LE PARETI DELLA SISTINA. CORRISPONDENZE - Cristo e il suo Vicario, il "Doctor Gentium" e il "Doctor Populi" (original) (raw)
La Cappella Sistina che oggi conosciamo soprattutto perché racchiude gli affreschi di Michelangelo non si può facilmente paragonare ad altri edifici esistenti. Ogni sua componente decorativa va considerata come un elemento di un insieme che si è sviluppato con la struttura architettonica; e ciascun elemento deve es-sere inteso come il risultato di decisioni pratiche, rispondenti a particolari esigenze e funzionalità. Tale fun-zionalità richiedeva un ambiente adatto a una liturgia specifica, ma anche corrispondeva al concetto di Majestas papalis, una speciale forma di quell’espressione di magnanimità all’origine del più spettacolare edificio e della più spettacolare decorazione del Rinascimento. La Cappella Sistina fu costruita con uno scopo preciso e unico, e la perfezione della Cappella all’epoca di Sisto IV va ricostruita con sforzo d’immaginazione, perché seriamente compromessa dalle aggiunte dei pontefici successivi. Ma anche quando l’integrità orizzontale fu ripristinata, essa venne distrutta definitivamente prima dai disastrosi danni strutturali alla parete di fondo, che portarono alla sostituzione di due delle storie con altre in stile discordante, e poi dal Giudizio Universale che, pur nella sua sensibilità alla struttura che lo contiene, non può non far rimpiangere la perdita della continuità dei ritmi delle finestre e delle cornici, dell’incontro dei cicli storici sopra all’altare, della pala d’altare incorniciata in modo da riflettere il portale d’ingresso, e in conclusione della simmetria. Se si aggiunge come a causa di questo motivo venne anche meno per sempre l’originaria disposizione degli arazzi raffaelleschi (che inoltre saranno “esiliati” dalla Cappella, almeno nel loro essere esposti totalmente, fino al 1983), oggi si ha l’impressione che la Cappella Sistina somigli a un tunnel, con la decorazione originaria su due piatti registri sovrapposti, laddove un sistema decorativo chiuso era stato concepito in armonia con la costruzione, continuo e integrale, come forma e supporto della volta. Grazie ai significativi contributi di studiosi come l’Ettlinger, alla costituzione della iconologia come disciplina storica e ai restauri condotti negli anni ’60-’90 su di essi (con importanti scoperte, primi tra tutti i tituli so-prastanti), ora possiamo guardare il ciclo sistino sotto una nuova luce, nei suoi complessi significati voluti a fine Quattrocento. Ma lo scopo che tale esposizione si propone è giungere a una ricostruzione delle trame esistenti tra questi e il ciclo degli arazzi raffaelleschi che, lungi dall’essere una semplice risposta di Leone X al crescente ruolo istituzionale della Cappella, un’espressione del suo orgoglio di essere il fautore di una nuova età dell’oro (come fu salutato alla sua elezione da Francesco Novello, Egidio da Viterbo, Pietro Delfin e altri) o un richiamo alla tradizione medicea (le tappezzerie del padre Lorenzo) e carolingia (le serie commissionate dai suoi omonimi Leone III e IV), fornirono ulteriore supporto alla simbologia della Cappella, in particolar modo della Maiestas papalis, come già per il suo predecessore. Benché non più nella disposizione originale, la riesposizione del 1983 ha fatto riscoprire il loro fondamentale contributo allo splendore della Sistina, e il restauro dei cartoni di Raffaello, oggi al Victoria and Albert Museum di Londra (1964-65), ha permesso di leggere la loro iconologia in modo finalmente chiaro. Dopo aver affrontato il significato del ciclo sistino, passeremo dunque all’analisi di quello degli arazzi in modo da ricostruire al meglio il sottile gioco di corrispondenze originarie, perfettamente compiuto nello spazio della Cappella.