La cultura politica del neofascismo - relazione parziale (original) (raw)

Fascismo e neofascismo

Quaderni di Farestoria

La spinta a scrivere questo articolo è giunta dalla constatazione del ripetersi, quando si parla di neofascismo, di certi schemi di lettura che mostrano da anni la corda, ma tuttavia persistenti, anche a causa della quasi totale mancanza di tentativi volti ad aggiornare l'armamentario concettuale ed analitico della cultura antifascista. Una cultura farraginosa, timida di fronte ai necessari adeguamenti, spaventata di cadere nell'accusa di "revisionismo", pur avendo ben presente che l'analisi storica è per sua natura revisionista, che è cosa ben lontana dalla "riabilitazione" o dal "negazionismo" che si cela sotto a quello che erroneamente il linguaggio mediatico ha definito per l'appunto "revisionismo". Soprattutto incapace di cogliere la storicità, gli sviluppi e le fasi che hanno attraversato la storia del fascismo dopo il fascismo, anzi a volte ancora tutta tesa a descriverlo come un monolite senza tempo, passibile di essere letto sempre nella stessa maniera, suscettibile all'applicazione dei canoni e giudizi classici usati per il cosiddetto "fascismo storico", come se si trattasse solo di una sua semplice ripetizione, al massimo un remake di cattivo gusto, con la sostanziale differenza della questione non proprio secondaria riguardante il potere. Senza per questo fare i conti con il fatto che lo stesso "fascismo storico" ha attraversato le sue diverse fasi, mentre oggi il dibattito sui suoi diversi aspetti non solo è più aperto che mai ma è sottoposto a rivalutazioni perniciose e segna il passo ormai da decenni un sostanziale scollamento fra gli orientamenti della ricerca storiografica e una produzione divulgativo-giornalistica orientata in tutt'altra direzione. Chi scrive ha avuto modo negli ultimi mesi, partecipando a vari ed interessanti incontri organizzati dall'Osservatorio sulle Nuove Destre di Pistoia, di misurare personalmente quanto sia radicata questa forma mentis nella cultura diffusa, comune, dell'antifascismo nella società italiana di oggi. Eppure la storia del neofascismo supera ormai per più del doppio l'arco di tempo del "fascismo storico". Ciononostante per buona parte degli antifascisti i riferimenti vanno sempre a quanto elaborato dai contemporanei del fascismo storico, a sinistra addirittura sono spesso quelli della Terza Internazionale che definì il fascismo né più né meno che una guardia armata del capitalismo. C'è una riottosità ad adeguarsi, a scendere nell'attualità con alle spalle una lettura dei mutamenti intervenuti nel campo avverso in grado di fornire gli strumenti atti a contrastarlo. Quando si parla di neofascismo ci si limita sempre e solo a parlare della necessità della memoria, senza poi articolare un discorso su come quella memoria può essere applicata a movimenti e partiti sorti "dopo", alle politiche che sviluppano nel presente, si sprecano denunce morali, si richiama la strategia della tensione, gli anni del terrorismo nero ecc… Momenti importanti e di una gravità assoluta, certo, ma che decontestualizzati e isolati servono a poco, se si recide il loro legame con le vicende storiche della destra neofascista si perde il filo conduttore del discorso e non possono dunque dare ragione della persistenza e vitalità del fenomeno. Un fenomeno che ha conosciuto suoi specifici processi interni, e forme di dibattito originali anche di alto livello, insidiose, i cui risultati sono ben visibili ma del tutto sconosciuti ai più. Il dibattito politico e mediatico, con la sua occasionalità e pochezza, le interminabili dichiarazioni sempre tutte uguali e di unanime condanna in cui si spendono i politici e le personalità di un qualche rilievo all'indomani di ogni atto di violenza riconducibile alla destra, che tradiscono una sostanziale ignoranza del problema, contribuiscono a questo stato di cose. Ha ragione Pierre Milza quando scrive «esiste in Europa un fenomeno di radicalizzazione politica […] che gli osservatori (politologi, sociologi, storici, giornalisti ecc…) definiscono in modi diversi. Viene evocata l'irresistibile ascesa del "populismo" e del "nazionalpopulismo", senza precisare sempre se questi termini si applichino a movimenti, programmi, personalità o a regimi scaturiti da una matrice di destra o di sinistra. Ci si interroga su che cosa avvicini o distingua le attuali manifestazioni di estremismo, nella sua versione nazionalista (a volte europeista) e xenofoba, da quelle che hanno costellato, per disgrazia del nostro continente, la storia del XX secolo. Questo per quel che riguarda le interpretazioni più "scientifiche", quelle cioè che nell'immenso corpus editoriale e mediatico che tratta della questione non sono né le più diffuse né le più ascoltate. A queste si preferiscono generalmente spiegazioni meno sofisticate e che meglio si prestano al gioco dell'amalgama e del recupero politico. E vi è una spiegazione più comoda di quella che tende ad assimilare, unicamente e semplicemente, le forme presenti di populismo e di estrema destra al fascismo?» 1 O ancora «i termini "ultradestra", "destra extraparlamentare", "destra della destra" ecc. si incontrano, sebbene sempre meno di frequente, nel campo lessicale frequentato dagli specialisti di scienze sociali e nella penna dei commentatori politici, senza che il loro uso riveli, da parte di coloro che li maneggiano, altra preoccupazione al di fuori di quella di evitare le ripetizioni» 2 , uno stratagemma a cui non è immune nemmeno chi scrive. In questo contributo raccoglieremo il suggerimento dello storico francese. Lo storico può e deve portare il suo contributo, con il suo sguardo attento ai "tempi lunghi", comparativo, teso a individuare le continuità ma anche le differenze. Lo faremo osservando solo, all'interno del contesto di radicalizzazione indicato da Milza, i gruppi e le elaborazioni concettuali del campo propriamente neofascista. Non ci si propone qui di indicare soluzioni. Questo lavoro fa propria l'osservazione di G.L. Mosse «uno storico è necessariamente più abile ad analizzare i problemi che a risolverli» 3 , prende atto con coscienza di questo limite e si propone di illustrare i percorsi del neofascismo, spesso tortuosi, con particolare attenzione alle tematiche che hanno una più diretta ricaduta sull'analisi delle organizzazioni esistenti e sui temi che agitano nel presente. L'intento è quello di fornire a chi legge delle chiavi di lettura, delle informazioni cognitive, che li permettano di districarsi nella nebulosa del neofascismo, a volte difficilmente distinguibile, camaleontica, riallacciando i fili della storia dei fascisti dopo il fascismo. Come sostiene Walter Laqueur «il fascismo assomiglia alla pornografia per la sua difficoltà, magari per l'impossibilità, di definirlo in un modo legalmente e operativamente valido. Tuttavia, chi ha esperienza, se lo vede sa di cosa si tratta» 4 . Non ci si propone di fare "scoop" storiografici ma di illustrare i caratteri peculiari del neofascismo italiano, ripetendo probabilmente ovvietà agli orecchi degli specialisti, ma che diventano necessarie se inserite in una rivista che si propone di raggiungere un pubblico più vasto, e anche meno specializzato, di quello degli addetti ai lavori. Lasceremo fuori le vicende interne ad Alleanza Nazionale, che hanno una loro specificità, e una trattazione precisa del fenomeno a livello europeo. Questo per due ordini di motivi, quello prettamente pratico della limitatezza dello spazio qui a nostra disposizione e per non appesantire una lettura che rischia già di per sé di essere molto complessa, con il rischio di disorientare il lettore. Non ci nascondiamo che in questa trattazione è lo stesso uso del termine "fascismo" o "neofascismo" a costituire un problema. Basti qui ricordare gli interminabili dibattiti che affliggono la storiografia e le scienze sociali nel tentativo di definire, delimitare, distinguere cosa sia fascismo rispetto alla destra conservatrice, o reazionaria, o controrivoluzionaria, o tradizionalista ecc… quali siano i movimenti e i regimi propriamente fascisti rispetto ad altri ad essi imparentati o comunque vicini o derivati da comuni matrici culturali o da analoghe condizioni politico-sociali e storiche. La discussione può sembrare oziosa ma non lo è. Le Pen minacciava di denunciare chiunque lo definisse di "estrema destra", esponenti del campo neofascista spesso si dichiarano essi stessi estranei all' "estrema destra" o alla "destra radicale". Sono dunque gli stessi neofascisti a percepire per primi l'esistenza di un problema. Qui abbiamo scelto di definire "neofasciste" quelle organizzazioni che si rifanno esplicitamente all'eredità del "fascismo storico", che presentano caratteri peculiari come la ricerca costante di una "terza via", che si definiscono in una qualche maniera rivoluzionarie, che nel loro armamentario simbolico e concettuale pescano direttamente all'interno di un background dichiaratamente fascista. Faremo pertanto sempre e solo riferimento al termine di "neofascismo", anche a costo di risultare ripetitivi, nella convinzione che sia il più adatto ad una descrizione capace di indicare una filiazione diretta, qualcosa di più di un eredità, un identità politica ma che al tempo stesso con il suffisso "neo" è in grado di segnalare che ci troviamo di fronte ad un fenomeno che presenta tratti specifici, originali, dovuti al suo essersi sviluppato dopo la catastrofe dei fascismi storici ed all'interno di società democratiche. Su questa strada ancora una volta ci viene in soccorso Milza: «si tratta di un fenomeno assolutamente nuovo, legato all'era postmoderna e postindustriale? Oppure il risorgere, con vesti moderne, delle correnti che hanno attraversato il XX secolo, sia isolate, sia mescolate, sia affioranti grazie a una crisi, si deve al fatto che in realtà esse avevano intrapreso solo un cammino temporaneamente sotterraneo? La mia ipotesi è che dietro al paravento di una certa modernità la destra radicale, pur adattando le sue argomentazioni a una domanda sociale che è evidentemente cambiata...

2011_ Tendente al nero. Voci e derive neofasciste al tempo della politica pop

2011

La mia sensibilità al fascismo continua a essere forte, lo riconosco ovunque e in ogni luogo, perfino quando riveste i panni dell'antifascismo, e resto sensibile all'eternamente possibile fascismo italiano. [...] ancora oggi credo che una buona parte degli italiani (di destra, di sinistra, di centro) vivrebbe nel fascismo come dentro la propria pelle. Magari dentro un fascismo meno coreografico, con meno riti, con meno parole: ma fascismo. Un regime che non dia la preoccupazione di pensare, di valutare, di scegliere... (Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani, Milano, Mondadori, 1979, p. 85) Crepaccio ma non mollo. (dalle didascalie del film di Corrado Guzzanti, Fascisti su Marte, 2006)

Il neo-fascismo una categoria analitica1

Il dibattito sulla natura del fascismo è estremamente ampio e si protrae da prima che il fascismo stesso, come fenomeno storico, terminasse nel 1945. Nel corso di più di sette decadi storici, filosofi e scienziati sociali si sono interrogati su cosa sia stato, su come sia cresciuto sia in termini ideologici che di peso sociale, politico ed elettorale fino alla presa del potere. Gli storici ed intellettuali di matrice marxista hanno sottolineato il legame tra borghesia e fascismo 2 , altri si sono soffermati sulla natura di massa del fenomeno fascista, De Felice ha cercato di spiegare i momenti del fascismo, tra movimento e regime, Mosse ha sottolineato le radici culturali di un fenomeno ancora differente, il nazismo. Autori come Griffin hanno indagato il legame tra nazionalismo estremo e fascismo 3 , Linz ci ha lasciato l'importante distinzione tra regimi autoritari e totalitari 4 ; negli ultimi anni, poi, sono fioriti studi di natura comparativa, come quello di Costa Pinto 5 , e di più forte tendenza transnazionale come quelli di Sanfilippo 6 sui fasci italiani all'estero e la politica di espansione ideologica e culturale del fascismo italiano 7 . Queste brevissime righe, che non vogliono nemmeno tentare di assomigliare ad un'impossibile rassegna della letteratura, ci danno, però, il quadro di un proliferare costante degli studi sul fascismo storico. Molto è stato fatto e, forse, molto resta ancora da fare ma in ogni modo i tanti lavori sul fascismo continuano e offrono agli studiosi un caleidoscopio di interpretazioni e di punti di vista. Da questo punto di vista possiamo tranquillamente affermare che pur nelle differenze, a volte anche marcate, tra approcci il fascismo è una categoria analitica. Questa sorte non è toccata al neofascismo. Il neo-fascismo, vuoi anche per prossimità storica, è ancora un oggetto relativamente misterioso e che, sebbene sia stato studiato molto, non è ancora assurto al rango di categoria analitica.

La giovane destra neofascista italiana e il '68 Il gruppo de «L'Orologio»

Storicamente, 2009

Nel 1970, uno fra i più lucidi intellettuali di destra, Adriano Romualdi, tentò di proporre un'analisi approfondita della contestazione studentesca. Attraverso le sue riflessioni cercò di chiarire le cause per le quali la rivolta giovanile, oltre che per motivi contingenti, si era orientata definitivamente a sinistra. L'intellettuale, innanzitutto, sosteneva che la protesta studentesca, oltre che essere la risultante dei guasti prodotti dal consumismo e dall'americanismo, rappresentava la «rivolta dei capelloni-scriveva-, degli zozzoni, dei bolscevichi da salotto, di una gioventù che, più che bruciata, si potrebbe definire stravaccata». Attraverso quella provocazione, in realtà, si intendeva muovere un pesante atto d'accusa, rivolto da destra, al ruolo svolto fino a quel momento dal MSI. Il movimento studentesco così povero di riferimenti culturali-a parere di Romualdi-era stato capitalizzato dalla sinistra perché la destra aveva scelto di praticare un «perbenismo imbecille», fondato sulla garanzia «sicuramente nazionale, sicuramente cattolica, sicuramente antimarxista», delegando ad altri la bandiera della protesta e della rivolta contro l'ordine borghese. Come mai una «rivoluzione»-scriveva-così sfacciatamente inautentica è riuscita a imporsi alla gioventù, e non solo a quella più conformista, ma anche Storicamente, 5 (2009)

Sulle culture politiche del comunismo italiano

In «Il Pensiero Politico», a. LV, n. 1, 2022

Lungi dal presentarsi come un corpus dottrinario omogeneo, la cultura politica del comunismo italiano appare gravida di radici, influenze e riverberi. In questo quadro, “destra” e “sinistra” interne al partito, più che mere categorie volte a descrivere gli equilibri intestini all’organizzazione, rappresentano una vivida testimonianza della “battaglia delle idee” che accompagna la storia del Pci. La nota si propone dunque di ricostruire ed esaminare alcune tra le molte «contraddizioni, mutilazioni, conflitti e discontinuità» (Pons 2021) che segnano il lungo cammino del comunismo italiano dalla svolta di Salerno alla svolta della Bolognina.

Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche

Donzelli , 2018

La contrapposizione fascismo- antifascismo in Italia ha assunto il carattere di una chiave di lettura del tempo presente, dal punto di vista politico, capace di proiettarsi anche in una dimensione europea. La forza di questo paradigma si traduce in una sovraesposizione dell’uso pubblico della storia, con costanti riferimenti alla Resistenza, alla crisi del1920-22, al duce, al razzismo, al neofascismo. La storia torna a essere – come in altre fasi critiche della storia repubblicana – uno strumento di lotta politica, con tutto il carico di semplificazioni, strumentalizzazioni, rimozioni e a volte mistificazioni, che rischiano di inficiare la comprensione della realtà. Scopo di questo libro è fare chiarezza cercando di diradare la nebulosa di incrostazioni ideologiche e di false concettualizzazioni che innervano l’uso della storia nel dibattito pubblico e politico. The fascism-anti-fascism opposition in Italy has taken on the character of a key to understanding the present time, from a political point of view, capable of projecting itself also into a European dimension. The strength of this paradigm translates into an overexposure of the public use of history, with constant references to the Resistance, to the crisis of 1920-22, to the Duce, to racism, to neo-fascism. History returns to being - as in other critical phases of republican history - an instrument of political struggle, with all the load of simplifications, exploitation, removals and sometimes mystifications, which risk affecting the understanding of reality. The purpose of this book is to clarify by trying to clear the nebula of ideological encrustations and false conceptualizations that innervate the use of history in public and political debate.

Note sulla politica culturale del fascismo in Spagna (1922-1945)

Diacronie, 2012

1. L'esportazione della cultura fascista e prendiamo in considerazione l'intera epoca contemporanea ci rendiamo conto che l'interesse per il retaggio culturale è andato progressivamente aumentando, fino a diventare un meccanismo indispensabile per ottenere un riconoscimento internazionale. Nel caso del fascismo si adottarono misure culturali ed educative con l'obbiettivo di utilizzare le istituzioni statali oltrefrontiera come mezzi di propaganda. È da notare, tuttavia, che l'azione di propaganda culturale all'estero non fu direttamente incoraggiata dal governo italiano. Fu l'iniziativa privata, promossa da membri della comunità emigrata o da società nazionali presenti all'estero-come la Società Nazionale Dante Alighieri-, che assunse S Diacronie Studi di Storia Contemporanea  www.diacronie.it N. 12 | 4|2012 Sulle tracce delle idee 5/ Note sulla politica culturale del fascismo in Spagna (1922-1945) Rubén DOMÍNGUEZ MÉNDEZ * Questo saggio analizza la politica culturale sviluppata dal fascismo italiano in Spagna nel periodo compreso tra la presa del potere in Italia fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Attraverso questa politica si sviluppò la strategia di espansione e proselitismo del regime fascista nei confronti della società spagnola. Emergerà così l'interesse del fascismo per porre la cultura italiana allo stesso livello di quelle delle grandi Potenze. Questo progetto fu però condizionato dallo sviluppo politico interno alla Spagna. Nel testo vengono analizzati i diversi veicoli usati dal fascismo: le scuole italiane all'estero, gli Istituti Italiani di Cultura e i programmi di scambio e di cooperazione culturale.

Neofascismo italiano e dittatura cilena. Mutualismo nero tra due continenti

2016

In «Il Ponte», anno LXXII, n. 7, luglio 2016. http://www.ilponterivista.com/blog/2016/08/12/neofascismo-italiano-dittatura-cilena-mutualismonero-due-continenti/ Il colpo di stato cileno del 1973 ha lasciato un solco indelebile nella storia del Novecento, dando impulso a quella che sarebbe stata una delle operazioni di intelligence più durature e sanguinarie che si siano registrate nella storia contemporanea, l'Operazione Condor. 1 La declassificazione degli atti riservati di FBI e CIA e le inchieste giudiziarie portate avanti non solo in Cile, ma anche in Argentina, in Spagna e in Italia hanno permesso di ricostruire le drammatiche vicende di quegli anni, mettendo in luce, tra le altre cose, le relazioni intercorse tra la giunta militare cilena e due tra le principali organizzazioni neofasciste italiane, Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, responsabili di numerosi attentati tra il 1969 e il 1976. Il primo contatto tra la galassia neofascista italiana e la giunta militare cilena sarebbe avvenuto nel 1974, quando Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS e leader del Fronte Nazionale, si recò a Santiago del Cile per portare i suoi omaggi al generale Augusto Pinochet. Con lui vi era anche Stefano Delle Chiaie, fedelissimo di Borghese e figura di spicco di Avanguardia Nazionale. 2 Tale avvenimento venne confermato da Vincenzo Vinciguerra, 3 strettissimo collaboratore di Delle Chiaie, in una testimonianza resa davanti al PM Giovanni Salvi. 4 Dopo aver riferito dell'incontro, l'ordinovista aggiunge che da quel momento il dittatore «aveva delegato ai rapporti con Delle Chiaie un alto ufficiale della DINA (Dirección Nacional de Inteligencia, il servizio segreto cileno), anzi, al responsabile del servizio, colonnello Contreras». 5 Proprio a partire dal 1974, emerse la volontà della giunta militare di neutralizzare gli oppositori del regime, dentro e fuori i confini nazionali. 6 Con questo proposito, nell'estate del 1975 il colonnello Contreras inviò Michael Townley, agente della DINA, in Europa con lo scopo di tessere relazioni con i gruppi anticomunisti locali al fine di eliminare gli oppositori socialisti lì rifugiatisi, e di consolidare il ruolo del servizio cileno alla guida della lotta anticomunista mondiale. 7 Durante un incontro con Delle Chiaie a Francoforte, Townley invitò quest'ultimo a prendere parte all'operazione: il regime cileno avrebbe offerto un rifugio sicuro ai militanti di AN che ne avessero 1 Per "Operazione Condor" si intende un'operazione di intelligence messa in atto dai governi militari del Cono Sur a partire dal 1975. L'obiettivo era l'eliminazione sistematica degli oppositori politici delle varie dittature attraverso il libero transito dei militari e lo scambio di informazioni tra Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay Bolivia e Brasile. Sistematico era l'utilizzo della tortura, degli omicidi di massa e delle sparizioni. Cfr. J. P. McSherry, Predatory States: Operation Condor and Covert War in Latin America, Rowman & Littlefield, New York, 2005. 2 J. Dinges, The Condor Years. How Pinochet and His Allies Brought Terrorism to Three Continents, The New Press, New York-London, 2004, pp. 234-235. 3 Vincenzo Vinciguerra, reo confesso della Strage di Peteano del 1972, in cui persero la vita tre carabinieri, si consegnò spontaneamente alle autorità nel 1979. Non si è mai pentito delle sue azioni. Si autodefinì un "soldato politico" e "nemico del sistema", e scelse di collaborare con la giustizia in un'ottica di ricostruzione storica, denunciando, tra le altre cose, la collusione tra neofascismo, servizi segreti e ambienti militari italiani. Le sue testimonianze sono state ritenute particolarmente attendibili dalle autorità giudiziarie. 4 Giovanni Salvi, attuale Procuratore Generale di Roma, portò avanti le indagini giudiziarie relative all'attentato di cui fu vittima Bernardo Leighton. 5 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Atti del processo relativo all'attentato a Bernardo Leighton, Verbale di sommarie informazioni di persona informata dei fatti, testimonianza di V. Vinciguerra,

LE POLITICHE SOCIALI DEL FASCISMO

1. Una nuova stagione di studi. Sino agli anni Ottanta del Novecento, l'attenzione degli storici nei riguardi delle politiche sociali realizzate dal fascismo e sviluppatesi durante gli anni Venti e, soprattutto, Trenta è stata alquanto parziale. Essa è andata accrescendosi a partire dalla fine del secolo scorso e nell'ultimo decennio, grazie a contributi che hanno permesso di riconsiderare in modo piú approfondito l'incidenza del regime rispetto alle politiche sociali nazionali di lungo periodo. Alla base di questa innovazione in ambito storiografico, vi sono stati fattori diversi tra loro, a cominciare da un piú generale mutamento nelle linee interpretative del fascismo. Si è cosí giunti a superare un pregiudizio consolidato, che tendeva a sottovalutare quanto da esso realizzato perché unicamente finalizzato all'organizzazione del consenso e agli obiettivi del controllo sociale. Al contempo una nuova consapevolezza circa i fondamenti storici del welfare nazionale ha guidato la ricostruzione storica, collocandone i connotati originali proprio negli anni del consolidamento del regime. D'altra parte, altri elementi hanno inciso su questo cambiamento: il venir meno, soprattutto nelle scienze sociali, di un tradizionale nesso propenso a vincolare la costruzione e gli sviluppi dello Stato sociale a un assetto liberaldemocratico (in verità la questione relativa all'uso stesso di questo termine si mostra alquanto complessa e diversificata in relazione ai singoli contesti nazionali) 1 ; l'interesse nei confronti di un ambito nel quale la retorica fascista aveva ecceduto rispetto alle realizzazioni concrete. Al di là delle roboanti parole usate dalla propaganda dell'epoca, la ricerca si è orientata a esplorare il piano dei «fatti», non solo per verificare il noto scarto esistente tra discorso pubblico e realtà, ma soprattutto per valutare in modo analitico quanto sul versante previdenziale, assistenziale, assicurativo, sanitario si sia effettivamente compiuto negli anni tra le due guerre. Infine, un ultimo dato sembra aver incisivo favorevolmente sull'avanzamento degli studi: il pesante processo di smantellamento