Saggi Mancini Lo sviluppo ambientale sostenibile (original) (raw)
Lo sviluppo ambientale integrale nell'ottica dell'ecologia umana sostenibile. «Laudato Sì» 1. Consapevolezza dell'irrinunciabilità di indirizzi e politiche per lo sviluppo sostenibile. Una ricognizione ontologica per una complessa dogmatica.-2. L'insegnamento dell'enciclica «Laudato Sì» per una rinnovata alleanza tra uomo ed ambiente. 1.-Consapevolezza dell'irrinunciabilità del principio di sviluppo sostenibile. Una ricognizione ontologica per una complessa dogmatica 1. Il principio dello «sviluppo sostenibile» è stato elaborato in sede internazionale e gradualmente recepito dalle legislazioni e Costituzioni nazionali. Gli accordi internazionali in prevalenza tendono a qualificare lo sviluppo sostenibile come «principio» del diritto dell'ambiente, pur con divergenze anche sensibili sul punto specifico se si tratti di principio «obbligatorio» o, comunque, «giuridico». Alcuni ritengono, peraltro, che il principio, più che avere un carattere giuridico, rivestirebbe «un carattere meta-giuridico», un «contenuto etico». Per altri autori ancora lo sviluppo sostenibile deve essere considerato «un obiettivo» da raggiungere. Tale concetto muove da una diffusa ed acquisita consapevolezza da parte dell'uomo sulla circostanza che, ai fini della sopravvivenza di ogni specie vivente, sia necessario e non più rinviabile una politica ispirata ad un uso razionale delle risorse naturali. La definizione di «sviluppo sostenibile», che figura per la prima volta nel cosiddetto rapporto Brundtland del 1987, commissione istituita presso le Nazioni Unite, è assai nota: «Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro esigenze». Questa definizione racchiude in sé due concetti: da un lato, il concetto di bisogni, che va riferito, in particolare, a quello dei soggetti più sfavoriti, dall'altro, la non illimitatezza delle nostre risorse naturali e la conseguente necessità di governare lo sviluppo ponendo dei limiti alle capacità produttive. Si è venuto così stratificando nel tempo un folto gruppo di norme, in ambito internazionale, definite di soft law non vincolanti, generalmente programmatiche e d'indirizzo, fondamentali per la pianificazione successiva di politiche o negoziati, non produttive dunque di obblighi e diritti circostanziati ma, tuttavia, in grado nel tempo di colmare spazi in precedenza lasciati alla discrezionalità degli Stati per poi riuscire ad entrare nelle Carte costituzionali e nelle singole legislazioni nazionali. Questi atti di soft law hanno acquisito un'importanza fondamentale nel panorama del diritto internazionale dell'ambiente: basti pensare al forte impatto che ha avuto la Dichiarazione di principio di Stoccolma, vero e proprio programma pionieristico di una serie di Convenzioni a contenuto vincolante volte a proteggere taluni ambiti naturali e basilari per l'affermazione dei diritti umani all'ambiente nelle più recenti Costituzioni nazionali. La Dichiarazione di Stoccolma non è altro che il documento conclusivo, non vincolante ma solo di princìpi, della prima Conferenza mondiale sull'ambiente tenutasi nel 1972 sotto l'egida delle Nazioni Unite. Con tale documento si è iniziato a non considerare più l'inquinamento come sottoprodotto di un certo tipo di sviluppo industriale ma l'ambiente come una delle dimensioni essenziali dello sviluppo e dei diritti umani; da qui, lo slogan della Conferenza «non c'è sviluppo senza ambiente». Proprio con l'obiettivo di una nuova definizione del rapporto tra «sviluppo e ambiente», non più vincolata ad una «crescita zero» ideata dal Rapporto Meadows ma ad un nuovo modo di intendere lo sviluppo in forma più attenta e razionale, all'interno della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo insediata nel 1983 su mandato dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e composta da rappresentanze di 21 Paesi, è nato nel 1987 il documento dal titolo «Il nostro futuro comune», più noto come Rapporto