Introduzione al pantheon azteco (original) (raw)
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Introduzione alla mitografia isidoriana
Incontri di Filologia classica 12, 2012-2013, pp. 101-128, 2014
Il presente articolo vuole illustrare un aspetto del problematico rapporto dei letterati cristiani nei confronti della classicità pagana e cioè la valutazione dei contenuti mitologici: inizialmente rifiutati perché ideologicamente incompatibili con la nuova cultura, vengono presto variamente utilizzati come elemento di repertorio letterario e simbolico, come mostra chiaramente il caso esemplare di Agostino. Nella tradizione enciclopedica cristiana, poi, il mito trova un'ulteriore collocazione come dato antiquario: l'analisi degli inserti mitologici presenti nelle Etimologie di Isidoro (in particolare la sezione De dis gentium in VIII 11), interpretati alla luce delle fonti e della tradizione patristica e classica al proposito, viene collocata all'interno della più generale riflessione dello scrittore sulla mitologia: da semplice compilatore impersonale la figura dello scrittore anche da questo punto di vista può essere valutata in modo più organico e culturalmente più significativo.
Introduzione al Piccolo Atlante Celeste
Einaudi, 2009
«Per discorrere di stelle il nostro linguaggio è inadeguato, come chi volesse arare con una piuma: è nato con noi, ha le nostre dimensioni, è umano», così scriveva Primo Levi sulla difficoltà di tradurre il cosmo in parole. «È chiaro che nel nostro lessico qualcosa non funziona». Solo la grande letteratura può forzare verso l'infinito i limiti delle parole conosciute: dalla cometa solitaria di Del Giudice - quasi un corpo di donna -, alla visione planetaria raccontata da Updike con il consueto sorriso a fior di labbra; dalle stelle «folgorantie tremanti» descritte da Galileo, all'irriverenza di Cortázar con la sua banda di spazzini celesti. Venticinque racconti e due strani saggi, in bilico tra il rigore e la passione, per dire il mistero del cuore dentro quello delle leggi cosmiche, segreti entrambi persino allo sguardo implacabile dei telescopi. Quando Primo Levi scriveva che trovare un linguaggio adeguato alla descrizione della volta celeste era sforzo immane, come «arare con una piuma», non poteva immaginare a quali risultati sarebbe giunta la ricerca scientifica: oggi siamo in grado di studiare l'universo fin da pochi istanti dopo la sua nascita. I racconti qui presentati - che comprendono un folgorante inedito di John Updike - evocano i momenti più avvincenti di questa lunga avventura alla scoperta del cosmo e dei suoi segreti. Una cronaca (quella quotidiana dell'uomo che si confronta con l'infinito) fatta di qualche successo e di molti vergognosi fallimenti, di entusiasmi infantili e di oscillazioni della fede. Suddivisi in categorie emotive - «Piccolo atlante celeste», «Sentimento del cielo», «Astronomi» e «Cosmologie» -, i testi giocano la doppia carta dello scienziato prestato alla letteratura e dello scrittore alle prese con la prosa scientifica. Da Galileo che s'inventa un volgare italiano che possa restituire tutte le imperfezioni del volto lunare, ad Alice Munro, che rivela lo scacco delle verità scientifiche di fronte alla complessità degli affetti. La caccia ai confini del cosmo, la ricerca della vita oltre quella nata sulla terra, sono - lo dimostra questa raccolta - temi fondanti della grande letteratura. Seguendo la «passeggiata notturna» del disincantato protagonista di Buzzati, attraverso l'ironia illuminista della giovane sposa di Theuriet, fino all'abbandono di ogni certezza dell'astronomo del Cervino realmente incontrato da Pontiggia, il lettore si scontrerà con la vertiginosa ampiezza del cielo stellato. E scoprirà che quella che vede attraverso il telescopio altro non è che la sua immagine riflessa.
Gli Aztechi e la pratica sacrificale
Scacchiere Storico - Rivista Online di Ricerca e Divulgazione Storica, 2022
Fare luce sulle popolazioni mesoamericane, o più in generale precolombiane, non è semplice a causa della scarsità di fonti, nella maggior parte dei casi spazzate via dall'arrivo degli Europei. Nonostante tutto, gli stessi cronisti che parteciparono alla conquista dell'impero azteco ci hanno lasciato dei resoconti utilissimi, sebbene parziali ed incompleti. Lo scopo di questo articolo è quello di provare a spiegare un aspetto fondamentale della vita degli Aztechi, cercando non solo di attuarne una breve ricostruzione, ma anche di illustrarne le reali motivazioni. Si tratta di una pratica che inorridì gli Spagnoli, poi da essi strumentalizzata per sostenere la barbarie di quella civiltà e giustificarne l'annientamento: il sacrificio umano.
Introduzione all’aramaico biblico
Studium Biblicum Franciscanum: Analecta 85, 2018
An introduction into Biblical Aramaic for beginners with basic knowledge of Biblical Hebrew
Mitologia e sciamanesimo nella civiltà dei Toltechi
In seguito alla decadenza della città-stato di Teotihuacan, forse dovuta ad invasioni di popoli ostili o per gravissime crisi alimentari, vari genti si contesero il dominio economico e culturale del Mesoamerica. I Toltechi e altri gruppi di colonizzatori chiamati Nonoalchi, si stanziarono in una zona situata circa 65 chilometri a nord di Teotihuacan, dove in seguito fu fondata la città di Tollan Xicocotitlan (Tula o città vicina al monte Xicoco). La zona era già abitata da alcuni gruppi di Otomies, che ancora oggi rappresentano un consistente gruppo indigeno messicano. Quando i primi eruditi spagnoli, tra i quali il frate Bernandino de Sahagun, vennero a conoscenza, dagli Aztechi, della antica civiltà dei Toltechi, gli fu descritta come mitica, e ubicata in una valle paradisiaca, dove vi era abbondanza di raccolti e le persone si cibavano di variopinti uccelli tropicali. Ecco un passaggio del libro Historia General de las Cosas de la Nueva Espana, chiamato poi Codice Fiorentino (1577), del frate Bernardino de Sahagun:
ANTROPOLOGIA DEL PAESAGGIO TOSCANO.pdf
Senza leggere cosa scrivono-purtroppo non letti, o se letti non capiti-del paesaggio italiano i massimi studiosi in materia, le mie proposte rimarrebbero forse incomprese o non sarebbero valutate nella giusta luce. E' quindi parafrasando qui sotto un testo del Prof. Leonardo Rombai, dove vengono spesso citate dichiarazioni di altri colleghi e amici geografi, quali Lucio Gambi ed Eugenio Turri, che intendo presentare alcune proposte che, qualora fossero prese in considerazione, potrebbero servire a far capire ai nostri amministratori che essi amministrano un mondo devastato dalla barbarie dell'ignoranza, o dall'individualismo più incallito, di chi li ha preceduti. Chi ha ridotto il nostro paese in queste condizioni non merita venia. ___________ Come scrive, il Prof. Leonardo Rombai, un grande geografo italiano, del quale faccio mie le parole e il pensiero, "il paradosso italiano" è quello di un paese geologicamente e geograficamente giovane, ma storicamente antico, modificato a livello superficiale dalla storia molto di più che dalle forze della natura. L'Italia è il paese più 'costruito' d'Europa e il 900% (novecento per cento) del costruito è stato edificato dalla metà del XX secolo ad oggi! Dalla pianura padana per secoli sommersa dalle acque, ai litorali della Sicilia, un tempo infestati dalla malaria, l'Italia è stata sottoposta, nel corso dei millenni e da più civiltà, a una colossale opera di trasformazione. Dai Greci agli Etruschi, dai Romani ai monaci benedettini, dagli Stati preunitari sino ai governi repubblicani di questo dopoguerra, un'opera ininterrotta di bonifiche ha trasformato l'habitat naturale alle nuove esigenze di abitabilità delle popolazioni e alle pressioni dello sviluppo. Se l'ambiente è divenuto, in una parola, realtà umana, in considerazione dei suoi valori messi in atto, tale realtà umana si presenta ai nostri occhi con forme e caratteri assai variegati, in conseguenza di un gran numero di eventi storici. L'ambiente si è plasmato e si plasmerà secondo le strutture di ordine economico, giuridico, scientifico che ogni comunità umana si è data da quando è uscita dalle costrizioni della mera sussistenza ed ha potuto scuotersi di dosso la cristallizzazione sociale, liberandosi dai lacci del mito, come in altre parole dice Lucio Gambi. L'elevato grado di storicità che si rileva in quasi tutti gli ambienti italiani, anche in quelli che i nostri sensi percepiscono come "naturali" per antonomasia, quali i boschi, i pascoli e le zone umide, non è sempre riconosciuto dalla società attuale. Le configurazioni paesistico-territoriali – e non solo quelle legate alle urbanizzazioni e industrializzazioni da una parte e agli abbandoni di uso dall'altra – sono dovute al processo di attribuzione di valore allo spazio, indipendentemente dalla sua capacità produttiva agricola o d'altro genere, da parte di una società che, nel XX secolo almeno, ha portato avanti il suo sviluppo secondo i più brutali modi di appropriazione del suolo, con le disfunzionalità territoriali che ne conseguono per effetto di un antisociale consumismo da rapina, come sostiene l'amico Eugenio Turri, altro geografo di chiara fama. L'attuale crisi ecologica è una conseguenza di tali logiche. Essa si misura non solo nel gravissimo depauperamento della vita biologica – attraverso non solo le pratiche di prelievo smodato, con guasti irriproducibili, della caccia e della pesca – ma anche e più in generale nei guasti sociali e ambientali e nella crescente alienazione dei cittadini dai luoghi prodotti nel paese dal complesso di interventi riferibili alla "Grande Trasformazione" e realizzatisi nella seconda metà del XX secolo. Guasti ed alienazione che devono essere sanati e ricomposti se vogliamo assicurare al paese un futuro coerente con la sua identità, il suo "cuore antico". Un tempo a decidere che cosa conservare erano gli uomini che detenevano il potere e la cultura superiori, e che perciò stesso attribuivano valore ai grandi edifici, ai palazzi, alle chiese, ai monumenti e ai paesaggi che si legavano ai loro affetti e alle loro visioni culturali. Oggi si devono conservare anche le cose di significato più modesto – le case contadine, i capitelli dell'antica devozione, le fontane, i sentieri – in quanto testimonianza di un momento storico e culturale, riferimenti di una storia come storia dell'intera società, non semplicemente di una classe sociale.