sia per la consapevolezza dell'utilità sociale delle nostre ricerche. Ricostruendo le diverse fasi di vita del monumento, e cercando di tradurre e raccontare queste nostre scoperte 9 , in corso d'opera con affollatissime visite della cittadinanza al cantiere, poi con la realizzazione nel 2001 del Museo del Castello e della Città, si aveva la coscienza di fare perlomeno un tentativo di trasmissione del valore storico del complesso studiato, affinché il pubblico di non specialisti recepisse un importante passato, da non intendere più come un qualcosa di sconosciuto, indefinito ed astratto. Le ricostruzioni grafiche e le immagini presentate in questo capitolo sono tratte proprio dai pannelli e dalle postazioni multimediali che guidano il visitatore all'interno di uno spazio architettonico inizialmente concepito come museo di 'se stesso' e in seconda istanza, grazie alla proficua collaborazione interdisciplinare, divenuto il luogo dove i piombinesi, in primis, potevano familiarizzare con la complessa storia della propria città dall'età medievale a quella contemporanea. Con le stesse finalità, sempre nell'anno 2001, fu inaugurato a Cittadella il Museo Archeologico del Territorio di 7 Molte delle indagini del sottosuolo effettuate in occasione di lavori pubblici sono state di sovente controllate, per incarico della Soprintendenza Archeologica, da membri della Associazione Archeologica Piombinese. 8 Il progetto di restauro era stato affidato allo studio P+R Progetti e Ricerche di Architettura con sede a Roma. Il gruppo dei progetti era composto da Carlo Melograni, Piero Ostilio Rossi, Ranieri Valli con Giuseppe Serrao e con la consulenza generale di Paolo Marconi e Michele Zampilli. Il progetto strutturale è stato eseguito da Giovanni Cangi, la direzione dei lavori è stata affidata a Michele Zampilli, mentre Ranieri Valli si è occupato del progetto e direzione lavori arredi. Leonis de Babilonia», ossia dai Casalei, i cui antenati avevano diviso l'isola di Pianosa con il vescovo Azzo (1015-1031) 27 , mentre attualmente Turchio e i suoi cugini detenevano possessi arcivescovili a Calci concessi in livello ad un loro antenato, dei quali Turchio rifiutava di rendere giustizia a motivo dell'assenza dei cugini Vernaccio, «qui tunc captus a comite Siculo tenebatur», e Alfano figlio di Caimo. Vernaccio faceva dunque parte di quei 596 cittadini pisani catturati il 6 agosto 1135 dal conte di Sicilia Ruggero II durante la spedizione navale pisana contro Amalfi e le città circostanti nell'ambito della guerra connessa con lo scisma del 1130, quando Pisa, principale sostenitrice di Innocenzo II, si opponeva ai Normanni fautori di Anacleto II: il ritorno dei prigionieri si ebbe solo dopo la stipulazione della pace, nel settembre 1137 28 . Il documento appena esaminato mostra il precoce e cospicuo interessamento dei Casalei per le attività legate al mare e per un'isola come Pianosa, un contesto che spiega la presenza di Vernaccio a Piombino, connessa sia con gli interessi marittimi della casata sia con i rapporti con la Chiesa arcivescovile pisana. L'attenzione per l'alto Tirreno è ulteriormente confermata da diritti sull'isola d'Elba, testimoniati all'inizio del 1318 come proprietà indivisa dei rami dei da Mercato, Buttari, Lancia e Vernagalli 29 , diritti che evidentemente risalivano ad antenato comune, e quindi ai capostipiti di quei rami, Guglielmo di Caimo -da cui discesero i da Mercato e i Buttari -e Ugo di Ranuccio -antenato dei Vernagalli e dei Lancia -, vissuti nel secondo quarto del XII secolo 30 e contemporanei di Vernaccio, i quali potrebbero aver ottenuto tali diritti proprio dall'arcivescovo, il cui importante ruolo nell'isola è ben noto 31 . Verosimilmente era stato l'abate Gherardo (I) a concepire il progetto di un ampliamento del castello di Piombino nella porzione a lui spettante, a motivo di un aumento della popolazione come mostra la costruzione di una nuova chiesa ma, probabilmente per scarsa disponibilità di danaro contante, si era rivolto a Vernaccio, il quale ora esigeva una contropartita, in base ai patti -a noi ignoti -allora stipulati. Con il nuovo abate Gherardo (II) erano sorti contrasti sull'adempimento di tale contratto, forse lesivo degli interessi del cenobio o magari ambiguo, sì che il monastero si trovò a subire molestie da parte di Vernaccio: a dirimere la questione intervenne l'arcivescovo di Pisa, il cui ruolo di arbitro è spiegato a sufficienza e dalla posizione goduta a Piombino e dai rapporti intrecciati sia con il cenobio di Falesia sia con i Casalei. La questione tuttavia non terminò qui ma, morto Vernaccio, la vertenza continuò tra l'arcivescovo Villano -successore di Baldovino -, l'abate di Falesia e gli «habitantes in castello, curte et districtu de Plumbino» da una parte e gli eredi di Vernaccio, ossia la moglie Calcesana del fu Lamberto di Ugo di Guido, risposatasi con Alberto marchese di Corsica, e le figlie Vernaccia e Teodora dall'altra. Le tre donne evitavano di giungere ad una sentenza giudiziaria conducendo in lungo la questione e cercando di stancare gli avversari con continui cavilli finché, per intervento dei maggiorenti cittadini («interventu vicecomitis, consulum, iudicum aliorumque probabilium hominum»), si pervenne ad una composizione 'amichevole' documentata da un atto rogato a Pisa il 23 dicembre 1147. Vernaccia e Teodora, «auctoritate et consensu» del loro mundoaldo, lo zio materno Uguccione del fu Lamberto de Curte, rinunciarono a favore dell'arcivescovo, dell'abate e degli abitanti di Piombino a ciò che poteva spettare loro nel castello e curtis di Piombino per le spese compiute e gli acquisti effettuati e refutarono i diritti relativi all'arcivescovo. A conferma dell'atto esse ricevettero da Sismondo del fu Conetto, fidelis dell'arcivescovo, un anello d'oro e dall'arcivescovo 150 lire di moneta lucchese 32 . Calcesana, la vedova di Vernaccio, apparteneva alla cospicua famiglia consolare de Curte, di cui pure sono testimoniate attività marittime 33 , e gli interessi mediterranei sono confermati dal secondo matrimonio della donna con un Obertenghi, Alberto marchese di Corsica, e dalle nozze della figlia Vernaccia con un importante personaggio corso, Guido del fu Ansaldo Cortingi. Alberto apparteneva infatti a quel ramo della casata obertenga che, presente in Corsica fin dall'inizio dell'XI secolo, cercava di affermare il proprio dominio sull'isola in un contesto di rapporti mediterranei 34 , in

Il contesto delle sepolture anomale di Santa Cristina in Caio. Metodi di indagine, cronologie e cultura materiale, in FACTA - A journal of late roman, medieval and post-medieval culture studies 9/2015, 2016, pp. 83-105

(italiano) Lo scavo su Poggio alle Fonti, nel sito di Santa Cristina in Caio, ha permesso di individuare un'area cimiteriale composta (al momento) da almeno 50 sepolture. Tre di queste inumazioni hanno intercettato una precedente capanna semiscavata. Si tratta di tre sepolture anomale, definite così per la singolare posizione degli inumati, deposti con le gambe sollevate rispetto al corpo. Il contesto si caratterizzava per la singolarità della successione stratigrafica e per la discreta quantità di cultura materiale rinvenuta, all'interno di una generale assenza di stratigrafia orizzontale, dovuta agli effetti dei lavori agricoli che si sono succeduti sulla collina. Lo scavo ha permesso di individuare, oltre alle sepolture e alle capanne, un grande abside con una corda di 5 metri, intercettato da una sepoltura, un'area di scarico di una fornace a pareti sottili, un edificio tardoantico, funzionale alla lavorazione del metallo. Lo studio che presentiamo è finalizzato a definire la cronologia delle tre fasi di frequentazione (area insediativa-area sepolcrale-abbandono), contestualizzandole all'interno delle aree di scavo della collina e dell'insediamento romano e altomedievale in generale. (Inglese) The excavation at Poggio alle Fonti, in the site of Santa Cristina in Caio, allowed us to identify a cemetery composed by at least 50 burials. Three of these burials intercept a previous hut. These are three deviant burials, so defined for the singular position of the bodies, placed with legs raised with respect to the body. The context was characterized by the singularity of the stratigraphy and by the amount of recovered material culture, in the absence of a general horizontal stratigraphy, due to the effects of the agricultural activities that have taken place on the hill. The excavation has identified, in addition to the burials and the huts, a great apse with 5 meters of diameter, intercepted by a burial, an area of discharge of a furnace, a late antique building, functional metal processing. The study that we present is aimed at defining the chronology of the three occupation phases (settlement, burial area and abandonment), contextualizing them with all the roman and early medieval settlement of Santa Cristina in Caio.

S. Cristina in Caio (Si). L'area produttiva delle terme.

avvio dalle ricerche svolte dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici della Toscana che condusse nella zona alcuni saggi di scavo tra il 1992-1994 (AA.VV. 1995) e dalle ricognizioni, strumentali e di superficie, tra il 1998 ed il 2003 per il progetto "Carta Archeologica della Provincia di Siena" (Cenni 2008). A partire dal 2009 è iniziato lo scavo sistematico dell'area in ragione della necessità di approfondire quanto segnalato in corrispondenza di un'anomalia riconosciuta attraverso la diagnostica archeologica e interpretabile quale indizio della presenza di strutture, riconducibili ad un impianto termale, come in seguito è stato di fatto confermato dall'indagine stratigrafica. Lo studio puntuale dell'intero deposito archeologico relativo a detto impianto ha permesso di riconoscere anche un'importante fase, legata alla sua dismissione, durante la quale furono preponderanti le attività piro-tecnologiche, basate essenzialmente sul riciclo del materiale di spoglio.