LE DIECI GIORNATE DI BRESCIA (original) (raw)
"Quando Parigi ha il raffreddore, l'Europa starnutisce". I venti rivoluzionari fino al 1968 hanno seguito questa strada quando hanno colpito il vecchio continente. E l'annus terribilis per il mondo della Restaurazione, il 1848, non ha fatto eccezione. Il 24 febbraio Parigi si ribella alla monarchia liberale di Luigi Filippo d'Orleans e del suo primo ministro, l'ultramoderato Guizot. Da qui l'ondata rivoluzionaria si espande velocemente: il 13 marzo è la volta di Vienna, il 15 marzo tocca a Budapest, il 17 a Venezia, il 18 marzo a Milano (con le Cinque Giornate), il 19 a Praga e a Berlino. La profezia del Manifesto di Marx e Engels (pubblicato a Londra il 21 febbraio) sembra essersi tempestivamente avverata: lo spettro del comunismo incombe già sui destini degli uomini. In verità i tempi non sono ancora maturi. Il proletariato è una realtà effettiva solamente in Inghilterra, mentre sul continente, fatta eccezione per qualche area avanzata, sarebbe forse più appropriato parlare di proto-proletariato. E' bene sottolineare, però, che proprio le aree europee colpite dall'onda del '48 presentano tutte segni di industrilizzazione più o meno intensa. Tuttavia, più che la partecipazione della masse -ancora per poco "fuori dalla Storia" -fondamentale è stata la componente del ceto medio, popolare e cittadino: artigiani, bottegai e operai delle grandi città teatro degli scontri assumono così il ruolo di trait d'union tra le rivoluzioni liberal-borghesi degli anni '20 e quelle proletarie della fine del XIX secolo come La Comune. Sono loro a dare vita alle "giornate rivoluzionarie", ossia a quella tipologia d'azione che prevedeva prima grandi dimostrazioni di piazza, pronte poi, in seguito alle puntuali repressioni delle forze dell'ordine, a tramutarsi in scontro armato, via per via, piazza per piazza, tramite l'innalzamento di barricate. Per cosa combatteva questa nuova classe media urbana, mediamente istruita e più cosciente dei propri diritti? Maggiori libertà politiche e più democrazia, con speranze più o meno esplicite di suffragio universale per l'elezione di propri rappresentanti alla guida del proprio Paese. Un sentimento di appartenenza politica che si lega alla spinta verso l'emancipazione nazionale, ormai chiodo fisso della generazione di popoli europei.