LA QUADRERIA PERDUTA GIOVANNI SFORZA SIGNORE DI PESARO E L'ARTE A PESARO ALL'EPOCA DEGLI SFORZA STORIE DEGLI SFORZA PESARESI 4 (original) (raw)

SANTE E CORTIGIANE NEL PALAZZO DI ALESSANDRO SFORZA SIGNORE DI PESARO STORIE DEGLI SFORZA PESARESI VOLUME SECONDO

è la storia di Alessandro Sforza, signore di Pesaro a metà Quattrocento, fratello del più noto Francesco Sforza duca di Milano, e delle sue donne, una prima moglie bella e colta ma subito morta, Costanza Varano; la seconda, Sveva di Montefeltro, sorella di Federico, bruttina ma santa; le altre sono le "amanti", belle di certo, ma anche intelligenti e intraprendenti: Mattea e Pacifica Samperoli, cugine ed entrambe ospitate nel letto del signore di Pesaro.

STORIE DEGLI SFORZA PESARESI

Per leggere un libro come questo, o gli altri volumi di questa collana, fa' finta di essere in un bosco incantato, nel silenzio della natura dove solo chi ha l'orecchio esercitato sa sentire un battito d'ali, il verso della ghiandaia, il passo della volpe. Leggi con calma, rifletti, confronta con le tue conoscenze e con i tuoi libri di storia. Raffronta le vicende umane di questi "antichi" personaggi con quelle dei contemporanei, persino con le tue. Solo così apprezzerai a pieno le "storie" che ho raccolto e ne subirai le suggestioni.

LA MAIOLICA AL TEMPO DEGLI SFORZA DI PESARO STORIE DEGLI SFORZA PESARESI

2019

ringraziamo, in particolare Paride Berardi il quale, per primo, definì già nel 1980 l'importanza delle maioliche quattrocentesche di Pesaro). Questo libro, dunque, può sembrare superfluo, in realtà, mossi soltanto da grande amore per la nostra città e per la sua storia, in particolare per quella degli Sforza, pensiamo di avere fatto cosa utile e gradita per il lettore che troverà così un testo agevole, scevro da disquisizioni tecniche, con un ricco apparato iconografico e una nutrita bibliografia. È noto da secoli che gli Arabi appresero dai Bizantini, e forse anche direttamente dai Cinesi (o attraverso i Persiani), la tecnica della ceramica invetriata o maiolica, cosiddetta dall'isola di Maiorca, anticamente Maiòrica o Maiòlica, dai cui porti le navi trasportavano in tutto il Mediterraneo la preziosa mercanzia, prodotta principalmente nelle città arabe dell'Andalusia: Valencia, Granada (vasi Alhambra), Murcia, Almeria e Malaga, che diffusero poi in tutto il mondo arabo. Le terrecotte, prima di una seconda cottura, venivano verniciate con un impasto liquido di polvere silicea finissima e di ossido di stagno (terrecotte smaltate) che conferiva alla superficie un bel colore bianco, sul quale erano dipinti motivi ornamentali con colori resistenti al fuoco a base dei già noti ossidi metallici di manganese, rame, ferro, cobalto, antimonio. La cottura nel forno conferiva al prodotto un rivestimento vitreo smagliante, nel quale erano incorporati i colori che, alla magia del fuoco, assumevano nuove e accese tonalità. Dai centri più antichi dell'Iran e della Siria (Damasco) la produzione di ceramica araba, dal tipico "lustro" color oro cangiante in giallo e in verde ottenuto con tecniche a lungo segrete, si diffuse ad Alessandria d'Egitto e al Cairo, dove fiorì sotto le dinastie dei Tulunidi (868-905) e dei Fatimidi (969-1171). Caratterizzate dal divieto di rappresentare figure umane o animali, per non cadere nel rischio dell'idolatria, le ceramiche arabe erano per lo più decorate con "arabeschi", cioè con girali e tralci di foglie e fiori oppure con figure geometriche o con penne di pavone sovrapposte. In alcuni casi il decoro era graffito, cioè inciso sulla stesura del colore in modo di fare emergere l'argilla sottostante. L'incisione veniva poi riempita di colore e il vaso era verniciato al piombo e cotto. In altri casi era usata la tecnica del graffito sotto vernice, cioè le incisioni decorative venivano fatte sul vaso già cotto una prima volta, seguiva un'invetriatura con vernice piombifera trasparente o eventualmente colorata in turchese, blu, bruno, giallo o verde, poi una seconda cottura (bis-cotto) che produceva una vernice vetrosa sopra ai graffiti. Con la conquista araba della Spagna le ceramiche invetriate si diffusero a Granada e Valencia, poi, nel sec. XV, nelle province cristiane confinanti dell'Aragona e della Catalogna (Barcellona). Le maioliche ispano-moresche invetriate e con i riflessi metallici degli ossidi, resi luminescenti e rigenerati dal fuoco, conquistarono il gusto raffinato degli Italiani del primo Rinascimento, dapprima nelle Repubbliche marinare di Venezia, Genova e Pisa poi nel resto della penisola. In particolare dalla Spagna moresca l'arte della maiolica passò, a partire dal '400, in Toscana (Siena, Pisa), in Umbria (Orvieto), in Romagna (Faenza, Forlì, Ravenna, Rimini) e nelle Marche (Pesaro), diffondendosi in seguito nei vari centri della penisola e assumendo caratteristiche diverse secondo i luoghi. La città di Pesaro, quindi, nella seconda metà del Quattrocento, durante il felice governo degli Sforza, fu coinvolta dal "miracolo" della maiolica e divenne ben presto uno dei centri di produzione più prestigiosi. Decisivo fu il ruolo di patrocinio operato dai Signori del luogo (Alessandro, Costanzo e Giovanni Sforza), per questo ne parliamo in questo volume della collana "Storie degli Sforza pesaresi", inserendo la maiolica nel più ampio quadro del mecenatismo sforzesco e nella loro opera illuminata di promozione dell'economia di una cittadina di 10.000 abitanti come la Pesaro di allora.

CAMILLUS LEONARDUS MEDICO E ASTROLOGO ALLA CORTE DI GIOVANNI SFORZA SIGNORE DI PESARO STORIE DEGLI SFORZA PESARESI 9

Camillo Leonardi, figlio di Stefano Leonardi e di tale Cicella, nonno del più celebre Gian Giacomo Leonardi, nacque a Pesaro nel 1450 ca. e morì a Pesaro dopo il 1532. Fu medico ed erudito, astronomo e astrologo, cortigiano di Costanzo Sforza e poi del figlio Giovanni Sforza. Il 7 settembre 1471 conseguì il dottorato in medicina, alla scuola di Gaetano Thiene, a Padova città dove, in seguito, fu lettore di astronomia. Il suo diploma di laurea, di cui resta una trascrizione alla BOP ms. 409, è firmato dai dottori Taddeo Quirino canonico di Brescia e Giacomo Zeno, vescovo di Padova. Il suo Speculum lapidum rimase per secoli il trattato di gemmologia "terapeutica" più noto e tradotto d'Europa fino alla piena rivoluzione della scienza del secolo XIX.

L'ACCADEMIA ROMANA DI FRANCISCO PRECIADO DE LA VEGA IN PIAZZA BARBERINI E GLI ARTISTI SPAGNOLI DEL SETTECENTO

Una linea di successo nella più recente bibliografia spagnola relativa alla Storia dell'Arte del XVIII secolo si rivolge verso l'analisi della formazione degli artisti spagnoli all'estero, principalmente in Italia, processo determinante nella trasmissione e circolazione di idee e modi di espressione estetica. Ricercatori come Jesús Urrea hanno aperto questa linea che restava nell'om-bra, trascurata a favore delle monografie dedicate ai nostri pittori, scultori e architetti più famosi, e dalla rilevanza dei loro colleghi francesi e italiani nel risve-glio dell'arte neoclassica spagnola. È da anni che la storiografia europea ha cominciato ad analizzare la confluenza in Roma e in altre zone della penisola itali-ca di tedeschi, anglosassoni, francesi, etc., così come le reti artistiche che nella capitale pontificia si intreccia-rono con l'ambiente accademico locale che, nel caso spagnolo, cominciamo a comprendere e studiare solo ora; in questo senso, come ha ben dimostrato Olivier Michel, e precedentemente Friedrich Noack, la stessa ubicazione degli artisti nella topografia dell'Urbe favorì la consolidazione di questo mondo cosmopolita di scambi culturali. Addentrandoci in questo campo, con il presente lavoro vogliamo sottolineare il ruolo di spicco del pittore Francisco Preciado de la Vega (1712-1789) (fig. 1) che aggregò intorno a sé gli artisti spagnoli che viaggiarono a Roma, e il loro raggruppa-mento in una zona precisa della città, differente da quella del resto degli artisti. Nel Settecento a Roma si succedettero numerose generazioni di artisti che si raggruppavano nelle loro accademie nazionali, o insieme artisti la cui fama oltrepassava le frontiere, come quella del pittore Sebastiano Conca, storicamente legato alla Corona spagnola a causa della sua provenienza napoletana. Dal maestro di Gaeta acquisirono il loro orientamen-to estetico i valenciani Cristóbal Valero e Hipólito Rovira, il sivigliano Francisco Preciado, l'avilano José Burriel. 1) Nel Palazzo di Firenze, oltre agli artisti toscani, seguivano gli insegnamenti di Benedetto Luti il maiorcano Guillermo Mesquida e il granadino Cha-varito, mentre José Romero, Antonio Ponz e fra' Bar-tolomé de San Antonio si recarono nella bottega di Agostino Masucci. 2) I discepoli del pittore di Molfetta Corrado Giaquinto furono José del Castillo, Antonio González Velázquez e il riojano Bernardo Martínez del Barranco. 3) Gli spagnoli, privi lungo questa prima metà del secolo di una istituzione di riferimento comparabile all'Accademia delle Nobili Arti che i monarchi france-si finanziavano a Roma dal 1666, si stabilirono nelle vie tradizionalmente legate alla pratica della loro pro-fessione. Tra le più popolate di artisti Olivier Michel cita le vie Margutta, del Babuino, o Felice, nei dintor-ni di Santa Maria del Popolo e Sant'Andrea delle Frat-te. 4) La logica di questa distribuzione si basava sulla vicinanza all'abitazione di un famoso mecenate delle arti, alle zone di concentrazione e alloggio del turismo aristocratico del Grand Tour (Piazza di Spagna per eccellenza) e degli artisti conterranei, o alla bottega di un artista dotato di talento, come Sebastiano Conca, la 91 CÁNDIDO DE LA CRUZ ALCAÑIZ-JORGE GARCÍA SÁNCHEZ