Prime note sulla chiesa rupestre di S. Angelo alla Morsara, Santeramo (BA). (original) (raw)
Related papers
Prime note sulla riscoperta chiesa rupestre di S. Angelo alla Morsara (Santeramo - BA)
“Opera Ipogea”, n. 2, 2010, pp. 43-46., 2010
Nell’ambito di un programma di revisione del patrimonio rupestre della Puglia e del materano, intrapreso da una equipe di studiosi che, nel corso degli ultimi anni, ha perlustrato il territorio, è stata recentemente riscoperta in agro di Santeramo in Colle (Bari) la chiesa rupestre di S. Angelo alla Morsara. Così è stato finalmente possibile consentire all’equipe di riesaminare il luogo, avendo la possibilità di evidenziare le peculiarità uniche di questo monumento andate ben oltre le aspettative. La chiesa scavata nel banco calcarenitico presenta una serie di elementi archeologici ed architettonici che consentirebbero di datarla non oltre il V secolo, pertanto, si tratterebbe della più antica chiesa rupestre di tutta la Puglia e del materano. Parole chiave: chiesa rupestre, ipogeo, Santeramo, Puglia.
Gli effetti dell’acqua sui beni culturali, Atti del XXXVI° Convegno internazionale Scienza e beni culturali, (Venezia, Aula Mario Baratto, Università Cà Foscari, 17-19 novembre 2020), a cura di G. Biscontin, G. Driussi.
Il Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, istituito nel 1990, custodisce 58 chiese tra i Comuni di Matera e Montescaglioso e insieme ai Sassi di Matera è stato riconosciuto Patrimonio UNESCO. Il lavoro che segue nasce dalla collaborazione con l’Ente Parco, allo scopo di mettere in atto proposte e metodologie volte alla salvaguardia del patrimonio culturale. Il tema delle chiese rupestri trova una vasta trattatistica di carattere storico, che negli ultimi anni si è arricchita con studi di tipo tecnico-scientifico, legati allo stato di conservazione dei complessi rupestri, condotti nell’ambito della ricerca scientifica dall’ISCR, delle Università della Basilicata e del Salento, dal CNR. Lo studio, che qui si presenta, si concentra sulla cripta di Santa Maria de Olivara, a Matera, datata tra IX-X secolo, la quale fa parte di un complesso rupestre più ampio costituito da diverse grotte interamente scavate nel banco roccioso calcarenitico. A livello architettonico è caratterizzata da due ingressi, due absidi e due navate comunicanti tra loro per mezzo di tre archi. L’ambiente si presenta in un cattivo stato di conservazione, a causa della terra di trasporto che si è depositata nel tempo provocando l’innalzamento del piano di calpestio e, nello specifico del tema qui affrontato, per l’apporto di acqua che si infiltra nelle numerose fessure e nel soffitto, in parte crollato, provocando il pericoloso dilavamento degli affreschi. La calcarenite organogena è un materiale tenero e lavorabile, le cui caratteristiche hanno influito sull’escavazione e la realizzazione di ambienti rupestri. Tuttavia la sua igroscopicità, in ambienti naturali e in prossimità di corsi d’acqua, è causa della sua fragilità: la sua esposizione, il banco roccioso sovrastante caratterizzato da uno spessore ridotto e da fratture diffuse prodotte dal costante apporto d’acqua meteorica. Al fine di operare in modo mirato sull’avanzare del degrado sono state effettuate indagini estensive, non distruttive. In primis, un’indagine termografica per comprendere l’interazione del manufatto con l’ambiente e quindi l’origine del fronte di umidità. In secundis, le misure conduttimetriche, utili per valutare il contenuto di umidità. I risultati delle indagini sono stati incrociati tra loro, offrendo un quadro più preciso sulle cause del degrado, dovuto in parte all’acqua di risalita capillare e in parte a quella di infiltrazione. L’analisi termografica ha permesso di delineare mappe di scambio termico tra manufatto e ambiente e ad avere informazioni sub-superficiali quali distacchi, presenza di elementi metallici, differenti materiali costitutivi e prodotti relativi a interventi precedenti. I risultati ottenuti permettono di appurare il contenuto d’acqua e di poterlo valutare nel tempo. I dati ricavati dalle indagini diagnostiche hanno permesso di definire la natura dell’umidità e la quantità d’acqua presente nel complesso rupestre. Da qui emerge la necessità, a livello generale sul complesso delle chiese rupestri, di prevedere un monitoraggio microclimatico costante e indagini diagnostiche mirate nei siti che presentano maggiori criticità all’interno del Parco, al fine di agire in termini di conservazione preventiva, delineando contestualmente un progetto organico di conservazione programmata.
Kalkas, 2019
Questo saggio analizza una chiesa rupestre inedita nel territorio di Monte Sant’Angelo e alcuni ipogei sepolcrali situati vicino ad essa. Il complesso è collocato nella zona chiamata sull’IGM Celebra, tra Coppa Caramanica e Tufara Rossa, e di fronte la zona chiamata Ripasanta, famosa per via della chiesa rupestre di Ognissanti. Si può ipotizzare che il complesso fu frequentato a partire dalla prima conquista bizantina, per poi essere rimaneggiato nei secoli successivi, fino a perdere la sua funzione per via dell’instabilità politica creatasi durante la conquista normanna. Si analizzeranno i pochi dati archeologici ritrovati in superficie, che, uniti con un’attenta ricerca documentale, permetteranno di formulare delle ipotesi sulla frequentazione del complesso, e sulla donazione e titolazione della chiesa. This article analyzes a little-know church, hewn from rock, in the territory of Monte Sant’Angelo, as well as some nearby tombs. The complex is located in an area identified as Celebra on the IGM, located between Coppa Caramanica and Tufara Rossa, in front of the area called Ripasanta, wich is famous for the rupestrian church of Agnus Dei or Saint Salvatore near Jazzo Ognissanti. It can be hypothesized that the complex wa inhabited strating from the first Byzantine conquest, then remodeled in the following centuries, until it lost its function due to the political instabilitu created during the Norman conquest. The scant archeological remains found on the surface will be analuzed which, combined with careful documentary reaserach, will allow us to formulate hypotheses on the complex’s congregation and on the foundation and name of the church.
In corso d'opera. Ricerche dei dottorandi di Storia dell'arte della Sapienza 3, 2019
Il palazzo delle Sagrestie di San Pietro in Vaticano, eretto da Carlo Marchionni tra il 1776 e il 1784, custodisce sin dal tempo della sua edificazione, all'interno della cappella dei Beneficiati, un'immagine mariana di antica tradizione taumaturgica, la Madonna della Febbre. Si tratta di un frammento di affresco trecentesco, molto ridipinto, celebre ai nostri giorni per essere incorniciato dal marmoreo Tabernacolo del Santissimo Sacramento, realizzato da Donatello e aiuti tra il 1432 e il 1433 1 ( ).
Note su alcuni stemmi della chiesa rupestre di Jazzo Ognissanti sul Gargano
Kalkas. Rivista sulla Preistoria, Storia, Archeologia, Numismatica, Storia dell’Arte, Scienze del paesaggio, Storia Agraria e Forestale del Gargano e del Mezzogiorno d’Italia, 2019
Il contributo si prefigge di presentare i risultati di una ricerca riguardante alcuni stemmi presenti nella chiesa rupestre di Jazzo Ognissanti presso Monte Sant’Angelo. Le ipotesi riguardano l’identificazione dei personaggi che, prima della battaglia di Tagliacozzo, affidarono le proprie anime a San Michele in maniera devozionale attraverso l’apposizione di graffiti con i propri stemmi sulla cornice degli affreschi presenti nella chiesa. I risultati dell’indagine hanno portato a identificare tutti i nobili francesi che, tra l’altro, parteciparono alla battaglia e che ricevettero feudi e concessioni nel Regno di Sicilia negli anni successivi da Carlo I d’Angiò. The contribution aims to present the results of research concerning some coats of arms in the rock church of Jazzo Ognissanti near Monte Sant’Angelo. The hypotheses concern the identification of the characters who, before the battle of Tagliacozzo, entrusted their souls to St. Michael in a devotional way through the affixing of graffiti with their own coats of arms on the frame of the frescoes in the church. The results of the survey led to the identification of all the French nobles who, among other things, took part in the battle and received fiefdoms and concessions in the Kingdom of Sicily by Charles I of Anjou in the years following.
La chiesa di Sant'Isidoro e nuovi documenti sacri a carattere rupestre a CAvaIspica e nei dintorni di V.G. Rizzone e A.M. Sammito Censimento dei siti dell'antica età del bronzo nel territorio modicano di V.G. Rizzone e A.M. Sammito pag. 27 pag. 37 Studi Appunti autobiografici ed evoluzione filosofica di Carmelo Ottaviano di Domenico D'Orsi Tommaso Campailla e l'ambiente culturale a Modica fra '600 e '700 di Giovanni Criscione Sulla 'religiosità' di tommaso Campailla Da 'L'Apocalisse dell'Apostolo San Paulo', poema sacro di Giorgio Colombo pag. 57 pag. 69 pag. 103
The study analyses the sant’angelo church frescoes in santeramo del colle. Starting from the iconographical analysis of the last judgment, st. Michele with a dragon and a pannel with saints found in it, the study aims to identify the connections between them, their funerary meaning, and allows stylistic comparisons. In addition to the rare last judgment with pentecost, only compatible with examples from Cappadocia, and complex doctrinal formulation linked to the writings of St. Ephrem the Syrian, research focuses on a new funerary interpretation of the image of st michele who kills the dragon in the rupestrian context.
La chiesa di Sant'Isidoro e nuovi documenti sacri a carattere rupestre a CAvaIspica e nei dintorni di V.G. Rizzone e A.M. Sammito Censimento dei siti dell'antica età del bronzo nel territorio modicano di V.G. Rizzone e A.M. Sammito pag. 27 pag. 37 Studi Appunti autobiografici ed evoluzione filosofica di Carmelo Ottaviano di Domenico D'Orsi Tommaso Campailla e l'ambiente culturale a Modica fra '600 e '700 di Giovanni Criscione Sulla 'religiosità' di tommaso Campailla Da 'L'Apocalisse dell'Apostolo San Paulo', poema sacro di Giorgio Colombo pag. 57 pag. 69 pag. 103
Nota su un altare sacro nella Gravina del Marchese a Crispiano-Montemesola (Taranto)
2012
La Gravina del Marchese è un solco d'erosione con direzione NE-SO inciso al confine amministrativo dei territori di Crispiano e Montemesola in provincia di Taranto, leggibile tra i punti di coordinate 40°33'49" N -17°18'54" E e 40°33'11" N-17°19'29" E (WGS 1984 UTM, fuso 33N). Si apre in un banco calcarenitico pleistocenico (IGM F 202 I SO), formatosi durante il periodo Tirreniano, stanti i fossili messi a giorno sulle pareti di taluni ripari esistenti lungo gli spalti, tra cui prevalgono i Pectinidae (Pecten jacobaeus, Chlamis sp.). Si tratta di una sapping valley (valle da degradazione di interstrato) i cui fianchi sono segnati da numerose cavità allungate e approfondite in orizzontale, molte delle quali allargate dall'uomo. Come questa gravina, nel territorio compreso tra Statte e Grottaglie lungo il litorale ionico, se ne registrano altre, tutte incise nell'unità nota come Calcarenite di Gravina 1 , le cui cavità adattate a necessità abitative sono servite all'insediamento di villaggi rupestri. Lungo il suo tragitto, la Gravina del Marchese si sdoppia in due rami di cui quello orientale preso in considerazione termina nel punto di coordinate 40°33'28" N -17°19'22" E. Considerando il tratto iniziale e i due rami terminali, l'odierno sviluppo complessivo è calcolabile in 1,5 km circa, dal momento che parte del tratto iniziale e di quello finale sono stati occlusi, nell'ultimo ventennio, da riporti di terreno per l'impianto di alcuni vigneti a tendone . Le cavità che si aprono lungo i fianchi della gravina sarebbero state utilizzate in momenti differenti di frequentazione, l'ultimo dei quali in età moderna, durante la seconda guerra mondiale, ma si vuole che vi sia stato un insediamento abitativo in età basso-medioevale. A tal riguardo, non sono disponibili fonti letterarie sufficienti per la possibile ricostruzione storica che interessi la gravina. Solo per l'abitato urbano si attesta la fondazione di un antico nucleo all' XI-XII secolo, pur non escludendosi l'esistenza di un pagus in età romana, stanti i risultati di scavi condotti in loco. Il centro demico fu distrutto una prima volta dai Goti nel VI sec. e nuovamente dai Saraceni nel X sec.; più volte abbandonato, fu oggetto di ripetuti tentativi di ripopolamento nel corso del XIV sec.; ancora nel XV sec., con il richiamo di Albanesi da un centro vicino, nel 1474; fu da ultimo riorganizzato durante il XVIII sec. dai feudatari Saraceno. Al capostipite della famiglia Saraceno, Andrea, si devono alcune costruzioni sub divo, la strutturazione di un frantoio ipogeo e forse anche l'apertura, nella prima metà del Settecento, di numerose cave per l'estrazione di conci, i cui testimoni residuano sul