Il ‘popolo’ nel governo di Bernardo Tanucci. L’emergenza della questione sociale nel Regno di Napoli (1734-1774) (original) (raw)

Riferimenti al popolo nella Cancelleria pontificia fra XIII e XIV secolo

B.Figliuolo - R. Di Meglio – A. Ambrosio (a cura di), Ingenita curiositas. Studi sull’Italia medievale per Giovanni Vitolo, Laveglia Carlone, Battipaglia 2018, I, pp. 111-123

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Girolamo Lippomano, Giovanni Battista Leoni, Girolamo Ramusio, Relazioni del Regno di Napoli (1576, 1579, 1597), a cura di Alessandra Rullo, Napoli 2013 (e-book)

Venezia 1576 (ed. E. Albèri, Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, raccolte, annotate ed edite da Eugenio Albèri a spese di una società, Firenze, Tipografia e Calcografia all'insegna di Clio, serie II, volume II, 1841, pp. 266-311) Giovanni Battista Leoni Relazione del Regno di Napoli Venezia 1579 (ed. E. Albèri, L'Italia nel secolo decimosesto, ossia le relazioni degli ambasciatori veneti presso gli stati italiani nel XVI secolo, Firenze, Società Editrice Fiorentina, serie II, tomo V, 1858, pp. 447-472) Girolamo Ramusio Relazione del Regno di Napoli Venezia 1597 (ed. E. Albèri, Le Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, raccolte ed illustrate da Eugenio Albèri, Firenze, Tipografia Grazzini, Giannini e c., XV [appendice], 1863, pp. 297-352) a cura di Alessandra Rullo Università degli Studi di Napoli "Federico II" Dipartimento di Studi Umanistici "E. Lepore" Napoli, febbraio 2013 PREMESSA Nel 1992 le relazioni dei diplomatici veneziani in missione a Napoli sono state pubblicate in un accurato testo storico-critico da Michele Fassina, che ne ha preso in esame l'intero corpus superstite (nove relazioni per un periodo che va dal 1576 al 1790), verificandolo sui manoscritti originali, opportunamente confrontati tra loro per distinguere la versione princeps dalle copie. Il volume dello studioso fa parte della collana Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli, un programma editoriale avviato dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli nel 1982 sotto la direzione di Marino Berengo, Gaetano Cozzi, Luigi Firpo, Raffaele Ajello e Rosario Villari. Dei venticinque volumi previsti ne sono usciti finora sette, pubblicati dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, Roma. Per ragioni di copyright, la presente edizione delle tre relazioni dell'ultimo Cinquecento si basa soltanto sulla stampa ottocentesca di Eugenio Albèri, ma rimandando al lavoro di Fassina per ulteriori approfondimenti. Si tenga presente, in particolare, che questo studioso ha potuto correggere nel modo seguente le attribuzioni dei primi due testi fornite da Albèri: 1) Il testo di Girolamo Lippomano datato da Albèri al 1575 è del 1576;

Il popolo come laboratorio: dal conflitto alla sfera pubblica (Genova, XIII-XVII secolo)

si è veduto girare per la Città una mascherata rappresentante l'Abate del Popolo che si chiama l'Abò. Moltissimi ridevano, alcuni pochi piangevano, vedendo l'ignoranza o la malizia e di chi rappresentava. Questo Abate è stato un vero rappresentante del Popolo nei tempi prima del 1528, ed era al governo della Repubblica. I nobili non han potuto abolirne la formalità annuale, della quale il Popolo si era buonamente contentato dopo che gli fu rapita la Sovranità; ma han cercato di metterla in derisione e vi erano giunti. E' una cosa scandalosa per noi il seguitar le intenzioni dell'Aristocrazia, e far servir da trastullo a' ragazzi e alle donniciattole una istituzione figlia della Democrazia, che nei tempi della tirannide richiamava alla nostra memoria la perduta Sovranità del Popolo ed ai nobili il loro latrocinio. Non bisogna mai più permetter simile abominazione. Se vogliamo divertirci vi sono i collegi, i dogi, i consiglietti, che possono servirci eternamente per questo 1 . Fin qui l'anonimo corsivista: come si vede, una replica direttamente politica (Democrazia versus Aristocrazia) giocata infine sul registro 'mediatico', denso di attualità, della spicciola ritorsione antioligarchica 2 , e tuttavia non scevra, pur nell'enfasi e nel carattere apparentemente paradossale delle asserzioni («l'Abate era al governo della Repubblica»), del fascino di una plausibile tesi storiografica: come a voler dire che, a dispetto di contrarie (e posticce) teorizzazioni ideologiche, nel Comune e, forse, nell'Ancien Régime genovese la sovranità non ha mai cessato di appartenere al popolo (assunto come artefice di un'antica, primigenia rivoluzione di libertà), l'aristocrazia essendosene solo impadronita per gestirla o, meglio, avendola ricevuta per delega dal titolare naturale (originario?) 3 , il quale, insomma, poteva vantarne un esercizio solo virtuale, e tuttavia un potere legittimante effettivo 4 . Altrimenti non si capirebbe, come, sia pure in presenza di una fase di 1 "Il Monitore Ligure", n. 39, 30 gennaio 1799, anno II della Repubblica Ligure, p. 154. Da ultimo ci si riferisce ovviamente alle vecchie istituzioni della repubblica aristocratica. Compare qui il topos storiografico che legge il 1528 come serrata nobiliare. Il cambio epocale in atto, la ripulsa dell'Antico Regime fa sì che a fine '700 possa apparire ideologicamente come libertà ciò che a Genova agli inizi del '500 era invece sinonimo di tirannia criptosignorile e di divisione (le fazioni che si contendevano il dogato, contro le quali erano venute convergendo critiche e movimenti, soprattutto da parte del «popolo» -cfr. più avanti nel testo -, cioè di quell'aggregato sociale composito ed a geometria variabile secondo le fasi politiche emergenti, che va dalla borghesia degli affari alla plebe). 2 Vengono qui riecheggiati spunti polemici ricorrenti, ad esempio, in un libello manoscritto di Francesco Maria Accinelli, non a caso edito nel 1797 (Genova, per il Como), dunque a vent'anni dalla morte dell'autore e dopo la caduta della vecchia Repubblica (in qualche modo appendice al Compendio delle storie di Genova, in tre volumi, pubblicato a Massa Carrara nel 1750): Artifizio con cui il governo democratico di Genova passò all'aristocratico. Vi si può leggere, tra l'altro: «Si sa, che ne' tempi andati allorché il governo era DEMOCRATICO [...] e il Popolo teneva le redini del Governo a suo modo, si sono fatte dalla Repubblica, non ostante gl'interni tumulti dalle fazioni cagionati, tante belle imprese, e innumerabili conquiste, come si legge in tutte le storie sino all'anno 1528. Si vede, che da quest'anno in appresso niuna impresa fu fatta a pro, e vantaggio della Repubblica medesima, ma che sola unitasi la fazione nobile ad escludere il Popolo, e gli altri cittadini da ogni carica onorifica, e vantaggiosa: pensava, e pensò in appresso ad impinguarsi il proprio patrimonio [...]» (pp. 127-129). 3 Un autore tardoilluminista come Carlo Botta, discutendo di patriziato e di popolo e raffrontando i vari modelli repubblicani storicamente realizzati nelle città italiane, può affermare: «Era in Genova un vegliar continuo, una gelosia senza posa nell'universale verso la sovranità dei nobili non perché tirannica fosse, ma perché era stata non presa da chi comandava, ma data da chi obbediva […]»: C. BOTTA, Storia d 'Italia dal 1789 al 1814, I, Milano, per Giovanni Silvestri, 1844. Si veda anche L. GARIBBO, La neutralità della Repubblica di Genova, Milano, Giuffrè, 1972, p. 46 nota 31. 4 Ne sembra consapevole il mercante di carta voltrese Francesco Fabiano che nel 1565 (dunque, undici anni prima della definitiva svolta oligarchica) contesta la legittimità di alcuni ordini provenienti dai consoli della sua ars apapiri, i quali, in quanto nominati dall'alto, accusano, ai suoi occhi, una grave lesione del principio di libertà, giacché ad essere colpiti sono i «corpi» cittadini, tradizionalmente dotati di (relativa) autonomia decisionale ma di incondizionata potestà «elettiva»: egli trae dalla controversia conclusioni assolutamente dirimenti, arrivando a disconoscere la

La politica marittima di Bernardo Tanucci nell'epistolario con Carlo III Re di Spagna

Cuadernos de Ilustración y Romanticismo, 2019

después de haber ocupado cargos de prestigio hasta 1758, cuando Carlos partió para España, Tanucci fue elegido por el rey como miembro autorizado del Consejo de regencia hasta 1767, cuando Fernando IV alcanzó la mayoría de edad. En esos largos años escribió semanalmente al rey de España para informarle sobre las cuestiones del reino napolitano. El vinculo con España había conducido en parte al sacrificio del desarrollo comercial napolitano, aunque se había inciado un plan de reorganización de la marina, una cuestión debatida en la correspondencia de Tanucci. Pero en 1775, cuando la reina María Carolina se unió al Consejo de Estado (despues del nacimiento de su primier hijo, según las cláusulas de las capitulaciones matrimoniales) la política filohispánica de Tanucci ya no se toleraba. Por lo tanto, al año siguiente la reina lo invitó a retirarse a la vida privada, aunque él continuó intercambiando cartas con el rey Carlos III hasta su muerte.

Scritture del disastro e istanze di riforma nel Regno di Napoli (1783). Alle origini delle politiche dell’emergenza - preview

Studi Storici, 2017

Disaster Writings and Aspirations for Reforms in the Kingdom of Naples (1783). The Making of Emergency Response Policies The article addresses the making of emergency response policies in Early modern societies, by analysing the memories of disaster shared by survivors and their calls for aid and relief. Research focuses primarily on accounts and pleas sent to the Neapolitan government in the wake of the Messina and Calabria earthquake of 1783, and aims at throwing new light on the social, political and cultural processes through which the circulation of information and petitions led to the construction of influential narratives of extreme events. By studying the exchange of information spurred by such events, I assess how the different interpretations influenced the making of the strategy for recovery, and show that the aspirations and needs expressed by the affected communities went not totally unheard.