Primo Levi e i poeti del dolore: da Giobbe a Leopardi (2002) (original) (raw)
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Primo Levi e la ferita della Shoa
QOL 154/155, 2012
Una nota oscura e grave accomuna i sopravvissuti ai campi di sterminio ossia la memoria di orrori indicibili perpetrati dall 'uomo sull'uomo. Primo Levi, Bruno Bettelheim o Paul Celan erano tre grandi intellettuali che sopravvissero fortuitamente ai lager, ma non riuscirono a sopravvivere al ricordo delle mostruosità alle quali erano stati fatalmente esposti laggiù poiché anche il ricordo è capace di uccidere. Forse, dopo aver attraversato la Shoah, persino nel mondo cosiddetto libero, negli occhietti cattivi di certa gente, le loro anime sensibili continuavano a scorgere il disumano ghigno del carnefice. Il grande poeta Paul Celan, mentre si trovava imprigionato e affamato nel ghetto, respingeva la barbarie degli eventi traducendo i Sonetti di Shakespeare, quasi a dimostrare che la poesia è la più solida barriera contro la brutalità del mondo, ma egli stesso non riuscì poi a scampare al mondo cosiddetto "normale", finendo annegato nella Senna neppure un trentennio dopo. Bruno Bettelheim si soffocò con un sacchetto di plastica e Primo Levi pare si sia lasciato cadere dalle scale di casa, un gesto lieve ma dalle conseguenze terribili. Questo significa che il peso della Shoah si propaga avanti e indietro nella storia e chiunque creda che la Shoah sia qualcosa che riguarda solo il popolo ebraico non ne ha davvero inteso la portata né il significato. Nel rapporto tra la Shoah e il mondo c'è il peso e l'ambiguità degli interrogativi irrisolti che la parte evoluta della nostra specie si pone da millenni: Si Deus est, unde malum? Et si non est, unde bonum? (Boezio) La Torah racconta che Caino venne condannato ad essere "vagabondo e fuggiasco sulla terra" e chi sa leggere le Scritture oltre la scrittura comprende che nell'universo concentrazionario è tornata a manifestarsi la contorta anima vagante di Caino contro l'innocenza della vittima: laggiù Abele il giusto (Matteo 23:35) è stato ucciso ancora e questa volta non si è trattato di un atto rabbioso e brutale consumato, sul momento, da un uomo contro un altro, ma il prodotto di una complessa macchina dell'odio che mostra i denti aguzzi della tecnica e della modernità. Se c'è un marchingegno che inaugura e forse caratterizza l'inizio dell'epoca moderna questo è, più di altri, la ghigliottina da cui si diparte quella tenebra che inizia ad «illuminare la terra di trionfale sventura» (Adorno e Horkheimer, 1944). Alcuni credono e ripetono che i campi di sterminio furono il prodotto di una barbarie antica, mentre quello che sembra mostrino è il volto della rinnovata barbarie della tecnica e della modernità. La Shoah non è un Pogrom, ma un genocidio scientemente pianificato e questa è una differenza non da poco, né da considerare con leggerezza.
Primo Levi, I sommersi e i salvati
"Allegoria", n. 79: Canone contemporaneo, a cura di Anna Baldini e Martina Mengoni. Articoli di Martina Mengoni, Domenico Scarpa, Marco Belpoliti, Niccolò Scaffai
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Di ritorno dall’abisso. Primo Levi: testimone agli estremi confini del male
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