Eugen Drewermann ''L'esperienza della morte'' (original) (raw)
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ESPERIENZA GIURIDICA NEL "DECAMERON"
Non v'è lettore del Boccaccio che possa dubitare del rilievo che il mondo femminile tiene, sin quasi a campeggiarvi, nella sua opera, dagli anni napoletani della Caccia di Diana sino al De mulieribus claris e alle Esposizioni sopra la Comedia di Dante. 1 Tutto l'arco della sua operosità letteraria sembra così inscriversi, con una coerenza che va ben oltre i canoni formali della cortesia, sotto il segno delle donne, prima amate in giovinezza nelle loro allegoriche e mitologiche rappresentazioni, in séguito elogiate e narrate quali dedicatarie e legislatrici e protagoniste del Decameron, poi storicamente considerate in un'ampia casistica di esempi illustri, poi ancora biasimate nel Corbaccio (dove, tuttavia, la figura schernita è la contraffazione della vera natura muliebre), al fine celebrate in pagine delle Esposizioni che ancora non hanno perduto la loro audace carica di novità (Esp. IV, all., 64-67). 2 Queste ultime, in particolare, consentono di fissare nelle donne e nella loro nativa sapienza, dichiarata superiore a quella d'Aristotele e Platone, l'ispirazione permanente del Boccaccio, 3 quale del resto l'aveva egli stesso definita in una famosa pagina del Decameron, dedicata alla natura femminile delle Muse (IV Introd., 35-36). 4 Del resto, 1 Sull'universo delle donne in Boccaccio si possono leggere le osservazioni di F. TATEO, Boccaccio, Roma-Bari, Laterza, 1998, passim.
Matteo Sclafani: paura della morte e desiderio di eternità
Mediterranea Ricerche storiche, 2006
Se la volontà di non morire intestato si diffonde in misura sempre più rilevante nel XIV secolo fra i ceti dirigenti cittadini, originata, probabilmente, da una resistenza alla logica consuetudinaria che sanciva un sistema di distribuzione tripartita e, quindi, di ripartizione egualitaria della ricchezza in ambito di successione 1 , in alcuni casi l'esigenza di programmare dettagliatamente gli eventi post mortem diventa una vera e propria ossessione. È il caso di Matteo Sclafani che, dopo avere espresso le sue volontà testamentarie già il 6 agosto 1333 2 , le mutò più volte redigendo altri testamenti il 2 aprile 1345 3 , il 28 maggio 1348 4 e il 6 settembre 1354 5 .
Storie di fine vita. Saggio sull'eutanasia
La Carmelina, 2014
Innovazioni come la nutrizione parenterale o la respirazione artificiale rappresentano un indubbio progresso della biomedicina e offrono possibilità terapeutiche prima inimmaginabili. Tuttavia, questi presidi medici hanno anche generato “dilemmi bioetici” inediti. L’eutanasia è una pratica antica quanto l’uomo, ma le situazioni in cui oggi la questione viene sollevata non hanno precedenti. In passato, il malato che voleva farla finita poteva semplicemente rifiutarsi di assumere cibo o farmaci e la natura avrebbe fatto il proprio corso. Oggi, persone coscienti ma totalmente paralizzate, oppure prive di coscienza, sono tenute in vita dalle macchine, talvolta contro la loro volontà. In questo libro si ricostruiscono i casi più eclatanti di eutanasia o accanimento terapeutico, al fine di esplorarne i risvolti bioetici e sociologici.
Hume, Goethe, Cioran, l'Eutanasia e la scena Depressive Suicidal Black Metal
Certo, uno scritto che solo Lunaria può pensare di fare. Non è "argomento da università, da ateneo e da accademia" il Depressive Suicidal Black Metal, ma noi ce ne f*ttiamo dei perbenismi moralistici bon ton e lo trattiamo corredando il tutto con roba letteraria che ci gusta. Non andrà tutto bene e niente sta andando per il meglio, quindi rispetto alla melassa da mainstream che vi racconta che "tutto andrà bene e tutto sta andando bene" noi rivendichiamo il piacere nichilista e cioraniano di demolire il buonismo e proclamare che le cose andranno sempre peggio, come sempre sono andate anche prima del Covid-19 e noi ci facciamo trovare già preparate ad affrontare la desolazione esistenziale con una bella soundtrack a tema DSBM, ché i libri Cioran ce li ho fissi a stazionare sul comodino sin dal 2004, e a quelli mi sono sempre attenuta.
Eberhard Jüngel: l’esperienza dell’esperienza
E' il testo dell'articolo pubblicato in “Protestantesimo. Rivista trimestrale pubblicata dalla Facoltà Valdese di Teologia”, 2011, f. 1, pp. 23-44. Nello studio sono analizzate alcune intersezioni tra filosofia e teologia presenti in Dio, mistero del mondo, prendendo in considerazione soltanto quelle di ordine gnoseologico, per cui rimane fuori dal campo di indagine la problematica di Dio come “più che necessario”. Per prima cosa si enuclea la convergenza dell’elaborazione teologica di J. con la costellazione fenomenologico-ermeneutica, con riferimento in particolare a Husserl, Heidegger e Merleau-Ponty; essa si realizza nel porre come cooriginari la percezione, il linguaggio e il pensiero. Quindi viene focalizzata l’utilizzazione che J. fa della figura heideggeriana dell’Entfernung (disallontanamento), assumendola e ripensandola originalmente nella nozione di “esperienza dell’esperienza”. Contenuto di quest’ultima è l’evento, contingente ma non casuale, della Parola di Dio, depositata nella Scrittura, che si avvicina all’uomo, venedogli incontro con un’intenzione sospendente e interpellante, e con la richiesta di essere accolta per fede. Tale cifra teologica si palesa in tal modo come il filo conduttore con cui J. ripercorre e riattualizza le particulae exclusivae della Riforma, nel solco di Lutero e Barth. Il prosieguo dell’indagine mostra come “l’esperienza dell’esperienza” porti a evidenza che l’incontro con la parola di Dio può essere pensata come mistero, se non si riduca questo a all’ordinarietà dell’enigma e se ne colga l’originarietà insieme al suo orlo di intelligibilità. Così inteso, il mistero è colto e dispiegato dal dispositivo teorico costituito dalla analogia fidei, mediante cui il mistero che Dio introduce nel mondo si dispiega come il salvifico 'mysterium trinitatis'.