La scuola tra nostalgia del passato e fuga nel privato (original) (raw)
(www.enricobottero.com) La società dell'infantilismo La società dominata dal consumismo esalta l'infantile (che è altra cosa dall'infanzia) come modello generale di vita. Si potrebbe anche dire che la logica del capriccio è diventata il motore essenziale dell'organizzazione economica nelle nostre società e va sotto il nome di " pulsione d'acquisto " (Meirieu, 2007, 13). L'assenza di limiti, l'incapacità di decentrarsi e di assumere atteggiamenti di empatia, di riconoscimento dell'altro sono moneta corrente nella società, anche grazie all'uso massiccio e senza alcun limite di media digitali e social networks. Gli esiti di questo processo, ormai descritto e studiato da molti analisti, potrebbero essere devastanti. Non è un caso che avvenga tutto ciò: la regressione psicologica è la condizione della crescita economica fondata sulla sottomissione pulsionale del consumatore. Un corollario di questa società " individualizzata " (Bauman, 2010) è la crisi delle istituzioni. Negli ultimi decenni, con il passaggio alla società di massa e di consumo, ci sono preoccupanti segnali di disintegrazione delle istituzioni, scuola compresa. La scuola è meno considerata un'istituzione al servizio della collettività nazionale. In Italia in particolare, è sempre più soggetta alle richieste individuali degli utenti (peraltro praticamente " clienti " , dall'autonomia scolastica in poi). Lo spostamento dell'asse dall'offerta alla domanda rende la scuola sempre più soggetta alle leggi di mercato. Se il sapere richiede tempo, la domanda degli utenti vuole velocità. Se la costruzione delle conoscenze richiede un luogo separato, " sacralizzato " , in cui per un certo numero di anni far vivere i nostri figli e formarli in ottemperanza a principi fondanti la democrazia, le esigenze del mercato richiedono una rispondenza immediata alle esigenze produttive. Un elemento non secondario in questo scenario è il mutato atteggiamento degli allievi rispetto a qualche decennio fa. I ragazzi, pressati da mille condizionamenti, dalla macchina pubblicitaria e da un diffuso individualismo sociale, arrivano sempre più spesso in classe senza essere disponibili a relazionarsi con gli altri e ad impegnarsi in un'attività intellettuale. La risposta prevalente in termini di politica dell'istruzione è stata la modificazione dei curricoli scolastici, sempre più orientati allo sviluppo di competenze. La didattica delle competenze, a partire dal documento dei saggi del 1997, ha seguito un andamento ciclico non privo di ambiguità. In linea teorica si sposava un'ipotesi cognitivista-costruttivista di una competenza fondata sulle strutture dei saperi disciplinari, considerati strumenti indispensabili allo sviluppo del pensiero. Dunque un " saper fare " complesso e collegato ad un sapere teorico. In pratica, soprattutto su pressione di esigenze esterne legate al mercato del lavoro, le elites politiche ed economiche e i media hanno sposato un'accezione molto più limitativa della nozione di competenza, di impronta comportamentista: saper fare esecutivi con prevalenti capacità adattative, quelle richieste da un mercato del lavoro sempre più flessibile. La richiesta di un posto di lavoro non è legittimata dal