Lo schermo aperto di Barlio Martin Patino (in Arabeschi n. 11, gennaio - giugno 2018) (original) (raw)
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Concepita sin da subito come opera sanguigna, «macchia rossa» da mettere a contrasto con una «cosa opposta» (così scriveva Puccini il 9 febbraio 1913 nell’attesa che l’autore, Didier Gold, gli desse il consenso a musicarla), "Il tabarro" reca una genesi oltremodo complessa ed enigmatica. Se si esclude l’antefatto, cioè la visione della pièce al Théâtre Marigny nel 1912, ci vollero quattro anni prima che l’atto unico giungesse in partitura (l’aggiunta in extremis dell’aria di Luigi data al febbraio 1917). Gli studiosi hanno provato a discernere le tappe del processo creativo, basandosi sui carteggi e sui ‘romanzati’ ricordi del librettista Giuseppe Adami. Altri indizi giunsero dal saggio del 2000 di Dieter Schickling («Studi pucciniani» 2), che documenta gli scambi con Ferdinando Martini, chiamato a tradurre La houppelande dopo la prova fallimentare di Carlo Marsili, ma la trama rimaneva lacunosa: i testi inviati a Puccini erano irreperibili e mancava un’esatta focalizzazione della fonte. L’archetipo non è infatti la semplice prosa di Gold, ma un ‘riadattamento lirico’ che lo stesso drammaturgo approntò, su richiesta di Puccini, durante il loro incontro a Parigi nel maggio 1913. Questo prezioso documento tutt’ora ignoto, che contiene le traslitterazioni dell’argot, le aggiunte di versi in francese e alcune intuizioni sceniche del compositore, si trova nell’Archivio di Torre del Lago, e costituirà il punto di partenza per una ricognizione aggiornata del Tabarro e dei suoi modelli. Attraverso l’esame delle carte conservate nei fondi pucciniani, è possibile precisare la cronologia e i nessi di derivazione delle idee. Le traduzioni di Martini (riguardanti il «soggiorno» di Frugola, con «quattro stanze, quattr’alberi intorno», o il disperato monologo di Michele) non furono cestinate, ma servirono da spunto per l’impresa di Adami, che è possibile ricostruire nel dettaglio attraverso tre tipologie di materiali: a) il dattiloscritto completo del libretto, ultimato nel dicembre del 1913, con correzioni a matita di Puccini; b) le bozze manoscritte, sostitutive dei passi problematici; c) un secondo dattiloscritto, redatto sul finire del 1915, e annotato da Puccini per l’ultima volta nel novembre 1916. Indagherò tali fonti inedite nella prospettiva ancor’oggi feconda esposta da Joseph Kerman (Sketch Studies, 1982): lo studio filologico come operazione di «critica», che fa emergere i referenti stilistici, le tensioni di un progetto aperto ai più radicali ripensamenti. «L’Houppelande deve rifarsi. Così com’è a me pare fiacco e pieno anche di cosette inutili», scriveva Puccini ad Adami nell’ottobre 1915, invitandolo a correre a Torre per ristudiare insieme la pièce originale. Nel raffronto fra le stesure del libretto, mostrerò come le revisioni obbediscano a un ideale di «semplicità e efficacia», che il musicista ricercava nelle ultime tendenze del teatro europeo (cruciale l’articolo di Guglielmo Emanuel, "I riformatori della scena", elogiato nella lettera a Illica del 5 ottobre 1912). Si trattava di un doppio movimento, fatto di aggiunte e sottrazioni, che doveva intensificare i caratteri del dramma, sfruttando il potenziale immaginativo della 'mise en scène'.
Leggere il «libro aperto». Saggio sul Cannocchiale aristotelico
ETS, 2023
Il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro è un capolavoro riconosciuto del Seicento europeo, non solo italiano: a quasi 370 anni dalla sua pubblicazione, gli viene dedicato per la prima volta un saggio complessivo che ne indaga nel dettaglio gli aspetti storici, filologici e letterari. L’opera si dimostra unica nel suo genere per la capacità di conciliare un patrimonio culturale immenso di fonti, idee, spunti con un sistema di pensiero rigoroso e sistematico. Il saggio ne affronta la complessità e la ricchezza, fornendo strumenti utili al lettore per orientarsi e per interpretare correttamente il testo. Intende inoltre valorizzare il lavoro attento dell’autore mirato a renderlo un «libro aperto», quasi interattivo, non un semplice manuale.
Russo, M., 2011. Il Rilievo strumentale
L'integrazione tra diverse tecniche di rilievo è un tema che da almeno un quinquennio viene trattato in differenti ambiti scientifici, a livello nazionale ed internazionale. Le ragioni di questo interesse sono legate principalmente alla necessità di arrivare a metodologie di rilievo che consentano di sfruttare appieno le diverse peculiarità degli strumenti e metodiche di indagine, ottenendo nel contempo una ottimizzazione nel processo di acquisizione del dati e un rilievo "adattabile" alla complessità geometrica e materica del manufatto architettonico. Il livello di integrazione tra diversi sistemi di rilevamento dipende necessariamente dalla capacità di saper controllare sistemi di acquisizione dati differenti ed la possibilità di fondere assieme dati eterogenei. L'integrazione corretta tra diverse tecniche di rilievo permette innanzitutto di rispondere in maniera coerente al differente livello di complessità insito nell'oggetto da rilevare, sia di poter coprire una dinamica di scala molto ampia, potendo passare dal rilievo territoriale a quello urbano, da quello architettonico fino a quello di dettaglio. Inoltre la possibilità di acquisire informazioni metriche con differenti sistemi di rilevamento consente di avere sempre una ridondanza di dati, fondamentale sia come risorsa in caso di eventuali lacune informative, sia come forma di verifica sulla qualità del dato prodotto. a) b) Figura 1 -a) Planimetria con la posizione dei target e delle stazioni strumentali; b) Confronto tra la restituzione del rilievo diretto di un basamento del colonnato e il profilo (in rosso) ottenuto dai dati scanner 3D.
La finestra aperta ed il gioco dei punti di vista del narratore in Twist di Harkaitz Cano
Altre Modernita Rivista Di Studi Letterari E Culturali, 2015
Twist di Harkaitz Cano, pubblicato prima in lingua basca nel 2011 e vincitore del premio Euskadi nel 2012, è stato tradotto in lingua spagnola l'anno successivo. Il romanzo tratta del sequestro e dell'occultamento dei corpi di due giovani attivisti baschi nel 1983, analizzando gli strascichi e le ripercussioni che tale sparizione avrebbe poi avuto sul protagonista, amico ma anche delatore, e quindi in un certo senso colpevole della tragica fine dei due. Scopo di questo articolo è ripercorrere la peculiare struttura narrativa del romanzo, ricca di flashback e accostamenti per analogia, per mettere a fuoco alcuni temi chiave delle letterature post dittatoriali, quali 'memoria' e 'colpa', arricchiti in questo caso dal problematico uso che il narratore fa del punto di vista. L'argomento di Twist è tratto da un concreto caso di cronaca: l'assassinio dei due giovani attivisti dell'ETA, Lasa e Zabala, da parte del Gruppo Antiterrorista di Liberazione (GAL), un caso che lasciò una forte impronta sulla società civile basca, per la responsabilità che nell'assassinio ebbero elementi deviati della polizia, con la connivenza di alte cariche dello Stato e dell'Esercito. Le circostanze della morte sono le stesse che ritroviamo nel capitolo introduttivo: due giovani sequestrati, torturati, uccisi
IL BARONE di Giuseppe Antonio Martino
Corriere della Piana
Cominciamo col dire che "Il Baronetra storia e leggenda la vita di un contadino ribelle nella seconda metà dell'ottocento" edito dalla D'Amico Editore (www.damicoeditore.it mail a libri@damicoeditore.it) è un libro bellissimo, che si legge dalla prima alla duecentoottantatreesima pagina tutto d'un fiato. L'ho letto una prima volta tutto d'un fiato, poi l'ho riletto sorseggiando ogni capitolo come si fa con un sacro bicchiere di vino buono, eppoi l'ho riletto ancora alla ricerca di tutti quei termini, modi di dire dialettali, arcaici di cui l'opera di Giuseppe Antonio Martino è piena; parole di una volta, comuni nel linguaggio dei vicoli di paese, della gente umile, che chi ha una certa età come me ancora ricorda con nostalgia, sicuramente ignorati dai nostri figli e, nemmeno a dirlo, dai ragazzi più giovani.
Le porte socchiuse dell'inconscio. Su una fonte freudiana di Savinio
2012
This paper studies the influence of a book held in Savinio’s personal library, La psicoanalisi by Enzo Bonaventura (Mondadori 1938), on the growing presence of psychoanalytic themes in Savinio’s works since 1940. Reading this book, Savinio takes up a Freudian conception of psychoanalysis, laying emphasis on topics like sudden surfacing of unconscious, Freudian slips, psychoenergetic, death instinct. This results in an empirical practice of psychoanalysis, averse to Jung’s archetypes, aiming to «give form to formless» of unconscious through a careful study of the indirect clues of daily life and affectivity.