Invito 2 10 2018 La Prima Guerra mondiale (original) (raw)
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M 2 - L 4_La seconda Guerra mondiale
Nel corso degli anni '20 i motivi di tensione del nuovo ordine europeo potevano ancora ricevere soluzioni diplomatiche, come sul problema degli armamenti: gli accordi navali di Washington (6 febbraio 1922) e Londra (12 aprile 1930) introdussero un criterio di contenimento e di proporzionamento delle marine da guerra delle 5 potenze marittime mondiali allora riconosciute (Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Francia e Italia): la flotta americana era fissata ad un livello pari di quella inglese, quella giapponese a non più di 3/5, quelle francese e italiana a non più di 1/3. Nell'aprile del 1922 fu fatto un tentativo di cooperazione economica con la Conferenza di Genova che chiamava al tavolo delle trattative anche la Germania e l'Unione Sovietica, esclusa sino ad allora dai veri e propri negoziati diplomatici e dai consessi internazionali. La conferenza non approdò a nessun risultato di carattere generale, ma fu l'occasione per un accordo tra l'Unione Sovietica e la Germania, che permetteva ad entrambi i paesi di uscire dall'isolamento in cui, per motivi diversi, erano restati sino ad allora. L'Unione Sovietica accettava anche che l'esercito tedesco potesse sperimentare sul territorio russo alcuni tipi di armi, come i carri armati, che erano stati proibiti alla Germania dal trattato di Versailles. Tra il 1924 (approvazione del piano Dawes) e il 1929, le relazioni internazionali europee furono caratterizzate persino da grande ottimismo, grazie soprattutto all'azione congiunta del ministro degli Esteri francese Aristide Briand e del suo corrispettivo tedesco Gustav Stressemann, mirante alla distensione nei rapporti franco-tedeschi → 16 ottobre 1925: Accordi di Locarno (Francia, e Belgio proclamavano di riconoscere le rispettive frontiere e di ricorrere alla SDN per dirimere eventuali controversie; 2. La Germania s'impegnava a rispettare la smilitarizzazione della Renania; 3. Gran Bretagna e Italia si facevano garanti della frontiera francese, ma non esisteva una simile garanzia per le frontiere orientali con Polonia e Cecoslovacchia perché Stresemann era esplicitamente contrario all'accettazione delle clausole del trattato di Versailles relative alla sistemazione dell'Europa orientale. → Francia e Germania venivano trattate su un piano di parità → Spirito di Locarno: riconoscimento della frontiera occidentale da parte della Germania, prosperità economica e fiducia nella possibilità di dirimere pacificamente le controversie; → settembre 1926: ammissione della Germania nella SDN Dopo Locarno, Briand tentò d'impegnare gli Stati Uniti nel mondo in senso anti-isolazionista ad ulteriore garanzia di pace → 27 agosto 1928: Patto Briand-Kellog (segretario di Stato americano): impegno a bandire la guerra dai rapporti internazionali sottoscritto da 15 Paesi, tra cui Germania e URSS, diventati 54 alla fine del 1929.
Lultima stimmate della guerra fredda Giuseppe De Stefano - Luglio 2011
1 RELATORE CH.MO PROF. FRANCO MAZZEI CORRELATRICE CH.MA PROF.SSA NOEMI LANNA CANDIDATO GIUSEPPE DE STEFANO MATR. MRI/00039 All'esimio prof. Adolfo Tamburello per la sua ispirazione 2 INDICE Introduzione pag.2 Capitolo 1 Introduzione storica: La Corea tra sinizzazione e formazione identitaria pag.5 Capitolo 2 La modernità "rubata": Il collasso dell'ordine sinocentrico e l'ascesa nipponica pag.28 Capitolo 3 Sangue vivo e cicatrici: dalla separazione coatta alla fiera contrapposizione odierna pag.57 Conclusioni: Perché due Coree ? pag.99 Postfazione e Ringraziamenti pag.105 Bibliografia e Saggistica pag.109 fronte alla notizia la mia comprensione della realtà che sta dietro l'intrecciarsi delle dinamiche delle relazioni internazionali era poca. La mia scelta di specialista dell'Estremo Oriente ha portato i miei studi ad essere inevitabilmente assorbiti dalla preponderanza delle realtà cinese e giapponese: la Corea è sempre stata lì, tra una conquista dell'impero Han ed una scaramuccia con il Giappone, per poi emergere prepotentemente finanche tra le pagine dei manuali di storia delle scuole medie immediatamente dopo la II Guerra Mondiale, e tornare pressoché a scomparire se non per l'attenzione che desta il successo dell'economia del Sud o, per l'appunto, qualche notizia sull'autoritario regime militare del Nord. Le parole del professore hanno stimolato il mio desiderio di colmare questa lacuna e acceso la scintilla che ha dato vita al lavoro che avete in mano: "la divisione della Corea è l'ultima stigmate delle tensioni che hanno opposto i due blocchi internazionali" dice il prof. Mazzei, e il mio proposito è spiegare il perché. Una divisione coatta come quella inflitta alla Corea nel secondo dopoguerra all'alba della Guerra Fredda non è solo la divisione di uno Stato, ma di una Nazione, e il mio lavoro vuole essere innanzitutto quello di indagare l'origine e l'evoluzione della Nazione coreana più come storia di un popolo che di un luogo. Nel farlo ho identificato tre fasi sostanziali, determinate da una struttura in altrettanti capitoli. Nel primo capitolo intendo guardare alla prima fase di storia della Corea, sinizzata sin dalle origini e politicamente soggetta all'ordine geopolitico sinocentrico fino alla crisi dell'impero cinese Qing a metà del XIX secolo, per evidenziare i momenti di connotazione della cultura e formazione dell'identità coreana e la natura delle fasi, relativamente brevi, di unità politica. Il secondo capitolo è dedicato al collasso dell'ordine sinocentrico: l'avvento degli occidentali e la pressione giapponese costrinse la penisola a schiudersi lentamente dopo un periodo di splendido isolamento durato circa due secoli che aveva, pur non risolvendo tutte le contraddizioni interne, consolidato l'identità nazionale della Corea, ma l'aveva anche resa estremamente impreparata di fronte alle sfide della modernità. Privata dell'ombrello protettivo cinese, la Corea subì l'imperialismo regionale giapponese: se sottostare alla Cina significava partecipare con lei al Tianxia, 5 sottostare al Giappone voleva dire esserne una periferia. Le luci che filtrano dall'oscura storia di occupazione nipponica ci consegnano un misto di orgogliosa opposizione e di irrisolte divisioni sociopolitiche interne. Il terzo capitolo ci porta al cuore della questione. La divisione operata da USA e URSS non solo sul territorio, ma soprattutto nelle istituzioni, rispondeva alle nascenti dinamiche della Guerra Fredda e fu sancita da una guerra civile e fratricida. Ma la regia delle due superpotenze non sarebbe durata oltre la fine di quella stessa guerra: in due paragrafi dedicati analizzerò lo sviluppo di ognuna delle due formazioni statali in modo autonomo sia l'una dall'altra che, almeno in parte, dalle potenze-guida. Forse nessun popolo meno di quello coreano è stato, nella storia, faber fortunae suae, ma al di là delle implicazioni e degli intrecci di interessi internazionali che ne hanno connotato l'intera esistenza, il punto che intendo dimostrare è che l'esperienza della Guerra Fredda è giunta, per la Corea, in un momento cruciale della sua storia "interna": il momento in cui il suo popolo avrebbe dovuto consolidare la sua omogeneità nazionale nel contesto contemporaneo. La linea imposta al 38° parallelo avrebbe moltiplicato anziché diviso quell'esperienza, creando non due Stati ma due Nazioni, seppur sorelle: la condizione odierna è figlia di una svolta data dalla Guerra Fredda e di una evoluzione prettamente coreana. Ma non è possibile comprendere gli ultimi passi compiuti senza guardare a tutto il percorso: vi invito perciò a voltare pagina e cominciare dall'inizio. 6 Capitolo 1 Introduzione storica: La Corea tra sinizzazione e formazione identitaria La complessità della Corea contemporanea è figlia di una varietà di fattori geografici, geopolitici e geostrategici, tanto quanto etnici, storici e culturali. Sarebbe, a mio avviso, azzardato e deviante operare, dunque, un'analisi esaustiva senza tenere ben presente le premesse che alla realtà attuale hanno condotto. La prima, lunga fase della storia coreana, il primo pezzo del mosaico che voglio andare a comporre per fare luce sulla complessa realtà di questa penisola e del suo popolo, è quella che l'ha vista sostanzialmente soggetta alla sfera geopolitica e geoculturale sinocentrica, e comincia dalla Preistoria per giungere fino alla metà del XIX secolo. 1.1 Preistoria e protostoria La penisola coreana manca di dati e reperti che accertino la natura di un suo primitivo popolamento in epoca Paleolitica, ma a partire dal III millennio a.C. risultano tracce di insediamenti umani di numerosi gruppi tribali che hanno fatto verosimilmente ingresso dalla frontiera Settentrionale. Le origini di questi gruppi tribali sono svariate, con una probabile dominanza di etnie dell'Asia Settentrionale. I frequenti contatti della Corea con le stirpi Mongoloidi sono alla base della differenza etnica e linguistica che i coreani mantengono rispetto ai cinesi, questi ultimi avendo avuto, al contrario, solo sporadiche influenze razziali e culturali dalle tribù nomadi del Nord. Mentre in Cina già si avvicendavano le prime dinastie [Shang (1573-1122 a.C.) -Zhou (1111-256 a.C.)], il Neolitico coreano andava superandosi con l'istituzione delle prime comunità di villaggio e con la conoscenza di una primitiva metallurgia unitamente ad altri fenomeni ed innovazioni discontinue rispetto alla linearità che questo periodo aveva mantenuto. Verosimilmente si è trattato delle prime influenze 7 cinesi, in particolare di genti provenienti dalla Cina nord-orientale, fattore che, tra l'altro, segna in origine una separazione culturale tra settentrione e meridione della penisola 2 . Proprio nel I millennio a.C., in corrispondenza della fase di transizione dinastica Shang-Zhou, avviene una prima sinizzazione della penisola coreana, un periodo fondamentale per la Corea, attraverso emigrazioni, sottomissioni e attrazioni di gruppi tribali. La svolta fu nell'introduzione della coltura del riso e dello sviluppo dell'agricoltura in generale, che, creando un surplus alimentare, oltre a sistemi efficienti di produzione e stoccaggio, generò una prima stratificazione sociale per classi, preludio di uno stato centralizzato. Nel III secolo a.C. l'influenza cinese si fece più diretta e pervasiva. All'epoca degli Stati Combattenti, lo stato di Yan nel nord-est della Cina comprendeva parti della Manciuria meridionale ed aveva un'influenza culturale e politica diretta sulla Corea nord-occidentale. È stata proprio questa la zona dove l'influenza cinese è stata più forte, e non a caso è stato qui che, sempre nel III secolo, ha preso forma il primo vero e proprio stato coreano che conosciamo come Chosŏn. Con il nome Chosŏn ci si riferisce alla più antica epoca della storia coreana, quando la penisola non aveva una formazione statale vera e propria, ma più probabilmente solo una approssimativa coordinazione tra gruppi tribali. Il nome proviene proprio da una leggenda e da un nome cinese (Chao Xian 3 -Chosŏn), paternità cinese che è sostenuta da più fonti per quanto riguarda una successiva "riformulazione" dello stesso regno intorno al 190 a.C. da tale Wiman (Wei Man in cinese), forse proprio un uomo d'armi cinese di Yan, già rifugiato presso i nomadi Xiongnu, che a capo di un piccolo esercito occupò P'yŏngyang, detronizzò il precedente sovrano ed estese il suo dominio su una larga fetta di territorio fino all'attuale Seoul. Questa prima vera e propria formazione statale coreana, infatti nota anche col nome di Wiman Chosŏn, rimane a cavallo con la leggenda e assai indefinita in quanto priva di qualsivoglia documentazione archeologica. Ad essa si aggiungono il regno di Mahan, fondato dal precedente re di Chosŏn fuggito ad Iksan, nel Sud, e 2 Maurizio Riotto, Storia della Corea, dalle origini ai giorni nostri, 2005, Bompiani, Milano, pag.43 3 Approssimativamente traducibile come "Freschezza Mattutina" 8 costituito ad Ovest con altri fuggitivi di P'yŏngyang; il regno di Chinhan, costituito ad Est da disertori cinesi che erano stati coscritti dall'impero Qin per la costruzione della Grande Muraglia; infine Pyŏnhan, costituitosi nello stesso periodo nell'estremo Sud della penisola. È tuttavia assai indicativo come il carattere cinese nella genesi coreana sia presente in questa come in diverse altre formulazioni anche più prettamente leggendarie delle origini della Corea 4 . Ad ogni modo la storiografia è sufficientemente concorde da rendere plausibile l'esistenza di questo "Stato" di Chosŏn, come pure la sovranità su di esso esercitata dalla Cina tanto dai Zhou quanto dai Qin (221-207 a.C.). È in quest'epoca protostorica, in cui leggenda e storiografia si fondono e si confondono, che si concreta il fondamentale debito culturale della Corea con il vicino cinese. L'immaginario collettivo, il carattere e la forma mentis tradizionale del popolo coreano si riferiscono ampiamente alla Cina tradizionale e medioevale. Nelle prime...
CAPITOLO I, SPAGNA E ITALIA ALLE PORTE DELLA GRANDE GUERRA
1.1 La neutralità spagnola e il suo contesto politico e sociale….………………pp. 6 -16 1.2 L'Italia dalla neutralità all'intervento………………………………………………….pp. 16 -35 CAPITOLO II, LA RIVISTA «ESPAÑA»: L'ITALIA COME MODELLO DA SEGUIRE 2.1 La rivista «España»: uno strumento per la regeneraciòn del paese…..pp. 37 -53 2.2 La neutralità spagnola secondo «España»…………………………………………pp. 53 -63 2.3 L'intervento italiano secondo «España»……………………………………………pp. 63 -78 CAPITOLO III, LA STAMPA MADRILENA DI FRONTE ALL'INTERVENTO ITALIANO IN GUERRA 3.1 La stampa spagnola nel 1915: una guerra di carta fra aliadòfilos e germanófilos………………………………………………………………………………..pp. 80 -89 3.2 Il parere sull'Italia di un giornale germanòfilo: il caso di «El Siglo Futuro»…………………………………………………………………………….pp. 89 -98 3.3 Il parere sull'Italia dei principali quotidiani aliadòfilos……………………..pp. 98 -123 Indice delle illustrazioni…………………………………………………………………………pp. 124 -128 Bibliografia…………………………………………………………………………………………… p. 129 6 CAPITOLO I: ITALIA E SPAGNA ALLE PORTE DELLA GUERRA 1.1 LA SPAGNA ALLE PORTE DELLA GUERRA Il "desastre" del 1898 nella guerra ispano-americana combattuta fra Spagna e Stati
Marco Bizzocchi La Prima guerra mondiale nei videogiochi
La tesi di fondo dell'articolo è che i videogiochi possono essere validi strumenti per la diffusione seria di conoscenza storica. Attraverso l'analisi di Valiant Hearts, un videogioco francese uscito nel 2014 per il centenario della Prima guerra mondiale, metto in mostra come attraverso le fasi di gioco sia possibile trasmettere implicitamente al giocatore nozioni non ovvie di natura storica e storiografica. Inoltre evidenzio come la natura interattiva del videogioco possa favorire un naturale incontro tra giocatore e fonti storiche autentiche in funzione didattica e narratologica.
Seconda guerra mondiale: approfondimento L'evento seconda guerra mondiale, nell'interpretazione recente del Novecento, chiude un ciclo trentennale di tensioni internazionali e interne agli stati, del quale fissa il parossismo estremo saldandone le linee di faglia in una sintesi drammatica e globale. "Età della catastrofe" (E.J. Hobsbawm), la "guerra dei trent'anni" (C. Pavone) ancora le sue radici in un evento dalle origini "controverse" come la Grande Guerra, e prosegue alimentata dalla brutalizzazione della politica (G.L. Mosse) in una successione di conflitti, originariamente interni, orientati alla riqualificazione ideologica, etnica e razziale delle "patrie" protagoniste della prima, grandiosa, esplosione continentale. Lungo il '14-18 la centralità europea aveva attirato nel gorgo del conflitto flussi di risorse ed impegni sempre più vasti a livello internazionale, innescando dinamiche destinate a dare corpo su scala globale alla fine di quella egemonia. Tutto ciò proprio mentre si materializza il tentativo di costruire una potenza imperiale nel cuore del continente, nodo gordiano della "questione tedesca" che, in chiave di lotta per l'egemonia, rappresenta indiscutibilmente uno dei tratti caratterizzanti la prima metà del secolo e che il 1918 non taglia, rinviandone solo la "soluzione" (J. Barraclough). Oltre il velo della fragile stabilizzazione degli anni '20, l'onda dominante sembra allora quella di una guerra senza fine, che si alimenta sul continente europeo di una sequenza di conflitti intestini destinati a fissare contrapposizioni ideologiche di carattere ultimativo, attorno alle quali crescono regimi e identità che fanno della guerra il banco storico di prova del destino di popoli che, dall'esser nazioni, precipitano nella rigidità delle razze. Il revisionismo dei fascismi e del Giappone, uniti da riferimenti ideologici e da un dinamismo comune, conduce a tappe forzate alla guerra, determina i tempi tattici della politica internazionale, in Europa e fuori, ma ha anche una natura intrinsecamente strategica. Esso fissa il legame tra i fasti di un rinnovato ed inedito, per dimensioni e contenuti, "stato d'eccezione" interno (C. Schmitt) e la politica estera. Politica dei "grandi spazi" (ancora C. Schmitt) che si traducono escatologicamente in "spazi vitali" di un ordine storico totalmente nuovo. Se la Germania manca di una effettiva strategia planetaria (A. Hillgruber) la sua spinta, e l'accelerazione che scaturirà dall'apertura ad est di un confronto che si vuole dirimente e di portata epocale, si nutre comunque di una visione globale e selettiva del destino del genere umano. La dinamica egemonica delle potenze e le spinte geostrategiche dilatano la portata della guerra alla sua dimensione mondiale. Parallela a quella tedesca, nello scacchiere estremo-orientale la spinta giapponese mira a costruire una piena sfera d'influenza economico-politica erodendo il potere britannico e contendendone la successione americana. In entrambi gli orizzonti, la ridefinizione dell'egemonia territoriale si collega ad una ristrutturazione degli assetti politico sociali delle aree investite che ne sconvolge la stessa composizione umana, il profilo etnico-razziale. Il respiro dell'evento, di una guerra insieme rinnovata e "nuova", si annuncia pertanto in origini che non sollecitano controversie intorno alle responsabilità, come era avvenuto invece per la Grande Guerra, ma che trovano anticipazioni tanto feroci e connotate da generare un diffusa percezione della radicalità della catastrofe imminente (gli "anni dell'incubo" di William Shirer) e, fuori d'Europa, legittimi sospetti intorno al momento in cui si possa effettivamente dire che la nuova guerra sia cominciata. Dai gas italiani in Etiopia allo stupro di Nanchino, i paesi e i popoli vittime potranno legittimamente chiedere nel dopoguerra di anticipare, per i loro contesti e per il giudizio sui crimini di guerra perpetrati dagli aggressori, gli esordi di un conflitto che associava al dispregio delle regole e degli equilibri internazionali una sostanzioso disprezzo razziale quando non un'aperta propensione allo sterminio.