Istituzioni e istruzione europea (original) (raw)

Giuristocrazia europea

Dialog Campus Edition, 2019

Ho criticato l'aggiudicazione costituzionale attivista per decenni, quando mi è capitato di imbattermi nel libro di Ran Hirschl sulla giuristocrazia. Per spiegarci, l'arbitrato costituzionale attivista è stato attuato principalmente in Germania e poi si è diffuso in un certo numero di paesi di tutto il mondo e, nel 2004, Hirschl ha definito tale processo come una sostituzione della democrazia con la giuristocrazia e dimostrato le ragioni razionali per cui ciò ha avuto luogo in un certo numero di paesi. Seguendo le sue orme, ho ampliato le mie precedenti critiche all'attivismo, riformulandole come sostituzione della democrazia con la giuristocrazia. Oltre alle tendenze giuristocratiche all'interno dei singoli paesi, ho iniziato ad analizzare la giuridificazione della politica a livello internazionale. Tali analisi mostrano i processi di costituzionalizzazione del diritto internazionale, che hanno trasformato le relative lotte di potere politico, poste sotto la maschera del diritto, e che inoltre mostrano l'espansione della giurisdizione dei diritti umani a livello continentale, che a sua volta ha messo sotto controllo la formazione della volontà democratica degli stati e una parte più ampia dei sistemi giuridici interni. In tal modo, la giuristificazione all'interno dei paesi può anche essere raddoppiata su scala più ampia. Per analizzare ciò, mi sono imbattuto in analisi empiriche sul funzionamento della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo (CEDU) negli ultimi anni, che, basate su interviste anonime con giudici dei diritti umani e avvocati di cancelleria dello staff legale centralizzato della CEDU, spiegano onestamente l’effettiva nascita delle sentenze di Strasburgo. Ciò, di fatto, dimostra che tali sentenze non sono redatte dai giudici inviati dagli Stati membri ma da un team centrale permanente di avvocati di cancelleria, e che i giudici sono semplici rappresentanti travestiti, autorizzati solo ad annunciare le decisioni. Tutto ciò è spiegato nel modo più acuto da Matilde Cohen in uno studio che ha pubblicato la sua analisi con il titolo "Giudici o ostaggi?". Allo stesso modo, David Thór Björgvinsson, ex giudice della CEDU e professore a Copenaghen, dopo aver lasciato il suo lavoro nel 2015, nel corso di un'intervista ha criticato i ricercatori accademici per non aver rilevato la piena vulnerabilità del giudice della CEDU nei confronti del team di avvocati di cancelleria da decenni in servizio a Strasburgo. Su tale base, ho trovato pienamente fondate le analisi di Matilde Cohen nel descrivere tale situazione. Ciò mi ha spinto ad indagare in che misura la situazione dei giudici di Strasburgo differisce da quella dei colleghi di Lussemburgo che prendono le decisioni più importanti dell'Unione Europea. Le analisi in merito hanno anche evidenziato il ruolo della Corte di giustizia europea (CGUE) nella struttura di potere dell'intera UE, e alla fine si è potuto chiarire che la sua struttura può essere vista fondamentalmente come una giurisprudenza burocratica. A causa di tale progresso, ho poi consapevolmente cercato di esaminare la struttura di potere della giuristocrazia dell'UE. Se si guarda alla struttura di potere dell'Unione europea non sul piano formale ma su quello sociologico, la Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo ne fa parte tanto quanto l'élite giudiziaria di Lussemburgo o quella giuridica delle istituzioni europee a Bruxelles. Se le parti vengono esaminate insieme, il ruolo delle ONG nelle strutture di potere giuristocratiche dell'UE appare chiaramente, e la mia ulteriore ricerca mirava a indagare in merito. Ho trovato analisi empiriche molto dettagliate, in particolare sulla CEDU, ma anche sulla Commissione, il Consiglio (più il COREPER), il Parlamento e la Corte di giustizia europei quanto ad influenza su di essi delle ONG e delle organizzazioni di lobby.

istituzioni di diritto ue

Riassunto 2 CAPITOLO 1: ORIGINI,EVOLUZIONE E CARATTERI DELL' INTEGRAZIONE EUROPEA I PRIMI MOVIMENTI EUROPEISTI Uno dei primi promotori del progetto di unire gli Stati europei fu il conte Richard Coundenhove -Kalergi, il quale fondò nel 1924 un'associazione denominata Unione paneuropea ,avente lo scopo di preservare l'Europa, da una parte, dalla minaccia sovietica e dall'altra dalla dominazione economica degli Stati Uniti. Fondamentalmente furono 3 le concezioni che ispirarono tale progetto: 1. visione di tipo confederale, avanzata da Aristide Briand, il cui progetto prevedeva la creazione di una organizzazione politica tra gli Stati partecipanti, che abbia obbiettivi comuni a tutti ma che non metteva in discussione la sovranità di ognunoPERMANENZA DEI NAZIONALISMI 2. visione di tipo federalista, visione che accomunava tre autori: SPINELLI, ROSSI E COLORNI. Secondo tale impostazione, espressa nel Manifesto di Ventotene, l'obiettivo immediato era un unione politica europea secondo cui i Paesi europei, al fine di assicurare la pace, avrebbero dovuto rinunciare alla propria sovranità, e secondo cui si sarebbe dovuti giungere ad una nuova entità, la Federazione europea, dotata di un proprio esercito, di una propria moneta, di proprie istituzioni e di una propria politica estera.(NO NAZIONALISMI)

Le due fondazioni dell’università europea

L’università di oggi soffre una crisi strutturale. Da una parte il processo generativo del sapere, caotico e vitale, non può sottomettersi alla burocrazia e ai limiti imposti dall’amministrazione universitaria; dall’altra, senza un coor- dinamento, questo processo caotico rimarrebbe tale, sterile e socialmente in- utile. Occorre dunque un’analisi che vada a scoprire le caratteristiche originali dell’università nel momento della propria nascita – il medioevo – per compren- dere meglio i problemi attuali.

Istituzioni educative e formative: lineamenti storici, configurazioni strutturali, modalità operative

2006

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati. Gli autori Nicola S. Barbieri è ricercatore in storia della pedagogia presso il Dipartimento di Scienze dell'educazione dell'Università degli Studi di Padova. Iscritto al movimento scout dal 1969, è stato educatore scout e dirigente del Corpo nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani (CNGEI). Dal 2000 al 2003 è stato direttore del Centro Studi Scout "Eletta e Franco Olivo" di Trieste: con la commissione consultiva di questo Centro, della quale attualmente fa parte, sta approntando una storia dello scoutismo CNGEI in occasione del 90° anniversario della fondazione. Daniela Baraldo si è laureata in scienze dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Padova, con una tesi sulla storia del manicomio provinciale di Padova. Attualmente lavora come educatrice a Padova. Federica Bernardini si è laureata in scienze dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Padova con una tesi sulla vita e le opere di Robert Baden-Powell, fondatore dello scoutismo, e sull'apprestamento di sussidi didattici per la branca lupetti. Una parte della sua tesi è stata pubblicata sulla rivista "Scautismo", organo ufficiale del CNGEI. Roberta Campagnolo si è laureata in scienze dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Padova, con una tesi sugli asili nido e sui servizi innovativi per la prima infanzia. Lavora come educatrice presso la cooperativa Itaca di Valdagno-Schio. Annamaria Ceriali si è diplomata educatrice professionale presso lo IAL-CISL di Brescia, con una tesi sull'inserimento di ragazzi difficili nelle unità scout. Capo scout nel CNGEI per molti anni, attualmente lavora come educatrice a Cremona. Barbara Dall'Asen si è laureata in scienze dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Padova, con una tesi sull'assistenza ai minori con problemi psichici nel Bellunese. Attualmente lavora come educatrice e coordinatore pedagogico a Belluno. Federico De Rossi dopo avere svolto un tirocinio presso alcune istituzioni educative della Danimarca, si è laureato in scienze dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Padova, con una tesi sulla figura di Nikolaj F. S. Grundtvig e sulle istituzioni educative danesi per il tempo libero. Attualmente lavora come educatore ed animatore socio-culturale a Venezia. Daniela Frison si è laureata in scienze dell'educazione col massimo dei voti presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Padova, con una tesi sulla valenza pedagogica del laboratorio didattico nella scuola elementare. Attualmente lavora come educatrice a Rovigo. Paola Lupatin si è laureata in scienze dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Padova, con una tesi sulla supervisione presso le strutture educative per minori in difficoltà. Attualmente lavora come educatrice a Padova. 1.1.1. Le prime esperienze italiane di asilo nido L'evoluzione storica che ha portato gli asili nido in Italia ad assumere una connotazione sempre più di servizio a carattere educativo è stata graduale e progressiva nel tempo, nella ricerca e nella sperimentazione di sempre maggiori e diversificati contenuti pedagogici. La storia dell'asilo nido nel nostro paese si presenta molto difficile e tortuosa sia rispetto ai programmi legislativi sia rispetto alle tipologie esistenti. A differenza di altri servizi per l'infanzia, ad esempio le scuole materne, la loro nascita non è collegata con il primo obiettivo di formazione ma nasce come luogo di custodia e di assistenza soprattutto, come si vedrà, per i bambini al di sotto dei 3 anni delle madri lavoratici. I problemi connessi alla maternità e alla situazione infantile cominciano ad essere presi in seria considerazione dagli intellettuali italiani, più sensibili alle tematiche sociali nel periodo della Restaurazione. L'esperienza degli asili prende avvio proprio sotto il segno della carità "privata" dal momento che tra gli intellettuali vi è sempre maggior consapevolezza delle difficoltà che le madri delle famiglie povere incontravano nella cura e nell'allevamento dei figli più piccoli. Queste difficoltà si ingigantivano nelle regioni in cui, come la Lombardia o il Piemonte, lo sviluppo delle attività manifatturiere e industriali (specie nel settore tessile) e il peso crescente del lavoro a domicilio impegnavano quote crescenti di manodopera femminile 7. Il termine "asilo" comincia ad essere utilizzato in Italia intorno al 1830 per indicare le istituzioni assistenziali ed educative della seconda infanzia (3-6 anni). Il primo "asilo di carità per l'infanzia" fu aperto a Cremona nel 1829 da Ferrante Aporti (1791-1858). Gli asili di Aporti erano finalizzati a preparare il bambino per l'istruzione elementare, curavano lo sviluppo intellettuale e morale, concedevano poco spazio al gioco e alla creatività propri di altri asili sorti in Europa (vedi gli asili del pensiero di Froebel): nelle intenzioni del fondatore il loro valore era prevalentemente di tipo religioso. Si trattava di vere e proprie scuole di bambini, dove era prioritario l'insegnare e l'imparare e dove il gioco veniva spesso sostituito da attività artigianali per i maschietti e attività domestiche per le bambine. Le prime iniziative di assistenza per i bambini più piccoli (0-3 anni), invece, si hanno in Italia a partire dal decennio 1840-1850; nascono delle strutture che vengono denominate "presepio" o "presepe" riferendosi chiaramente alla stalla nella quale secondo il racconto evangelico, nacque Gesù ed alla mangiatoia in cui fu collocato. Sono i primi tentativi di organizzare dei servizi finalizzati ad alleviare il carico per le famiglie povere e a contribuire a lenire la piaga dell'esposizione degli infanti, ancora molto frequente. Fu il pedagogista milanese Giuseppe Sacchi, che aveva collaborato con Aporti, ad avviare il progetto per l'apertura del "Pio ricovero per bambini lattanti", aperto a Milano nel 1850 8 , vera e propria data di inizio delle istituzioni assistenziali per la prima infanzia in Italia. Tali ricoveri erano strutture destinate al servizio delle operaie impiegate stabilmente in manifatture e fabbriche. Un tale tipo di istituzione nuova aveva conosciuto in Europa i suoi esordi a Parigi nel 1844 ad opera di Marbeau; si creò infatti in questa città un'istituzione diurna di accoglimento del bambino delle classi povere che fu denominata "crèches", parola emblematica, carica di significati che può essere tradotta come "presepe" o "presepio". Vienna nel 1849 9 seguì l'esempio di Parigi.

Europeanization dell'educazione

La vecchia Scuola fa acqua da tutte le parti. E' lontana dal mondo dell'impresa, ha gli insegnanti più vecchi d'Europa, è fondata su saperi teorici e astratti, è sostanzialmente "analogica e cartacea". Per fortuna, le competenze, il digitale e l'innovazione la salveranno. Attorno alle competenze e alla necessità di innovare si è costruito un vero e proprio racconto. Bisogna garantire un set di "saperi utili per la vita" (competenze di cittadinanza), che assicurino flessibilità ed employability. Ciò che conta è imparare ad imparare, saper apprendere sempre, per risultare vincitori nello struggle for life. Cosa e come si insegnerà nella scuola del XXI secolo? Le distinzioni disciplinari perderanno significato. Basterà fornire i saperi essenziali e sviluppare le giuste skills per ricercare e selezionare informazioni in rete. Eppure, problem solving and finding, Inquiry based learning, sono maquillages anglofili su pratiche che risalgono all'Accademia di Atene e che qualsiasi insegnante consapevole utilizza con gli obiettivi e i linguaggi specifici della propria disciplina. La pedagogia "del successo" è quella che crea ambienti, attività, metodi di apprendimento focalizzati su competenze utili per la vita. Da questa visione fluida e protesa al futuro scompare l'orizzonte di senso. Perché, a quale scopo tutto questo, qual è la nostra destinazione. L'educazione è innanzitutto una pratica morale e politica. E come tale necessita di una definizione delle sue finalità, prima che della sua efficacia. Efficace per cosa?