Il sistema come tragedia. Tragicità e sviluppo della coscienza nel primo Schelling, in: La filosofia di fronte al tragico, ETS, Pisa 2015, M. Vero (a cura di), prefaz. di G. Garelli .pdf (original) (raw)
Scopo del mio contributo è illustrare in che misura nella filosofia del primo Schelling lo sviluppo della coscienza, in quanto movimento in sé dialettico, possa essere ricondotto alla concezione del tragico esposta nel saggio Sul tragico di Peter Szondi del 1961. Infatti l’intero sistema schellinghiano si struttura attraverso una serie di opposizioni che riproducono sul piano filosofico l’originario conflitto della coscienza tra libertà e necessità, la cui analisi nei Philosophische Briefe già permette d’individuare i caratteri del tragico. Sotto le coppie oppositive di Io e non-Io, spirito e natura, il sistema ripercorre il cammino della coscienza, cercando di risolvere in maniera speculativa il confitto tragico tra libertà e necessità. In questo modo, il sistema si struttura riproducendo nelle sue diverse fasi lo stesso movimento dialettico che anima la coscienza, rivestendosi degli elementi propri del tragico secondo Szondi. La filosofia del primo Schelling, infatti, si evolve proprio grazie all’irriducibilità del conflitto, indicata a sua volta da Szondi come costitutiva del tragico. Se l’irrisolvibilità del conflitto tra libertà e necessità, come mostrano i Philosophische Briefe, è ciò che permette alla coscienza di essere tale, allo stesso modo il sistema si sviluppa positivamente solo attraverso la continua negazione delle sue fasi precedenti, reiterando il conflitto dialettico. L’opposizione fichtiana tra Io e non-Io, venendo inserita grazie alla Naturphilosophie nell’Assoluto stesso, permette di lasciare irrisolto il conflitto che anima il cammino della coscienza e l’evoluzione del sistema. Perciò, proprio nel momento in cui, nella Identitätsphilosophie, il conflitto viene risolto nell’identità dei poli oppositivi, il sistema e la coscienza trovano un punto d’arresto al proprio sviluppo, riconfermando così l’interpretazione szondiana secondo cui alla dialettica del tragico «perire non è consentito».