Arabeschi n. 2, luglio-dicembre 2013 (original) (raw)

Arabeschi n. 4, luglio-dicembre 2014

distinzione che gli editori continuano a fare: esistono gli editori di fotografia ed esistono gli editori di letteratura, saggistica, eccetera. Gli editori 'classici' non sanno dove mettere i libri di fotografia, o hanno una apposita sezioncina. Tra l'altro, una delle caratteristiche dei libri pubblicati dagli editori di letteratura è che sono stampati male: «ah, ma poi costa caro», «ma sai, con questa carta non può che venire così». C'è un'assunzione a priori del fatto che se si tratta di immagini puoi pubblicare un libro pieno di refusi, come se fosse una cattiva traduzione da un classico e questo non ha importanza perché, in definitiva, sono fotografie. Non è un fatto tecnico, è un fatto culturale, conseguenza di una certa maniera di concepire le cose. D'altra parte, se proprio la vogliamo pigliare da lontano, per esempio, la graphic novel-io non ne sono un fanatico-non è stata scoperta, promossa e rivelata dagli editori di letteratura. Gli autori si sono dovuti fare, loro, le case editrici per pubblicare queste cose. Dopodiché anche gli editori di tradizione, fino ad un certo punto, l'hanno assunta nel loro panorama. Questo per dire che, in un certo senso, se tu fai il fotografo ti trovi in una situazione ambigua, dal punto di vista del rapporto con la letteratura. D: Prendendo spunto dalla prospettiva da cui partono gli Incontri con la fotografia da lei ideati e coordinati che si terranno nell'auditorium di Roma dall'11 marzo in poi, quali rapporti intrattiene (e ha intrattenuto in passato) la fotografia con le altre forme di rappresentazione artistica e con gli altri saperi? Il suo essere «arte media» (come sosteneva Pierre Bourdieu) dà alla fotografia una posizione privilegiata di dialogo (anche solo potenziale) con le altre forme di rappresentazione del mondo? n. 4, luglio-dicembre 2014 Arcidiacono-Casero-Rizzarelli, Videointervista e giornalisti: ci sono alcuni che hanno un rapporto di testimonianza molto forte, legata al momento, ci sono, invece, dei reporter che possono anche essere 'utilizzati' e, come uno scrittore, li mandi in Siria e descrivono quello che sta succedendo ad Aleppo. È una cosa diversa da quella che può scrivere un giornalista che te ne fa la cronaca, perché magari sfondano il muro di quello che si vede e di quello che è successo per dartene il senso, e soprattutto te ne danno il tono, te ne danno anche la musica. Quindi, io sostengo che si capisce meglio il tipo di funzione, di approccio fotografico al mondo, dei vari fotografi considerando la destinazione finale dei loro scatti, che può essere il giornale, che può essere il libro, la mostra, eccetera. Anche le mostre. A me è capitato, di ritorno dall'Etiopia, di voler fare una mostra per ragioni umanitarie, per fare in modo che potesse servire a raccattare dei soldi. Se tu fai una cosa di quel genere e la confezioni in un modo diverso, anche formalmente, visivamente-le grandi foto, le luci-vuol dire che quella roba lì la estrai dalla sua funzione e cerchi di promuoverla ad un livello diverso, che sarebbe quello dell'arte. Significa che la fai diventare inconsistente dal punto di vista del suo uso. Mentre, invece, è differente se va a finire in un libro, o anche in una mostra, ma costruita in un certo modo, attraverso il carisma formale del fotografo, che esiste. A me non piace parlare di belle fotografie, mi pare un'espressione cretina. Giustamente Cartier-Bresson diceva: «c'è cosa più inutile di una bella fotografia?». Tu che fin da quando avevi vent'anni frequentavi un certo tipo di persone questa cosa la intuisci, la capisci. In fondo, io ho fatto tante cose. Ho cominciato facendo un libro, che siccome sta in piedi ancora a distanza di cinquant'anni anni, allora lo si può guardare come lo sguardo di uno che fa un lavoro di tipo antropologico, ma la cui scrittura può portarlo ad un livello un pochino più alto. Quindi quando io penso al libro, penso ad un contesto di racconto. Io ho sempre detto di aver fatto libri con fotografie piuttosto che libri di fotografie. Perché i libri di fotografie si fanno. Ad un certo punto uno fa il reporter, poi diventa abbastanza famoso o apprezzato per cui gli fanno una antologica. Una antologica implica che metti insieme the best one hundred pictures of your life, che è una cosa di una stupidità bestiale: non serve assolutamente a niente. Io ho sem

N° 2 -Febbraio 2013

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Arabeschi n. 3 - GALLERIA

The paper moves from the exhibition Literature as document. Visual culture of the Thirties, organized by the three authors and by the Mdrn group – KU Leuven University – in December 2012. The purpose of the exhibition was to select materials focused on the complex relations between literature and document during the Thirties in Europe. The paper proposes some metodological – theoretical reflexions on the role played by exhibitions, visual installations and shows in presenting the research activity in the academic field. Doing research in the humanities means to eleborate theoretical concepts and to apply different metodologies to the analysis ofsingle case studies. The exhibition can be the most effective instrument to expose and organize a theoretical and analytical path that comes first, even from a narrative point of view, and to make it accessible to a broader public (even a non-academic one). The balance between scientific exigencies and the need to democratize the research activity, is difficult to mantain, but important to reach. What is then an exhibition? What does it mean to think, to project, to prepare and exhibition in the academic field? Which characteristics make visual installations an effective instrument to spread and communicate the results of the research activity?